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La rivincita di Bartolini: “Se fa schifo avere un campione del mondo, mi dispiace per loro”

Nicola Bartolini ha fatto la storia dello sport italiano vincendo la medaglia d’oro ai Mondiali di ginnastica artistica in Giappone. Un trionfo che lo ripaga dalla delusione della mancata partecipazione alle Olimpiadi di Tokyo e che gli fa togliere qualche sassolino dalla scarpa: “Se fa schifo avere un campione del mondo, mi dispiace per loro”.
A cura di Paolo Fiorenza
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È dolce il sapore dell'oro per Nicola Bartolini, che trionfando nel corpo libero ai Mondiali di ginnastica artistica in Giappone ha scritto una pagina leggendaria dello sport italiano: il 25enne cagliaritano è il primo azzurro a vincere un oro iridato in questa specialità in 118 anni. Nel 1966 Franco Menichelli si era fermato al gradino più basso del podio, oggi Bartolini riporta ai massimi livelli la ginnastica italiana dopo i fasti di Yuri Chechi agli anelli.

Il ragazzo sardo è riuscito a risalire dalla profonda delusione della mancata partecipazione alle Olimpiadi di Tokyo, che alla luce del risultato di Kitakyushu appare davvero paradossale: "Com'è stato possibile? Perché noi della squadra maschile non ci siamo qualificati, e per una serie di cavilli nell'assegnare i posti individuali, ho saputo solo una settimana prima di partire che non c'era un posto per me. Ho pensato di smettere, l'ho vissuta malissimo – racconta a Repubblica – mi sono rifugiato nella mia Sardegna per disintossicarmi dalla ginnastica. Un mese senza, col mare, la famiglia, gli amici".

Non è stata la prima difficoltà incontrata sul proprio cammino da Bartolini: "Più di una volta ho pensato di smettere. Non si può immaginare cosa significhi un doppio intervento alla spalla per un meccanismo delicato come il corpo di un ginnasta. Ma ce l'ho fatta, ho retto il colpo, sia la prima che la seconda volta".

Pur essendo da tempo un atleta di punta dello sport italiano – nello scorso aprile aveva vinto il bronzo agli Europei – Bartolini non è tesserato per nessun corpo militare, con le immaginabili conseguenze sul piano del sostentamento. Il motivo lo spiega lui stesso con un malcelato spirito di rivincita: "C'è questo stereotipo in Italia, se hai tatuaggi non puoi entrare nei corpi militari. Se fa schifo avere un campione del mondo, mi dispiace per loro, mi metterò l'anima in pace. Ho parlato con dirigenti di varie realtà, certi miei tatuaggi non vanno bene con l'etica dei gruppi sportivi". Tra gli altri, ci sono "due teschi, di cui uno messicano" e poi "una Hannya, un demone giapponese".

Per riuscire ad andare avanti ha dunque dovuto seguire altre strade: "Mi appoggio a un'agenzia che lavora su Instagram attraverso la mia immagine. Riesco a mantenermi così, il centro di allenamento me lo mette a disposizione la federazione". Non una storia inedita per eccellenze italiane in sport che non siano il calcio: trovare riconoscimento e dignità economica non è facile, anche se sei diventato una leggenda.

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