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Franca Gandolfi, vedova di Domenico Modugno: “Era un dongiovanni, ma gli ho perdonato tutto”

La vedova di Domenico Modugno, oggi 91enne, racconta la vita accanto a Mister Volare: “Mi aveva colpito non il dongiovanni, ma quel mondo interno che si portava dietro dal paesino, fatto di storie popolari di minatori e folletti”.
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Franca Gandolfi è la vedova di Domenico Modugno. Oggi ha 91 anni e racconta della grande epopea vissuta accanto a suo marito, scomparso nel 1994 a Lampedusa. A trent'anni dalla sua scomparsa, un'intervista per ricordare "Mister Volare", geniale cantante e attore, artista a tutto tondo, vanto e orgoglio italiano in Europa e nel mondo. "Era un dongiovanni", rivela, "ma gli ho perdonato tanto".

Le parole di Franca Gandolfi

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Franca Gandolfi, nel corso di una intervista al Corriere della Sera, ha rivelato di essere stata presente alla creazione della canzone più popolare della storia italiana, "Nel blu dipinto di blu (Volare)".

In genere Mimmo scriveva canzoni in 5 minuti ma quella volta fu diverso. Lui e Franco Migliacci ci lavorarono molto. Mancava il ritornello e nacque davanti a me. Abitavamo a Roma, in un piccolissimo appartamento. C’era un piano verticale, c’erano le finestre aperte e si annunciò un temporale. Il vento fece volare via tutti i fogli e lui iniziò, quasi come uno sciamano, a ripetere volare oh oh… Ahimè ho perso la registrazione, non trovo più la cassetta.

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"Non fu amore a prima vista, gli ho perdonato tanto"

Franca Gandolfi spiega di come è nato l'amore che non fu affatto ‘a prima vista': "Per niente…per un anno lo tenni alla larga. Aveva tante fidanzate al Centro… Per gli uomini era un mascalzone; per le donne un simpatico spaccone. Fu alla festa di fine anno in un ristorante ai castelli, a Monte Cavo, che cambiai atteggiamento. Lui stava con Giulia Lazzarini, erano i due più bravi del corso, stavano ballando insieme quando l’orchestra attaccò la marcia nuziale… Lui schizzò via dalla pista, lei si andò a sedere sulle gambe di Vittorio Congia e ne nacque una lite. Sulla via del ritorno era da solo e mi chiese di tornare insieme col bus". 

Mi aveva colpito non il dongiovanni, ma quel mondo interno che si portava dietro dal paesino, fatto di storie popolari di minatori e folletti, un miscuglio sociale che mi ricordava la mia infanzia a Palermo: vivevamo all’interno dell’aeroporto di cui papà era comandante. Passavo le giornate su una magnolia come il Barone rampante di Calvino, e al tramonto vedevo i contadini che tornavano a casa cantando nenie. […] Ho vissuto la sua malattia con grande tenerezza e gli ho perdonato tutti i tradimenti. Aveva perso tutto: non poteva più essere né il dongiovanni, né l’artista. Siamo tornati a vivere attaccati, per dieci anni, come prima del successo.

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