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Cosa succede a Team USA, che in tre giorni perde quanto aveva perso negli ultimi 29 anni

La Nazionale USA allenata da Gregg Popovich incappa nell’ennesimo passo falso sulla strada che porta alle Olimpiadi Tokyo. E dopo la clamorosa sconfitta con la Nigeria arriva un’altra battuta d’arresto, questa volta contro l’Australia di Patty Mills, che pareggia nel giro di 72 ore il numero totale di sconfitte che Team USA aveva subito negli ultimi 29 anni.
A cura di Luca Mazzella
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È tutto vero. Incredibile, ma vero. Dopo aver subito, in amichevole, 2 sconfitte negli ultimi 29 anni (una delle quali, storica, porta la firma della nostra Nazionale nel magico pomeriggio di Colonia 2004), nel giro di tre giorni sono arrivate due battute d'arresto consecutive per Team USA, la Nazionale a stelle e strisce di pallacanestro. Due stop di fila, quelli subiti contro Nigeria e contro Australia, che non si vedevano praticamente da 30 anni, da quando cioè gli States hanno deciso, con il leggendario Dream Team di Barcellona, di coinvolgere gli assi della NBA nelle convocazioni e non più, come accadeva prima, i liceali.

Sebbene la squadra africana e quella oceanica siano due realtà molto diverse tra loro, la prima in forte ascesa con un quintetto praticamente NBA ma pur sempre numero 22 del mondo, la seconda saldamente al terzo posto del ranking mondiale e anch'essa con diversi giocatori impegnati oltreoceano durante la stagione (e manca un certo Ben Simmons), le due sconfitte lanciano in egual modo un minimo campanello d'allarme per gli USA, soprattutto se si considera che la missione numero uno della squadra allenata dal cinque volte campione NBA Gregg Popovich è dichiaratamente quella di riscattare l'umiliazione subita all'ultimo mondiale in Cina, dove un roster senza le più grandi stelle ma infarcito comunque di ottimi giocatori terminò la rassegna al settimo posto. Da allora si sono susseguite tante dichiarazioni di guerra e promesse di far dimenticare in fretta quel passo falso, ma tra i nobili intenti dei vari Steph Curry, LeBron James, James Harden, Kawhi Leonard e Anthony Davis, solo per nominare i più rappresentativi, e la realtà si è frapposta una stagione estenuante sul piano fisico e infortuni a catena che hanno fatto optare per un sapiente e scientifico recupero in off-season delle varie superstar, nell'ottica di un 2021/22 che per molti potrebbe essere l'ultimo anno davvero buono per attentare all'ennesimo anello NBA.

Nella notte i giustizieri di Team USA sono stati gli americanissimi, di militanza, Joe Ingles, Patty Mills e Matisse Thybulle, che in rimonta si sono imposti per 91-83 grazie a una veemente risalita iniziata nel terzo quarto e terminata nell'ultimo con i canestri dell'ex Spurs (attualmente Patty è free-agent) e i recuperi dell'esterno dei 76ers.

Una sconfitta che se da un lato va vissuta esattamente per quello che è, ovvero una partita amichevole persa a 10 giorni dall'inizio delle Olimpiadi di Tokyo e senza nulla in palio, dall'altra parte ha comunque innervosito e surriscaldato gli animi di una spedizione consapevole di non avere risultato diverso dalla medaglia d'oro visti i calibri a disposizione pur al netto delle assenze (su tutti Damian Lillard, Kevin Durant, Bradley Beal, Jayson Tatum, Draymond Green). A provarlo, meglio di ogni altra cosa, sono le parole di Gregg Popovich nel post-partita, che dinanzi alle contestazioni mosse da un reporter di The Athletic (che chiedeva semplicemente il motivo per cui si fosse passati dal dominio degli anni scorsi a sconfitte del genere) ha più volte interrotto il suo intervento palesando un nervosismo latente, sul quale le parole di Lillard presente accanto a lui per le interviste sono sembrate un estintore: "Non partiamo già vincitori solo perché entriamo in campo e facciamo rotolare il pallone. Dobbiamo diventare squadra e trovare la forma migliore. E se non diamo il massimo, perdiamo".

Ciò nonostante Pop ha proseguito nella sua scomposta reazione contro il giornalista, interrompendo ogni sua replica, "Parli di spazzare via chi gioca contro di noi, ma questo non è mai successo, vorrei capire perché lo dici. Ora io parlo e tu stai al tuo posto, dopo di che ascolterò le tue risposte. Le tue considerazioni riguardano il passato, e squadre verso le quali non mostri rispetto parlando in questi termini. Le squadre di alto livello non vengono mai spazzate via, e quando parti dicendo il contrario sbagli".

La verità è probabilmente nel mezzo e ci dice una cosa che ormai è pacifica da sostenere: in una NBA in cui l'MVP si chiama Nikola Jokic, serbo, i due precedenti premi sono stati vinti da Giannis Antetokounmpo, greco, e la torcia dei più grandi sembra pronta a passare nelle mani dello sloveno Luka Doncic, parlare ancora di un oceano tra il basket FIBA, i giocatori non-americani e quelli americani non ha più senso. Il continuo ricambio di giocatori USA in Europa, tra campionati nazionali e Eurolega, ha aumentato a dismisura la competitività della pallacanestro fuori dai confini statunitensi e senza calare tutti gli assi, indistintamente, in un basket che è bene ricordarlo ha sottili ma incidenti differenze anche regolamentari (oltre alla nota fiscalità sulle infrazioni di passi, i 3 secondi difensivi che in NBA non esistono sono forse l'elemento che più condiziona le difese e certi giocatori), assistere a nuove cavalcate in stile "Dream Team" (che è bene ricordarlo annoverava praticamente tutti i migliori giocatori dell'epoca, nessuno escluso) è pressoché impossibile.

In via del tutto incidentale, una nota a margine che ci fa tremare: le giustiziere degli Stati Uniti delle ultime 72 ore, Nigeria e Australia, saranno nostre avversarie nel girone olimpico assieme alla Germania. Non proprio una scampagnata per chi, come noi, è galvanizzato dalla vittoria sulla Serbia e si affaccia alle prime Olimpiadi dopo 17 anni con l'obiettivo di sorprendere esattamente come fu ad Atene. Niente però in confronto alla pressione nei confronti di Team USA, da stanotte ancor più osservato numero 1.

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