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Triathlon, Choi Suk-hyeon suicida in Corea del Sud: aveva subito abusi

Choi Suk-hyeon suicida a 22 anni per aver subito abusi. È la storia che arriva dalla Corea del Sud, sconvolge il mondo dello sport asiatico e del triathlon mondiale. Nell’ultimo messaggio alla madre aveva scritto: “Per favore, fa sapere al mondo intero i crimini che queste persone hanno commesso”.
A cura di Maurizio De Santis
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Choi Suk-hyeon suicida a 22 anni per aver subito abusi. È la storia che arriva dalla Corea del Sud, sconvolge il mondo dello sport asiatico e del triathlon mondiale. Medico e allenatore della squadra gli aguzzini della giovane che si sarebbe tolta la vita  dopo aver inviato un ultimo messaggio alla madre e a un amico. Poche parole a margine di una situazione personale drammatica e aggravata da un ulteriore dettaglio: nonostante avesse sempre denunciato la propria condizione, era stata ignorata dalla autorità che non hanno mai voluto andare a fondo sulla vicenda nonostante le violenze fisiche e sessuali raccontate dalla giovane.

Messaggio alla madre: Fa sapere i crimini che hanno commesso

La notizia della morte dell'atleta sudcoreana è stata battuta dal New York Times che ha raccontato anche alcuni dettagli sulla vicenda, a cominciare dall'ultimo contatto che la ragazza ha avuto con le persone a lei più vicine. A un compagno di squadra ha chiesto di non abbandonare il suo cane e di prendersene cura. Alla madre, invece, ha rivolto un appello e parole molto più esplicite su quanto è accaduto e sul periodo durissimo che ha vissuto. "Mamma, te ne prego, fa sapere al mondo intero i crimini che queste persone hanno commesso".

Le registrazioni rese pubbliche dai genitori

Ecco perché, dopo il suicidio della figlia, il padre e la madre di Choi Suk-hyeon hanno reso pubblici alcuni documenti finora tenuti rimasti segreti e conservati dalla giovane atleta. Sarebbero le prove degli abusi fisici e psicologici a cui è stata sottoposta sia dal medico sia dal tecnico, le cui voci sono state registrate in alcuni file. L'atleta sudcoreana aveva più volte tentato di denunciare il proprio caso alle autorità, esponendolo al National Human Rights Commission, alla Korea Triathlon Federation, al Korean Sport and Olympic Committee e alla stessa polizia di Gyeongju City (sede della squadra). Nessuno, però, ha voluto aiutarla.

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