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Andrea Giani a Fanpage.it: “Il futuro della pallavolo dipenda da noi, bisogna avere coraggio”

“Stop? Scelta saggia della federazione”. Così Andrea Giani ai microfoni di Fanpage.it si è espresso in merito allo stop della Super Lega e l’allenatore di Modena si è soffermato sui protocolli anti-Covid: “Dal primo al terzo sono cambiate un po’ di cose e questo ci ha permesso di riprendere”. Sulla “Generazione di fenomeni” che ha fatto innamorare il nostro paese della pallavolo afferma: “Ogni stagione è stata straordinaria e la soddisfazione e l’adrenalina che avevamo dentro ci ha portato sempre a fare meglio”.
A cura di Vito Lamorte
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"Se uno pensa di tornare il prima possibile a giocare è un conto, se uno pensa di rimettere in moto il sistema e la macchina è un altro"Andrea Giani non ha bisogno di presentazioni per chi segue la pallavolo e per gli appassionati di sport in generale, perché è tra quegli atleti che ha reso leggendaria la Nazionale italiana, e dice la sua idea in merito alla situazione attuale della pallavolo dopo lo stop forzato per l'emergenza Coronavirus. Giangio era universale in campo ma ora è allenatore Modena Volley ed è il ct della Germania e a Fanpage.it si è soffermato sullo stop al campionato, sui protocolli delineati dalla federazione, della “Generazione di fenomeni" che ha fatto innamorare il nostro paese della pallavolo e del volley del prossimo futuro.

Una delle prime federazioni a decidere di fermare la stagione è stata quella di pallavolo: a distanza di tempo reputa giusta questa decisione o si poteva aspettare ancora un po’?
“Il discorso è legato alle strutture societarie e la federazione per una questione legata a quelli che sono i protocolli ha pensato che fosse più giusto fermarsi. In questo momento nel nostro mondo ci sono poche strutture che possono adempiere a protocolli di un certo tipo e quindi in un campionato come il nostro di 13 squadre o tutte lo possono fare o il torneo non lo puoi giocare. Noi non abbiamo finito nemmeno la regular season, quindi avremmo dovuto finire prima la stagione e poi fare i play-off. In questo, secondo me, non siamo strutturati tutti e per questo credo che le società hanno spinto per chiudere la stagione. La scelta della federazione è stata saggia".

Cosa pensa dei protocolli sanitari che sono stati stabiliti dalla Fipav per la ripresa delle attività di allenamento nel volley?
“La nostra è una federazione che ha un grande numero di tesserati, uno dei più grandi in Italia, però se noi prendiamo quello che ha fatto la Federcalcio, che ha diviso il protocollo per categorie allora viene fuori che non tutti possono fare la stessa cosa, da noi valeva per tutti e su quello c’è stata una grossa problematica legata al tipo di lavoro perché un piccolo numero di tesserati, ovvero quelli che giocano per le nazionali, nei campionati di Serie A, non potevano svolgere. Non si può fare un protocollo unico per tutti, perché i professionisti hanno bisogno di fare un determinato tipo di lavoro rispetto agli altri. Ne ho parlato anche con il presidente della Federazione e lui mi ha fatto capire, giustamente, non si sono presi la responsabilità di ripartire perché nel caso fosse partito un focolaio in una palestra la colpa sarebbe stata loro. L’obiettivo era quello di far tornare in palestra gli atleti prima possibile e i due protocolli successivi al primo ci hanno permesso di poter lavorare di nuovo. Dal primo al terzo protocollo sono cambiate un po’ di cose e questo ci ha fatto riprendere. Se uno pensa di tornare il prima possibile a giocare è un conto, se uno pensa di rimettere in moto il sistema e la macchina è un altro. Son due cose diverse e il mio pensiero non è mai stato quello delle partite ma di allenare questi giocatori. Da quando c’è stato il lockdown ho provato a capire come si potesse lavorare quanto prima con gli atleti senza pensare alle partite. Per le società è normale parlare di budget ma gli attori di tutto sono gli atleti e quindi le discussioni dovevano essere due in parallelo“.

