Daniela Poggi: “Lasciai Chi l’ha visto dopo 4 anni. Incantesimo un grande successo, era meglio delle fiction di oggi”

Una famiglia con l’arte in casa: nonno e zio tenori, padre mercante d’arte e cugino pittore. Un curriculum che Daniela Poggi ha arricchito in quasi cinquant’anni di carriera, divisi tra televisione, cinema e spettacoli teatrali. Nata a Savona nel 1954, dopo il diploma in lingue lavorò come animatrice in un villaggio turistico in Tunisia. Un’esperienza che la avvicinò inevitabilmente al pubblico.
Il primissimo approccio sul piccolo schermo avvenne nella sua Liguria, nientemeno che a Sanremo. La Poggi, infatti, era tra le ragazze che nel 1977 si esibirono al Festival durante la performance dei Matia Bazar, in gara col brano ‘Ma perché’. “Volevano delle giovani ragazze che ballassero sul loro brano e la mia agenzia di Milano mi segnalò”, racconta l’attrice a Fanpage.it. “In quel periodo facevo già la modella e venivo da studi di danza effettuati sin da bambina”.
L’anno successivo arrivò il debutto a teatro al fianco di Walter Chiari, mentre in tv sopraggiunse la chiamata di Telemilano, piccola creatura che l’emergente Silvio Berlusconi avrebbe trasformato successivamente in Canale 5. “Mi proposero di far parte del programma ‘Edizione Straordinaria’ assieme a Bruno Lauzi. Berlusconi lo incontravo alle riunioni. Una persona carina e disponibile. Gli piaceva far parte del mondo della redazione e stare in contatto con gli artisti. Quello fu un bellissimo periodo”.
Gli impegni tra teatro e televisione proseguirono parallelamente.
Dopo Walter Chiari lavorai con Pietro Garinei. Contemporaneamente feci sull’allora Rete 1 ‘La sberla’, a cui seguì ‘Azzurro’ sul secondo canale. Ancora vivevo a Milano, c’era un grande fermento artistico e la mia agenzia mi faceva lavorare tantissimo.
Fu prolifica anche al cinema. Lavorò, tra gli altri, con Corbucci, Steno e più volte con Pippo Franco, che la diresse ne “La gatta da pelare” e la affiancò nel mitologico “Il tifoso, l’arbitro e il calciatore”.
Ammetto di aver avuto sempre partner deliziosi. Pippo Franco, ma pure Lando Buzzanca, Johnny Dorelli, Enrico Montesano. Persone meravigliose con le quali stabilii un rapporto stupendo. Era bello stare sul set, ci si divertiva un sacco, c’era grande serenità e gioia nello stare assieme. Si respirava un clima più giocoso rispetto ad oggi.
Cosa intende?
Il tempo era più diluito, si poteva parlare, girare con calma. Ora c’è una fretta produttiva incredibile. Senza contare che prima provavi molto. Si girava in pellicola e la pellicola costava, quindi prima di dare un ciak si doveva possedere una certa sicurezza. Adesso col digitale, con la scusa che si possono realizzare milioni di scene, non hai mai il tempo di provare davvero.
É stata soprattutto un’icona delle fiction. “Incantesimo” è la serie che l’ha avvicinata maggiormente agli spettatori.
Il mio personaggio, Cristina Ansaldi, ha lasciato un ricordo indelebile. In giro la gente ancora mi ferma e si ricorda quel nome e cognome. Quando lasci un segno così importante significa che hai fatto una buona interpretazione. Devo dire che Gianni Lepre, il regista di tutta la prima fase, fu fantastico. Diede a tutto il cast un imprinting preciso. Ciascuno di noi lavorò al proprio personaggio in modo eccellente. Avevamo un look definito e nulla venne improvvisato.
Prese parte alle prime due stagioni, poi riapparve nella quinta, settima e ottava. Quando la serie si trasformò in soap pomeridiana lei se n’era già andata.
Il mio ruolo si era già esaurito nella prima parte e aveva avuto una sua chiusura. Venni richiamata proprio perché il personaggio piaceva tanto. Il pubblico voleva Cristina e si inventarono un mio ritorno immaginando che mio marito avesse perso la memoria, così da non ricordare la mia cattiveria passata. Alla fine si giunse all’esaurimento delle cartucce. Arrivi ad un certo punto che non puoi più osare. Di comune accordo ci separammo.
Il prodotto fu spremuto come un limone.
