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Da Non è l’Arena a DiMartedì, perché Sallusti è diventato improvvisamente un eroe

In pochi giorni il direttore di Libero ha indovinato due interventi televisivi che gli hanno procurato gloria sui social. A dimostrazione del fatto che quel web che bistratta la Tv dei talk show sia, in parte, lo stesso fattore che legittima la persistenza di questo modello.
A cura di Andrea Parrella
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Prima Non è l'Arena, poi DiMartedì. In soli due giorni Alessandro Sallusti è assurto a eroe per due frammenti che gli hanno procurato grande attenzione e apprezzamento da parte di una fetta consistente di "popolo del web". Il direttore di Libero ha messo a segno il primo gol domenica scorsa, durante la discussa puntata di Non è l'Arena che Massimo Giletti ha condotto da Mosca. Ospite della trasmissione in collegamento, il giornalista si è dissociato dall'impostazione della trasmissione, criticando nel dettaglio gli ospiti della puntata, dalla portavoce di Lavrov, Maria Zacharova, al produttore televisivo Soloviev. Sallusti aveva quindi abbandonato il collegamento con queste parole:

A me fa tristezza vedere un giornalista che stimo venir chiamato “bambino” e “incompetente” da una cretina (Maria Zacharova, ndr) che non sa nemmeno di che cosa sta parlando, perché noi la libertà ce l’abbiamo e sappiamo che cos’è e ce la difendiamo, io di fare la foglia di fico a quegli altri due coglioni che hai di fianco non ci sto e quindi rinuncio al compenso pattuito, ma a questa sceneggiata non voglio più partecipare.

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Il secondo exploit è arrivato nella puntata di DiMartedì del 7 giugno, quando Sallusti, stavolta ospite in studio, ha dibattuto con Alessandro Di Battista rispondendo all'ex 5 Stelle in merito alle "foto segnaletiche dei filo putiniani" pubblicate dal Corriere della Sera in prima pagina. Il direttore di Libero, pur condividendo il pensiero di Di Battista, gli ha ricordato le liste di proscrizione dei giornalisti del Movimento 5 Stelle. Quando Di Battista gli ha chiesto di dissociarsi dalle parole di Berlusconi che chiedeva all'Europa di collaborare per convincere gli ucraini ad accogliere le richieste di Putin ("perché non ha le palle di farlo? Hai paura?"), Sallusti ha prontamente risposto: "Non ho paura e non ho condiviso quello che ha detto Berlusconi. Sei tu che hai paura, ti rendi conto che stai zittendo un giornalista? Tu sei lì per rispondere alle domande, non per farne".

Al di là del merito della discussione, resta un dato di fatto: la televisione continua a consacrarsi attraverso i meme. Brevi frammenti dei criticatissimi talk show che circolano e dettano la linea, alimentando una dinamica di posizionamento degli ospiti televisivi, a loro volta ben consci di quanto un intervento efficace di pochi secondi possa oscurare completamente un flusso di ore di trasmissione. Un dettaglio che era emerso anche con un altro giornalista, Antonio Caprarica, che in pochi giorni aveva infilato alcuni interventi particolarmente riusciti, finiti sui social in forma di particelle, che lo avevano consacrato come l'anti Orsini nel dibattito sul conflitto in Ucraina.

Una logica premiante che legittima (o delegittima) i vari ospiti dei talk show, ma che tiene in vita questo stesso genere televisivo, mai sotto attacco come in questo momento storico. Quasi a dire che quel web così drasticamente schierato contro il sistema televisivo, sia diventato il carburante stesso che giustifica un modello di informazione tanto bistrattato. Forse dovremmo dirci chiaramente che, pur odiandoli, senza talk show non sapremmo stare.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare la realtà che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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