Francesco Montanari: “Il maschio alfa non esiste più, siamo tutti alla ricerca di nuove istruzioni d’uso”

A Fanpage.it c'è Francesco Montanari, protagonista della nuova serie Netflix "Maschi veri", in cui interpreta Riccardo, un traditore seriale che va in crisi quando la sua compagna gli propone una relazione aperta. Un personaggio che rappresenta perfettamente la crisi del maschio contemporaneo, costretto a confrontarsi con modelli di relazione che mettono in discussione le certezze su cui ha costruito la propria identità.
La serie, disponibile su Netflix e adattata dalla serie spagnola "Machos Alfa", racconta la storia di quattro amici quarantenni – interpretati oltre che da Montanari anche da Maurizio Lastrico, Matteo Martari e Pietro Sermonti – che si ritrovano a dover fare i conti con i propri pregiudizi in un mondo che evolve verso la parità di genere. Un viaggio comico e al tempo stesso profondo nelle contraddizioni del maschio moderno. Nell'intervista, Montanari ci parla non solo del suo personaggio e del rapporto con il cast, ma si esprime anche sulla recente polemica tra il ministro Giuli e l'attore Elio Germano: "Ha dato voce a tutto il settore, che è in crisi e non è un mistero. Si è elargito tantissimo denaro per film che poi sono stati realizzati, ma che non hanno mai avuto vita. Vanno riformate tante cose ma adesso serve creare un tavolo".

In Maschi Veri sei Riccardo, un traditore seriale che si ritrova in crisi quando la propria compagna gli propone una relazione aperta.
Riccardo, tra i quattro protagonisti, all'apparenza è il più semplice. È il più binario, è un uomo senza ambizione se non quella della propria soddisfazione nell'acquisire un valora dalle conquiste. Questa faccenda della seduzione, per lui, è più profonda di un semplice gioco. È un uomo insicuro. Lui, invece, ha Ilenia al suo fianco che è una donna di successo, bellissima e ragiona un po' come quello stereotipo che spesso noi maschietti ci raccontiamo, o ci siamo raccontati.
Quale?
Che è nella biologia dell'essere maschio essere un traditore, a differenza della donna, perché la donna se tradisce, lo fa con la testa, se tradisce vuol dire che è innamorata e allora è finita. L'uomo è così, si sfoga, diciamo. Ma quando dall'altra parte c'è la possibilità di fare qualcosa di diverso, va in crisi il suo essere maschio. Tant'è che poi c'è una scena in cui lei proverà a proporgli di farlo insieme a un altro uomo, lui proprio lì è categorico, per lui non è possibile. È chiaro che essendo una commedia, è tutto scritto in maniera che la storia porti alla risata, no? Però quando gli viene proposto di aprire la coppia, lui soffre davvero.
Dal tuo punto di vista, quanto è difficile per gli uomini della nostra generazione adattarsi a questo modello di relazione?
Secondo me, la grande sfida per un uomo che dovesse trovarsi in una situazione del genere, è vincere l'istintivo senso di dominio, no? A me non è mai capitato, ma conosco persone che applicano questo modello e sono persone molto serie, molto felici, almeno così si raccontano. Sono coppie che stanno insieme da tanto tempo e che hanno trovato questa possibilità.
E su questo aspetto, la donna è più avanti?
La donna è più avanti rispetto all'uomo per tante ragioni. La prima è che ha dovuto fare e sopportare da secoli certe cose. Come dice Brunori, "maschio etero bianco, sei in crisi". Perché noi non abbiamo geneticamente il senso di rivalsa, né di ribellione, perché siamo sempre stati dominanti. Il maschio, adesso, ha perso proprio dei punti di riferimento e non ha il libretto d'istruzioni d'uso, quindi è veramente un po' sperduto.
Ilaria, la compagna di Riccardo, è interpretata da Sarah Felberbaum. Com'è stato il rapporto con lei sul set?
