Marco Frittella in pensione dalla Rai: “Mi mancherà la sigla del Tg1. Non si può ridurre un’azienda complessa a TeleMeloni”

Marco Frittella, giornalista e volto storico del Tg1 e di diversi programmi Rai, da qualche settimana è in pensione: "Dalla Rai dal 12 luglio, ma non sono in pensione come giornalista. Ho scritto libri, dirigo una rivista, ora ne ho un altro in mente sulla prima Repubblica". In una lunga intervista ripercorre gli anni della sua carriera passati a raccontare la politica tra radio e tv, aneddoti storici da raccontare e uno sguardo sulla televisione di oggi, ma c'è una cosa che gli mancherà sempre: "La sigla del Tg1".
La rivoluzione di Linea Verde e la sfida con Mediaset
La prima matricola in Rai è datata 1979, da lì sono cambiate redazioni, programmi, direttori. Tra le trasmissioni a cui ha collaborato, giovanissimo, c'era Agricoltura Domani:
Ero l’autore dei testi, insieme a Giovanni Minoli e Federico Fazzuoli. L’abbiamo trasformata in Linea Verde. Siamo stati i precursori del green, che nel ‘79 era roba da figli dei fiori. Abbiamo coinvolto volti noti, volevamo essere generalisti. Paola Perissi, Marta Flavi, Catherine Spaak che provava le marmellate più salutari. Facevamo 5 milioni di telespettatori.
Ancora oggi, lo share, è un elemento fondamentale per chi lavora nel settore: "È una cosa maniacale in tv. Alle dieci della mattina arriva la sentenza. All’epoca, però, non era così. Quando ero al Tg1 facevamo il 38%. Anche se ricordo bene quando Marcello Sorgi, allora direttore, ci convocò tutti perché facemmo “solo” il 33%. Una bella lavata di capo". La concorrenza, quella vera, arrivo con Mediaset: "Con Enrico Mentana, con il Tg5. La sua sacra missione era batterci".
Dalla politica passando per la Radio e arrivando al Tg1
Eppure il Tg1 era ed è il principale organo di informazione televisiva e infatti Frittella racconta: "Il Tg1 era il telegiornale. Tant’è che ho mantenuto una mia piccola civetteria: da conduttore chiudevo dicendo: "Il telegiornale si ferma qui". La televisione, però, non è stata la prima la scelta:
Prima della Rai sono stato il capo ufficio stampa della Democrazia cristiana, alla Camera. Avevo 24 anni. Non sapevo nemmeno dove si entrasse a Montecitorio. Facevo ancora avanti e indietro da Ancona. Mi chiamò un deputato e accettai. Gestivo 263 onorevoli, era l’VIII legislatura.
Dopo quella esperienza, fu il momento del Giornale Radio2: "Sì e quando andai al Tg1, Paolo Frajese mi prendeva in giro: “Voi della radio non capite un ca… vi spiego io come funziona la tv”. A forza di frustate, l’ha fatto". Ma se dovesse riconoscere un vero maestro dirette Demetrio Volcic: "Il direttore a cui ho voluto più bene insieme ad Albino Longhi, che mi ha chiamato al Tg1 e mi ha dato la conduzione nel 2001". Durante il periodo in radio fu quirinalista, seguì gli ultimi due anni di Francesco Cossiga: "Ci fece diventare matti", ma Frittella ricorda anche quella che fu ai tempi la chiacchierata più divertente:
Feci la domanda più stupida della mia vita a Giulio Andreotti. Aria di crisi di governo, lui era presidente del Consiglio. Sul portone di Montecitorio gli chiesi la prima cosa che mi venne in mente. “Presidente, come andrà a finire?”. Considerate che parlare con Andreotti era sempre difficile. Mi disse: “Fijo mio, manco è cominciata”.
La politica in Rai e TeleMeloni
La televisione di oggi è diversa da quella in cui Frittella ha mosso i suoi primi passi: "È cambiata. Quando sono entrato sentivi la centralità della Rai, del Tg1. La mentalità del monopolio. Forse eravamo miopi. Oggi è diverso, non è un problema di politica". Parlando della presenza, talvolta ingombrante, della politica in Rai commenta:
Il rapporto con la politica è consustanziale alla Rai. Lo è sin dalla nascita. Parliamo del servizio pubblico. Poi, nel ‘76 ci fu la cosiddetta lottizzazione, anche se piuttosto bisognerebbe parlare di pluralismo. Il Parlamento era l’editore, tutte le voci politiche andavano ascoltate. Il miglior interprete fu Biagio Agnes.
E su TeleMeloni, il giornalista ha un'idea piuttosto chiara, infatti dichiara:
Il problema è sempre lì: il pluralismo. Parlare di TeleMeloni vuol dire parlare di TeleRenzi, di TeleConte. L’influenza è stata portata sotto il governo. Senza le nuove leggi, con lo spirito del ‘76 questo problema non ci sarebbe. Ridurre un'azienda complessa, ricca, importante come la Rai a TeleMeloni, comunque non si può.