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Gabriella Pession: “La Porta Rossa ha cambiato l’idea di fiction in Italia”

Intervista all’attrice, tra i protagonisti della terza stagione de La Porta Rossa 3. Un racconto che si chiuderà proprio con questa terza stagione: “Tre è il numero perfetto, volevamo mettere un punto al racconto”.
A cura di Andrea Parrella
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Il ritorno in Italia di Gabriella Pession passa da La Porta Rossa. La serie di Rai2, giunta alla sua terza e ultima stagione, è il simbolo di un ritorno dopo tempo sul piccolo schermo in Italia e anche della scelta di tornare a vivere a queste latitudini con la sua famiglia dopo un periodo trascorso in America. "Siamo fissi in Italia da giugno e sono molto felice di questa decisione, oggi stavo prendendo un caffè al Pantheon, mi ha messo di ottimo umore", racconta a Fanpage.it in un'intervista in cui ci aiuta ad analizzare l'impatto de La Porta Rossa sul pubblico televisivo italiano e ci racconta di più di questo momento della sua vita e carriera.

Partiamo dalla terza stagione, su cui c'era sempre stata un po' di incertezza in termini di fattibilità. Era solo un'impressione?

Abbiamo sempre pensato di farla per chiudere il cerchio, il Covid ha comportato grossi ritardi. Io vivevo in America e Lino Guanciale era molto impegnato, fattori che hanno fatto slittare la realizzazione, ma la volontà di mettere un punto al racconto c'è sempre stata e io sono contentissima del risultato. A livello narrativo è una terza serie esplosiva a livello narrativo.

È una conclusione definitiva?

Credo il numero perfetto sia tre, si conclude un ciclo che era già nato per essere finito con la prima serie. Poi l'enorme successo ci ha fatto capire di avere in mano qualcosa di potente e originale. Forse la seconda, per questa stessa ragione, era più imprevista, ma la terza non è mai stata in dubbio.

Serie Tv che ha cambiato fiction in Italia, è quello che si dice de La Porta Rossa. Avete percepito da subito che questo prodotto potesse avere un tale peso?

È una serie spartiacque, ha rappresentato un modo differente di raccontare emozioni, personaggi non bidimensionali, più reali, sono tutti umani, con rotture dentro, cose irrisolte, spinte verso cose differenti. L'incontro di vicende umane attraverso questo racconto, la linea orizzontale di Cagliostro e Anna, ha fatto sì che anche il pubblico di Rai1, abituato a narrazioni più tradizionali, si appassionasse. Il cuore caldo del racconto resta un tema universale, la morte, la perdita di una persona a cui teniamo e che cosa ci sia dietro la vita. Se declini questi temi in una modalità di racconto diversa, un codice differente, crei un nuovo spaccato di pubblico.

Parlava di distacco dalle persone amate. Nonostante fosse lavoro anche voi vi siete misurati con la cosa. È stato complesso?

Complesso sì, ma in un certo senso anche catartico, liberatorio e poetico. Io penso ci siano scene tra me e Lino, nonostante lunghi silenzi, che hanno determinato un'atmosfera magica. Questi silenzi, il non parlarsi ma sentirsi in maniera non corporea, comunicare attraverso una presenza che non si percepisce con i sensi.

La nuova regia ha rappresentato una discontinuità rispetto alle stagioni precedenti?

L'armonia è totale perché Carmine Elia (regista delle prime due stagioni, ndr) è stato un grande maestro di Giampiero Tescari. Ovviamente è una mano diversa e si deve riconoscere un imprinting, nonostante l'omogeneità.

Racconto per Tv generalista o prodotti più atipici come La Porta Rossa. Avendo fatto entrambe le cose preferisce uno dei due percorsi?

Non credo in categorizzazioni così nette e scritte su pietra, dipende molto dal progetto. Sono piuttosto flessibile e cerco di capire che personaggio interpretare e con quale pubblico parlare. Indubbiamente quando ho fatto La Porta Rossa avevo voglia di confrontarmi con un racconto meno generalista in quel momento perché venivo da diversi anni in cui avevo fatto molti prodotti rivolti alla generalista. Però non ho una preclusione, cerco sempre di essere neutrale e obiettiva, in base a quello che sto leggendo. La scrittura conta più di ogni altra cosa.

Se il cinema è in difficoltà, da anni la Tv sembra infierire. Che percezione avete voi addetti ai lavori?

Indubbiamente c'è stato un enorme cambiamento dal cinema alla televisione. la tendenza è nata in America e questo ha creato un cambio di marcia, che ha permesso allo strumento della Tv di non essere più visto come qualcosa di serie B. Finalmente vediamo ottimi prodotti televisivi anche in Italia, soprattutto perché il pubblico sta faticando ad andare in sala.

E come fa il cinema a tornare a incidere?

Credo dovrebbe tornare a raccontare storie di umanità, che non vadano nella direzione della spettacolarizzazione assoluta, cosa che ci colpisce molto meno di quanto facesse un tempo. Il fatto che in questo cinema noi non avremmo competizione perché non abbiamo tradizione forte, paradossalmente ci dà un vantaggio, perché siamo sempre stati bravi a raccontare storie. Questa strada potrebbe nobilitare di nuovo l'esperienza della sala, cosa che si sta un po' perdendo. Anche perché c'è da dire una cosa: i due generi vanno salvati ma non sono la stessa cosa, due tipi di racconti differenti e dovremmo renderci conto di questa cosa.

Da qualche tempo segue percorsi lavorativi da impresaria e produttrice. Qualcuno potrebbe pensare sia stanca di fare l'attrice, è così?

Assolutamente no. In Italia si ama molto etichettare le cose e in America ho imparato che una persona può spaziare e fare esperienza di altro. Io continuo a fare l'attrice che è un mestiere che amo, adoro e fa parte di me, ma parallelamente ho iniziato a sviluppare mie idee e miei progetti. In questo caso sto scrivendo una serie insieme a Endemol per la Rai insieme ad altre tre autrici, sto cercando di scrivere il mio primo film con Anna Pavignano, ho acquistato i diritti per uno spettacolo a teatro. Seguo un percorso che non è più solo lineare, ma si dirama. Detesto l'idea di poter essere solo una cosa, purtroppo questa cosa incontra dei pregiudizi, però io me ne frego.

Fare cose diverse, seppur nello stesso campo, non rischia di distogliere attenzione?

È un percorso molto fisiologico, negli Stati Uniti è molto strano che un attore faccia solo l'attore per tanti anni. Credo sia un'evoluzione organica e fisiologica che dopo tanti anni di set, almeno nel mio caso, è venuto fuori come qualcosa di naturale che doveva espandersi. Non so che risultati avrà, ma è un problema che non mi pongo, so che a livello mio, creativo, se non mi fossi concessa questo spazio forse mi sarei stufata. Credo che il nemico più grande della creatività sia la noia.

Insomma, il vero risultato è fare qualcosa, non arrivare a qualcosa.

Sono d'accordo. Da grande appassionata e lettrice di Eckhart Tolle ho capito che ciò che è importante è ciò che fai ora, poi quello che arriverà è cosa diversa. Dare valore a ciò che fai nel momento è cosa molto difficile, fatichiamo anche a coniugarla con la nostra cultura. La nostra società ci insegna l'opposto, il narcisismo, il dover raggiungere chissà quali obiettivi, ma è l'anticamera dell'infelicità e delle depressioni. Cercare di essere radicati nel momento dà una grande libertà perché ti toglie il fardello delle aspettative.

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