Con Sarah ci conosciamo da vent'anni. C'è grande confidenza professionale e ci siamo subito trovati una linea chiara. Ci siamo chiesti: ma com'è che una come Ilenia sta con uno come Riccardo?

Che risposta vi siete dati?
Ci siamo detti che una come Ilenia sa perfettamente che con Riccardo potrebbe sentirsi pienamente libera. Perché non avrà mai un uomo accanto che le impone la propria volontà. È un uomo che un po' può giostrare come vuole, ma è anche un uomo che riesce a farla ridere perché questa sua genuinità semplice. Lei è una donna che ha combattuto per essere una donna in carriera, divorziata, avrà già fatto le sue riflessioni interiori da donna, pensiamo alla maternità, e sa che Riccardo non le chiederà mai niente di più.
Nella serie il tuo personaggio gestisce un bistrot che diventa punto di ritrovo e sfogo per i quattro amici. Nella vita reale hai un posto simile?
No, nella vita reale non ho un baretto del genere perché sto sempre in giro. Più che altro ho degli amici, quindi quando torno, ci si vede a casa.
Com'è stato il rapporto con Martari, Sermonti e Lastrico? Chi è stato il più "alfa" tra voi?
Ma guarda, devo dire la verità, noi siamo stati fortunati da questo punto di vista perché ci siamo subito tutti messi nella miglior predisposizione e devo dire che ci siamo innamorati l'uno dell'altro. E questo è stato bello perché poi tra l'altro, chiaramente come tu sai, l'audiovisivo non gira in senso cronologico. Noi abbiamo girato subito scene in cui si doveva vedere questa amicizia, questo branco, quindi devo dirti che siamo stati fortunati. Poi, ci siamo suddivisi i ruoli proprio come siamo nella vita. Sermonti è quello molto più attivo, goliardico pieno di battute che tiene alto l'umore. C'è Maurizio Lastrico che tira fuori delle riflessioni, c'è Matteo Martari che è più silente, però poi quando parla te ne accorgi e io sto lì che mi barcameno in queste quattro umanità, perché ancora non ho ben capito il mio ruolo sociale (ride, ndr).
Dal Libanese a oggi, ti mancava questo modello maschile tra i tuoi personaggi?
Io ho sempre fatto comunque, a parte questa serie, personaggi romanzati, pur essendo ispirati magari a persone veramente esistite, erano dominanti, no? Dominanti, decisionali, leader. Anche Savonarola, che ho fatto nei Medici, era un leader. Riccardo chiaramente non lo è, Riccardo è uno che non vorrebbe che niente cambiasse e si smuovesse dal suo equilibrio, non è un decisionale, però è uno che secondo me poi nel profondo, costretto ovviamente a una riflessione indotta e obbligata, è sensibile, diciamo che forse è quello che ha più paura a mostrare la sua parte vulnerabile. Ha i genitori che lo chiamano ancora "pulce". Ha un lato molto infantile, è un ragazzotto che non vuole ancora crescere.

Hai vinto una Palma d'oro a Cannes per "Il cacciatore", eppure se n'è parlato poco.
Dal mio punto di vista quella Palma d'oro è come se non l'avessi presa per i media italiani, a cominciare dal fatto che io sono uscito da lì e ho fatto l'intervista con il New York Times e non c'era nemmeno una sola rivista italiana. È vero che era la prima edizione del Series (il Cannes International Series Festival, la Palma d'oro per le serie tv, Francesco Montanari ha vinto quella di miglior attore protagonista, ndr), non era il classico Festival del Cinema di Cannes e quindi, sai, magari noi da questo punto di vista siamo un po' un diesel.
Sono state giornate caldissime, a proposito di cinema, sull'asse Giuli-Germano. Che idea hai?