Sono passati 30 anni dalla prima delle tre vittorie mondiali: cosa ricorda di quel ciclo vincente?
“È difficile parlarne per non è facile individuare un momento da cui partire. Io sono entrato nel 1988 e da quel momento questa squadra si è catapultata come prima del ranking e lo ha fatto per tanti cicli. Vincere tre mondiali vuol dire che per tantissimi anni sei lì a giocartela sempre. Quella Nazionale è riuscita a cambiare per un lasso di tempo lunghissimo, dal 1989 all’ultimo oro del 2005, e questo fa capire come si lavorasse sempre per migliorare. In quel momento non capisci molto, ci sei dentro e dai sempre il massimo, ma da fuori e ora che sono allenatore riesco a cogliere meglio alcune cose e non so quanti potrebbero dare vita ad un ciclo così. Dalla prima vittoria quella squadra è stata capace di generare stimoli e questo fa capire come per vincere bisogna essere sempre sul pezzo, non ti regala niente nessuno. Per vincere c’è bisogno del talento ma non solo, il resto devi guadagnartelo sul campo. Quando sei li e gli altri vengono per batterti ma tu sei sempre un passo avanti è una gran cosa. Come coscienza e come valore ricordo con piacere il terzo Mondiale. Eravamo lì sempre a spingere e confermarsi per la terza volta, come non aveva fato nessuno, vuol dire fare la storia davvero. Ogni stagione è stata straordinaria e la soddisfazione e l’adrenalina che avevamo dentro ci ha portato sempre a fare meglio”.

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Qual è il rimpianto più grande della sua carriera e quale il sogno di quella da allenatore?
“Le Olimpiadi di Barcellona e Atlanta hanno lasciato un po’ l’amaro in bocca. A Barcellona siamo arrivati quinti ma ad Atlanta abbiamo fatto la finale e il dispiacere è stato tanto, inutile nasconderlo. Per quanto riguarda i traguardi da allenatore io spero di non poter contare solo vittorie, certo partecipare a finali importanti con club e nazionale è un obiettivo per tutti, ma mi piacerebbe aiutare i giocatori di sovraperformare, di farli salire di livello. Questo sia a livello singolo che di squadra. Se avviene questo poi piano piano arrivano anche le vittorie”.

Come riesce a conciliare l’impegno con il club e quello con la nazionale tedesca?
“Per me è abbastanza facile perché sono molto stimolato soprattutto perché magari uno pensa che la pallavolo sia uguale invece quella che si gioca a livello internazionale è una cosa, quella che si gioca da noi è un’altra. Nel modo di allenare, la cultura che acquisisci stando a contatto con nuove persone. Ci vuole energia, e questa ne ho abbastanza. È chiaro che a livello familiare qualcosa lasci ma per la passione che ho per questo sport mi fa sempre lavorare con grande entusiasmo”.

Cosa pensa della decisione di Ivan Zaytsev di andare in Russia?
“Dobbiamo innanzitutto fare un discorso di categorie e noi certamente con Zaytsev, Anderson e Bednorz ne abbiamo persi tre di  prima fascia. Sostituirli non è semplice perché hanno un costo molto alto però se non bisogna fare i conti in tasca ai giocatori non bisogna farli nemmeno alle società. È facile promettere e poi non mantenere e dire ‘mi sono sbagliato’. Ci dispiace perdere certi giocatori ma è una condizione del mondo reale, non è un capriccio. Mi dispiace molto perché sono anche molto legato a Ivan ma non si poteva fare altrimenti. Questa è una stagione in cui i conti sono importanti e bisogna stare attenti. Bisogna essere bravi ad avere ciò che si ha”.

La campagna abbonamenti lanciata da Modena sta riscuotendo un grande successo e in tanti hanno chiesto di non usufruire dello sconto del 30%: c’è qualcosa che vuole dire ai suoi tifosi in vista dell’anno prossimo? 
“È una situazione pazzesca. Viviamo in una città dove la pallavolo è storia ma pensare che così tante persone (più di 1300 abbonamenti in tre settimane e mezzo, molti di questi hanno lasciato anche lo sconto ndr) abbiano risposto all’appello della nostra presidentessa, con tanta gente che incontri ogni giorno interessata ma che non sa quando potrà tornare nel palazzetto è incredibile. Tutto quello che riusciamo a fare è chiaramente per loro, per i tifosi, e la città ha sempre una parte importante in un club”.

Quanto la preoccupa il futuro del volley dopo l’incertezza di questi mesi?
“Non mi preoccupa perché molto dipende da noi. Vale sulla parte tecnica e su quella manageriale. La nostra capacità determina un risultato. Viviamo il mondo reale, lo vediamo e lo conosciamo, ma dipende da noi cosa vogliamo fare. Se non ci spaventa l’uscita dalla zona di comfort le armi sono tante, ma per poterle cogliere bisogna avere il coraggio di fare passi che spesso non si ha il coraggio di fare”.

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