Salvatore Esposito: “Questo paese tende a relegarti in un’unica figura, ma bisogna fottersene”

Durante la rassegna Cinecì a Palma Campania, Salvatore Esposito ha lanciato un messaggio potente sul ruolo sociale del cinema, trasformando l’evento dedicato al rapporto tra pellicola e cibo in un momento di riflessione geopolitica profonda.
Cinema come riflettore globale sui conflitti
L’attore napoletano, noto per il suo Genny Savastano in Gomorra, ha sottolineato l’importanza di guardare oltre i confini nazionali: “È importante vedere film che arrivano da ogni parte del mondo perché sono riflettori accesi. Perché possiamo parlare di Palestina, di Ucraina, di Uganda, di tutti i posti che adesso sono in difficoltà”. Un parallelismo che Esposito ha tracciato con la sua esperienza più famosa: “Anche quando facevamo Gomorra, era un riflettore acceso. Ci dicevano che eravamo negativi, io ho sempre risposto: perché invece non aiutate voi queste famiglie e questi ragazzi in difficoltà?”
Una dichiarazione che rivela come l’attore interpreti il suo lavoro non come semplice intrattenimento, ma come strumento di denuncia sociale. La serie che ha reso celebre Esposito non era solo cronaca di camorra, ma un modo per portare sotto i riflettori una realtà troppo spesso ignorata dalle istituzioni.
La battaglia contro le etichette nel cinema italiano
Con la schiettezza che lo contraddistingue, Esposito ha affrontato anche il tema delle categorizzazioni nel mondo dello spettacolo. Sui ruoli da cattivo che spesso gli vengono affidati, l’attore non usa mezzi termini: “Questo è un paese che tende a darti un’etichetta, a relegarti in un’unica figura ma io me ne frego. E dico ai giovani di fottersene”. Un consiglio diretto, privo di giri di parole, che riflette la sua filosofia professionale. Esposito sembra suggerire che la vera libertà artistica passi attraverso il rifiuto di farsi imprigionare in stereotipi, anche quando questi potrebbero garantire successo immediato.