L'audiovisivo italiano è in crisi e non è un segreto. È un dato di fatto perché, come dire, è stato chiuso il rubinetto. Posso dire, sicuramente, che andavano controllate, riformate tante cose. Ma ciò che andava riformato era proprio il sistema in sé. Quando tu chiudi tutto senza aver portato una pars construens, rischi il cortocircuito irreparabile. Credo che questo è quello che volesse dire Elio, che non ha parlato a nome suo, lo ha fatto in un contesto che è quello della festa del cinema d'Italia, no? Un vincitore del premio, uno degli attori più importanti che abbiamo in Europa e nel mondo ed ha esposto una vox populi. Ci sta pure, posso dirti, che magari la risposta istintiva del ministro sia stata presa a caldo, no? Quindi, insomma, non è successo niente di grave, però spero che ci sia una tavola rotonda per capire come affrontare veramente la questione. Bisogna andare avanti, insomma.
Ecco, proviamo a spiegarlo però a chi non fa questo mestiere cosa significa davvero aiutare un film, aiutare una pellicola a uscire in sala.
In linea di principio, partiamo dal fatto che è giusto che la cultura vada sovvenzionata dallo Stato. Il problema è che nel nostro paese la cultura è diventata soggetta all'elemosina. Perché se tu sei soltanto sovvenzionato in merito a crediti produttivi, crediti artistici, crediti tecnici, che cosa succede? Succede che l'avente diritto è soltanto colui che già ha un curriculum. Capisci?
Sì.
Che giustamente percepisce una fee produttiva per aver fatto quel lavoro, però se non c'è un controllo nell'investimento e quindi se il produttore si occupa giustamente soltanto di fare il film, perché è quello il suo lavoro, non ci sarà nessuno che poi si occupi, magari per rapporti forti, per relazioni, per investimenti, per economie, per vantaggi o svantaggi, di fare in modo che questo film abbia una vita. Quindi in base a questo principio si è elargito tantissimo denaro per film che poi sono stati realizzati, ma che non hanno mai avuto vita.
C'è stato anche un periodo dove i film sono usciti in sala giusto tre giorni prima di essere ricollocati al mercato dello streaming.
Eh sì, quello era per prendere il tax credit. Ma oggi senza tax credit nessuno può realizzare niente, o comunque possono farlo pochissime persone. Perché il produttore negli anni non è più diventato l'imprenditore, cioè il finanziatore economico, ma il procacciatore di denaro, nessuno ha più da anticipare il denaro per fare il film.
A proposito di altri ruoli nel mondo del cinema, tu riesci a vederti in futuro dall'altra parte?
Assolutamente. Ho scritto la mia opera prima e sto cercando di metterla in piedi, ma non posso dire di più.
Del teatro, invece, possiamo parlare.
Assolutamente. Co-dirigo il Teatro di Narni insieme a Davide Sacco, mio socio che è anche autore e regista del Medico di Maiali, questa è la nostra terza produzione con Ilaria Ceci, Luca Bizzarri, David Sebastiani e Mauro Marino. Poi riprenderò L'uomo più crudele del mondo dove siamo io e Lino Guanciale come attori, testo e regia sempre di Davide Sacco, poi ci sarà la Storia di un cinghiale che invece è uno spettacolo che ho fatto al Piccolo di Milano, prodotto dal Piccolo di Milano insieme a Carnezzeria ed è un monologo di Gabriel Calderón, un autore uruguaiano, ex direttore dello Stabile dell'Uruguay, molto in voga nel mondo sudamericano, molto bravo che ha curato anche la regia.
Quest'anno torna anche in Narni Città Teatro che curi come direttore artistico.
Sempre insieme a Davide Sacco, sì, il 6-7-8 giugno. È fantastico. La città di Narni diventerà tutta un teatro, ci saranno circa 50 eventi H24 in tre giorni. Avremo tantissimi ospiti: Roberto Saviano, Bergonzoni, Concita De Gregorio, Piovani e tanti altri. Sono più di 50 ospiti e sarà una vera festa. L'anno scorso abbiamo realizzato circa 7000 presenze, è il festival più giovane dell'Umbria riconosciuto dal Ministero dopo il Festival dei Due Mondi di Spoleto.