Inizialmente si portavano a casa al massimo tre minuti di girato nell’arco di una giornata di set. Col passare degli anni si passò a dodici. Diminuì la cura, quando invece la forza sta nell’attenzione ai dettagli. A tal proposito, sono convinta di una cosa.
Dica.
Penso sia bello fermarsi per tempo e lasciare il desiderio nel pubblico. É un po’ come stare a tavola. Se al ristorante ti ingozzi, quando ti alzi hai la pancia piena e non digerisci. Al contrario, se mangi poco e ti gusti piatto per piatto, te ne vai col desiderio di tornare e rimangiare. Secondo me lo sfruttamento della serie è stato un enorme sbaglio.
Percepisco amarezza.
Prima investono un alto budget sul prodotto. In seguito, quando vedono che il pubblico è caduto nella trappola, i soldi vanno a diminuire. Succede pure agli attori. Non puoi trattare così professionisti che hanno contribuito al successo di un titolo. Piuttosto chiudi la serie. Andrebbe sempre lasciato il segno positivo in ciò che si è fatto.
Recitò in “Vento di ponente” e “Capri”. In “Boris” si ironizzava su due fantomatiche fiction, “Libeccio” e “Caprera”, che sembravano un chiaro riferimento.
’Vento di ponente’ era a mio avviso bellissima. Onestamente, a me pare che quelle serie fossero migliori di quelle attuali. ‘Incantesimo’, ‘Vento di Ponente’ e ‘Capri’ erano lavori curati, ben girati ed interpretati e soprattutto amati. Magari uno può sorridere per le storie, ma all’epoca c’era quel taglio lì. Ora ci imbattiamo esclusivamente nei crime e nelle indagini. Si interpretano solo insegnanti, commissari e poliziotti. Sarebbe bello vedere qualcosa che affronti un tema sociale o culturale importante.
Come mai questo non avviene?
Per me manca il coraggio. Ce n’era di più in passato. In ‘Io e mio figlio’, fiction che feci con Lando Buzzanca, si affrontava l’argomento dell’omosessualità. In ‘Capri’ si parlava di adozione. E lo facevano bene. Attualmente dominano le situazioni edulcorate, in tv come a teatro e al cinema. Bisogna solo ridere, non pensare.
Capitolo conduzione. Dal 2000 al 2004 fu al timone di “Chi l’ha visto?”. Come ci arrivò?
Mi propose Pier Giuseppe Murgia, che era autore del programma. Era scomparsa una figura amatissima come Marcella De Palma e non poteva essere sostituita come se nulla fosse. Optarono pertanto per un taglio netto e puntarono su di me. Anni prima avevo girato ‘Voglia di volare’ e il regista era proprio Murgia. Mi segnalò alla direzione di Rai 3.

La scelta ‘esterna’ scatenò qualche polemica.
Probabilmente alcuni avrebbero preferito proseguire sulla linea giornalistica, ma col passare del tempo me li conquistai tutti. Feci capire che non ero lì per prendere il posto di qualcuno. Ero Daniela Poggi e lo sarei rimasta nella maniera più onesta, stando dalla parte del pubblico.
Fu un quadriennio intenso.
Era una tv utile, di servizio. Ero la voce dei più deboli, di chi non poteva parlare. Ritengo di averlo fatto bene e ancora adesso molte persone mi ringraziano per come portai avanti la trasmissione.
Per quale motivo se ne andò?
Dopo quattro anni chiesi di uscire. Mi piace condurre e stare sul palco, se mi dai un microfono in mano so comunicare, ma volevo tornare a fare l’attrice. Dissi che mi sarebbe piaciuto qualcosa di diverso e ideammo quel bellissimo programma che fu ‘Una notte con Zeus’.
Fu la sua ultima esperienza da conduttrice.
Ormai sono passati vent’anni. Più che conduttrice, fui una padrona di casa. Si andavano a scandagliare il mito greco e il presente attraverso una chiave di lettura particolare. Io recitavo, parlavo, leggevo testi di libri. Era una trasmissione diversa, colta, profonda, elegante, anomala. Tant’è vero che non fu più rifatta.
Perché?
Non lo so. Forse in questo Paese non si punta alla crescita culturale del pubblico. L’Italia ha un bagaglio di cultura e storia straordinari. Si potrebbero mettere in piedi programmi super-esaltanti in cui lo spettatore apprende, si informa, comincia a conoscere. Invece da trent’anni non c’è approfondimento. Nessuno rischia, se non fai immediatamente il 18-20% di share ti chiudono. Viviamo in un sistema che non si pone l’obiettivo di fornire alla gente il meglio. Si preferisce inserirla in un frullatore per avere una società di incolti da manipolare.
