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É stato il piede di Gimbo: l’anno in cui Gianmarco Tamberi è diventato un mito italiano

Il 2016 era stato un anno scintillante fin dal primo salto per Gianmarco Tamberi, l’anno che doveva chiudersi con la vittoria olimpica e invece si fermò bruscamente per un infortunio. Il 2021 Gimbo lo ha vissuto sottotraccia, ma ha vinto la gara più importante della sua vita, le Olimpiadi di Tokyo.
A cura di Jvan Sica
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Ci sono anni che diventano cupi, nerissimi, anni che vorresti dimenticare e andare indietro o avanti nel tempo per non viverli proprio mentre lo stai facendo. Ci sono poi anni in cui la luce che ti irradia invece è accecante, tutto sembra incastrarsi alla perfezione e ogni cosa esiste per mostrare la tua bravura e il tuo talento. Gianmarco Tamberi ha vissuto entrambi questi anni nella sua carriera ed è un privilegio che un uomo e un atleta non sempre hanno.

Il suo anno nero è il 2016, proprio quello che sembrava l’anno in cui il destino doveva compiersi. Inizia subito alla grande l’anno che doveva portare alle Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016. A Banska Bystrica, in Slovacchia, il 4 febbraio vince il meeting stabilendo il record italiano indoor con la misura di 2,35 m, oltretutto a pari merito con l'altro azzurro Marco Fassinotti. Abbiamo delle grandi eccellenze nel salto in alto e ci sfreghiamo le mani. Passa il confine e il 6 febbraio in Repubblica Ceca, a Hustopeče, supera di nuovo il suo primato italiano indoor saltando 2,38 m. Arriva ai Mondiali indoor di Portland come il grande favorito e vince in scioltezza, alzandosi fino 2,36 m e battendo tutto il meglio che c’era in giro, Barshim, Fassinotti, Protsenko, Kyanrd.

Inizia la stagione all’aperto e si comprende come sia stato fatto un lavoro per arrivare brillanti a Rio. Vince comunque i Campionati italiani e il 10 luglio anche i Campionati europei saltando 2,32 m. Per arrivare al meglio in Brasile serve solo affinare la preparazione. Così Gimbo va a Montecarlo per la tappa di Diamond League, salta un meraviglioso 2,39 e sente di poter andare ancora più su. Nella prova a 2,41 si infortuna alla caviglia. Basta un solo esame per capire: stagione finita, niente Olimpiadi nell’anno in cui sembrava davvero pronto per l’oro a cinque cerchi.

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Il post affranto in cui Tamberi comunica l’addio a Rio de Janeiro 2016 termina con un pensiero fisso, Tokyo 2020. Così sarà, ma non saranno quattro gli anni di attesa spasmodica nei quali Tamberi fremerà per arrivare alla prossima prova olimpica, bensì cinque perché il Covid ha allungato l’agonia.

Quest’anno Gianmarco Tamberi aveva deciso di restare molto più sottotraccia rispetto al 2016 ed emergere solo quando era il momento giusto. Appare la prima volta solo agli Europei indoor di Torun, quando viene battuto dal bielorusso Maksim Nedasekaŭ che deve migliorarsi più e più volte per superare il suo ottimo 2,35. Poi si fa vedere in Diamond League, ma lascia il palcoscenico ad altri, come il russo Il'ja Ivanjuk che vince le prime due tappe in cui c’è il sato in alto maschile di Doha e Firenze. Al Golden Gala “Pietro Mennea” Gimbo è terzo con un buon 2,33. A luglio, poche settimane prima di Tokyo, va di nuovo a testarsi a Montecarlo, ma questa volta senza esagerare. Ancora una volta i protagonisti sono altri, come l’altro russo Akimenko e il canadese Lovett, Gimbo è solo settimo con un discreto 2,21. Tutti pensano che non sia ancora pronto per il Giappone, ma poi arriva il 1° agosto.

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Quello che è accaduto quel giorno allo sport italiano sarà raccontato ai posteri e dai posteri e il protagonista principale forse è proprio lui, Gianmarco Tamberi. La gara dell’alto a Tokyo è stata davvero strabiliante, una storia tirata fuori dalla penna più mirabile del mondo che racconta di redenzione, rivincita nei confronti del destino, capacità di superare ogni difficoltà, capacità di attendere il momento giusto, antifragilità. Gianmarco Tamberi saltando senza errori fino a 2,37 vince l’oro olimpico a pari merito con il qatariota Mutaz Essa Barshim, suo amico e grande avversario.

Quello che è successo prima, durante e soprattutto dopo quella vittoria è pura storia iconografica dello sport. Tamberi che si carica salto dopo salto, i due che decidono se è il caso di continuare a saltare oppure fermarsi lì e dividersi l’oro olimpico, il pianto senza freni di Gimbo, i suoi salti, il suo correre senza direzione, l’esultanza con il gesso che aveva bloccato la caviglia dopo Montecarlo nel 2016 su cui era scritto Road to Tokyo 2020, corretto poi in 2021. Insomma tutto faceva parte di una sceneggiatura maestosa e già pronta all’uso per qualsivoglia prodotto cinematografico si voglia realizzare.

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Dopo l’oro olimpico c’era poco altro da fare, lo confida Tamberi stesso dal tappeto rosso del Festival di Venezia. Anche se una piccola cosa rispetto all’oro c’era ancora da sistemare. Vincere le finali della Diamond League a Zurigo con un bel 2,34. Quando Tamberi afferra il diamante e si mostra insieme a tutti gli altri campioni che hanno vinto in finale e rappresentano il gotha dell’atletica leggera mondiale, come Pedro Pichardo, Armand Duplantis, Ryan Crouser, Daniel Ståhl e Marija Lasickene ha la faccia di chi sa di essere sul tetto del mondo e sa anche come restarci. Un modo migliore di questo per vivere al meglio i prossimi tre anni non ci può essere.

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