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La lunga lotta di Alex Schwazer potrebbe essere ad un punto di svolta

Il caso di Alex Schwazer fa acque da tutte le parti e con la richiesta di archiviazione da parte della Procura della Repubblica di Bolzano, la giustizia ordinaria lo certifica. Ma c’è lo sport, che ha voluto condannare all’oblio Alex Schwazer, Sandro Donati e il loro tentativo di ribaltare tutto il mondo della marcia.
A cura di Jvan Sica
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La storia di Alex Schwazer è ormai una via di mezzo fra un film di controspionaggio male sceneggiato e un film comico, anch’esso scritto molto male perché non ride più nessuno. Giovedì scorso la Procura della Repubblica di Bolzano chiede l’archiviazione e passa la palla al Gip per l’ultima parola. Questo vuole dire che l’olimpionico non deve essere processato per l’accusa di utilizzo di sostanze dopanti, in particolare il testosterone, emerso dal controllo antidoping del gennaio 2016, a pochi mesi dal suo rientro olimpico a Rio.

Questa archiviazione non mette una pietra sulla storiaccia ma almeno da una direzione per quanto riguarda la giustizia ordinaria, ovvero quello che tutti ormai hanno capito: nella vicenda di Alex Schwazer ci sono più incongruenze che nelle applicazioni dei diversi DPCM tra le diverse regioni italiane.

Tutto parte dal primo giorno dell’anno olimpico 2016. L’1 gennaio bussano alla porta di casa Schwazer due ispettori di una società privata di Stoccarda incaricati dalla IAAF di eseguire il controllo antidoping. Mentre quei campioni vengono analizzati, l’8 maggio 2016 Alex fa una grande prova alla cinquanta chilometri organizzata a Roma e si qualifica per le Olimpiadi di Rio de Janeiro. Il 22 giugno la WADA fa uscire il comunicato che Alex Schwazer è stato riscontrato positivo e viene, da recidivo, squalificato per otto anni. Alex va anche in Brasile nella speranza che il TAS ribalti questa sentenza ma non sarà così.

Subito emerge un problema gigantesco, che anche un bambino riesce a percepire e capire. Come sono stati analizzati quei campioni? Da una controanalisi richiesta dalla Procura di Bolzano emerge che dentro ci siano quantità anomale di DNA, in termini tecnici l’urina della provetta A conteneva 350 picogrammi per microlitro, mentre nella provetta B se ne trovarono 1.200. Se la quantità media di DNA nelle urine stimata è più o meno di 100 picogrammi per microlitro, ecco che un dubbio bello gigantesco viene. Ma vuoi vedere che quelle urine sono state manipolate?

A questo aggiungete anomalie accertate nel trasporto, difficoltà fatte dalla società di Colonia nel far ottenere alla difesa di Schwazer le urine per una controverifica, errori anche nelle tempistiche di analisi. Insomma un papocchio intricatissimo e che all’inizio faceva anche sorridere, oggi un po’ meno. Se i dubbi ci sono e sono enormi, deve emergere subito la domanda che sta dietro a tutto: ma perché l’atletica leggera internazionale avrebbe dovuto cancellare Alex Schwazer dallo sport?

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Mentre per i dati abbiamo i numeri, qui possiamo fare solo ipotesi, collegando i tasselli che abbiamo a disposizione. Alex Schwazer viene trovato positivo all’EPO pochi giorni prima dei Giochi di Londra 2012. Per lo sport italiano e mondiale è uno shock: Alex è una delle facce dello sport del nostro Paese, avendo vinto la medaglia d’oro a Pechino nel 2008 nella 50 km. Mentre lo scandalo si ingrossa, coinvolgendo anche la fidanzata di allora Carolina Kostner, Schwazer fa una conferenza stampa in cui fa diverse cose che altri atleti trovati positivi al doping non hanno mai fatto: disperandosi e piangendo senza consolazione dice che tutti lo fanno, che almeno lui ha le sue montagne mentre russi e cinesi che si dopano da una vita vivono in posti terribili, che negli sport di endurance è una specie di lotta al doping migliore e nascosto, che non vuole più tornare allo sport perché gli fa schifo, che lo sport italiano non lo ha difeso oggi, mentre lo idolatrava fino a ieri e tanto altro. Sembrano parole di un bambino e di un disperato, di uno che è stato trovato a fare una marachella e per discolparsi tira dentro quanta più gente possibile. Ma questo non è lo standard. Chi era stato preso prima di Schwazer seguiva un protocollo ben preciso, con le seguenti tappe: ammissione, scarico di responsabilità, consapevolezza dell’errore, richiesta di perdono, sguardo verso il futuro.

Alex Schwazer non solo non si attiene a questo copione, ma quando vuole tornare a gareggiare chiama ad allenarlo Sandro Donati, l’uomo che ha scritto “Lo sport del doping”, il libro che spara a zero su un sistema sportivo che si fonda e non soltanto utilizza le sostanze dopanti. In questo modo è come se dicesse: solo con Donati si possono fare le cose senza aggiunti chimici, come se sottolineasse troppo la differenza fra sé e il resto del suo sport. Il ticket Schwazer-Donati era davvero incongruo da un certo punto di vista, ma ovvio da tanti altri, perché solo con l’apostolo dell’antidoping Alex Schwazer poteva tornare senza macchia.

E invece ci sono le analisi dell’1 gennaio 2016, il testosterone, Rio che salta e gli otto anni di squalifica. Però Alex Schwazer, appoggiato da Donati che è anche lui convinto del complotto dopo che all’inizio aveva anche accusato il marciatore, non è un tipo che vuole farla finita così, perdersi tra le sue montagne e allenare qualche manager prossimo alla pensione. Lui vuole la sua piccola verità. Non cambierà niente, ormai non potrà più tornare a fare sport a livelli agonistici, ma non vuole che il nome Alex Schwazer venga per forza di cose associato al doping. E questo, ce ne stiamo accorgendo grazie alla sua forza d’animo, vale più di ogni medaglia vinta.

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