In quel periodo girava “Notte prima degli esami”, opera prima di Fausto Brizzi. Nessuno di voi ipotizzò il successo clamoroso che poi avrebbe ottenuto.
Nessuno ne aveva l’impressione. Considera che non ero tutti i giorni sul set. Ricordo un clima magnifico, con Faletti che interpretava mio marito. Giorgio era una persona splendida, così come Cristiana Capotondi, che faceva mia figlia. Una ragazza umile, carina e deliziosa. Giravamo senza ansie.

Forse perché non c’erano troppe aspettative sul film. L’anno successivo, per “Notte prima degli esami – Oggi”, Brizzi ebbe qualche pressione in più.
Se investi tanti soldi, c’è la preoccupazione di dover rientrare con le spese. Questo lavoro non ha certezze, come diceva Eduardo ‘gli esami non finiscono mai’. Magari credi in un progetto dando il 300 per cento e alla fine ti va male perché è uscito nel momento sbagliato, o è stato pubblicizzato male.
Nella sua carriera le è mai accaduto?
Guarda, sono convinta per esempio che ‘La cena’ di Ettore Scola meritasse molto di più. Sia il film, che presentava un cast stellare, sia il personaggio che interpretavo. Eppure non fu un successo né per Scola, né per me. Avrei potuto raccogliere di più, ricevere riconoscimenti. Non ottenni niente.
Gli ultimi suoi impegni in tv furono le “Le tre rose di Eva” e “L’allieva 2”, ormai otto anni fa.
La televisione ha smesso di chiamarmi, non sono io che non voglio più starci. Ho sempre lavorato in tv, con grande successo. Credo di piacere ancora al pubblico, fatto sta che non riesco più a farla. Tante persone mi scrivono sui social chiedendomi come mai non mi vedano più.
Lei come risponde?
Sempre allo stesso modo: ‘Non ditelo a me. La tv non è la mia’.
In compenso l’hanno contattata per partecipare a talent e reality.
Esatto, ma non faccio nomi. Me lo hanno chiesto due o tre volte e ho sempre risposto di no. Non ho nulla contro il genere, ci mancherebbe. Però non sarei capace, caratterialmente non sono portata. Sarei una pessima concorrente.
Se in tv non lavora più da tempo, non si può dire lo stesso del teatro, dove è impegnatissima.
Sto portando avanti lo spettacolo ‘Figlio, non sei più giglio’ con Mariella Nava. Vesto i panni della madre di un colpevole di femminicidio. É un lavoro che mi sta dando un’enorme soddisfazione e gratificazione. Sono orgogliosa e fiera. Questa donna è lei stessa una vittima, in quanto ha generato un figlio che è diventato un mostro. Lo ho prodotto con la mia società, ‘Bottega Poggi’, che esiste da quattro anni. Promuoviamo e diffondiamo cultura, tentando di gettare semi di conoscenza e consapevolezza. Al cinema, inoltre, uscirà presto ‘Prendiamoci una pausa’, film di Christian Marazziti, dove faccio la moglie di Alessandro Haber. Una cosa carina, anche se mi piacerebbe da morire ricevere nuovamente la chiamata per una fiction.
Mai dire mai.
Come spiegavo prima, credo di possedere sia la maturità artistica che un bel seguito di pubblico. Lo so, lo vedo, e per me è il premio più grande. Mi sono fatta da sola, studiando, lavorando, sbagliando, cadendo e ripartendo da zero non so quante volte. Sono convinta di aver fatto un bel percorso artistico. Poi avrò pur commesso degli sbagli, per l’amor di Dio. In questo mestiere i ‘no’ sono più importanti dei ‘sì’.
In che senso?
Nel senso che se rifiuti dei progetti e dici di no a determinate persone, è probabile che se la leghino al dito. Per non parlare dei pregiudizi.
Ne è stata vittima?
Sì. Sono stata penalizzata per alcune fiction a cui ho preso parte. Una volta un regista me lo confessò apertamente: ‘Vorrei tanto prenderti, sei brava, ma sai, hai fatto quella serie…’. Gli risposi che la serie a cui si riferiva era per me di altissima dignità. Io sono un’attrice e campo del mio lavoro. Ma nel nostro settore è difficile che ti osservino per quello che puoi realmente dare o fare. Comunque, Jessica Tandy insegnò che un Oscar può arrivare anche ad ottant’anni. Continuerò a lavorare al meglio per conquistarlo!