
L'imbarazzo di dire una cosa ovvia e identica a tutti gli altri, l'orrore di non dire niente. La situazione attuale del dibattito pubblico su quello che accade a Gaza pare riflettere un immobilismo tra il grido e il silenzio, tra la presa di posizione decisa e l'attendismo prudente. Un dissidio claustrofobico in cui è stritolato l'intero occidente da mesi e che tocca inevitabilmente il mondo dello spettacolo. Il dibattito ha infatti contaminato, per non dire travolto, anche la Mostra del Cinema di Venezia, non senza sollevare imbarazzi e ipocrisie. Dalla raccolta firme per la presenza inizialmente prevista di Gal Gadot e Gerard Butler, poi rinnegata da alcuni firmatari, alle parole con cui la presentatrice Emanuela Fanelli ha spiegato che non avrebbe parlato del tema sul palco, la Mostra di quest'anno è diventata sinonimo di un unico interrogativo: Venezia è un luogo idoneo per questo dibattito?
La controdomanda è: quale luogo non lo sarebbe in questo momento? La scia di notizie che arrivano da Gaza ha generato un tale cortocircuito nel mondo che si ritiene civile da non potersi più considerare solo un tema, ma il tema, l'elefante nella stanza che eclissa tutto il resto e detta l'agenda, obbligando chiunque a fare il conti con i propri privilegi, piaccia o no, indipendentemente dalla posizione che alla fine si prenda.
È in questo scenario che la sospensione del giudizio di chi "riconosce l'orrore del genocidio ma non il boicottaggio", l'argomentazione sostanziale di Sorrentino e Servillo, appare concettualmente comprensibile ma indigesta, tanto quanto l'arguzia retorica di Fanelli, che pure non dice un'assurdità quando sostiene che con le paillettes e dalla stanza dell'Excelsior si sentirebbe poco autentica a parlare di certi temi. Pare di sentire gli echi di ciò che accadde solo poche settimane fa per le parole timide, se pure logiche, di Jovanotti: "Non ho niente di intelligente da dire in merito alla questione". Segno di intelligenza, certamente, come di una certa modestia, che assumono tutt'altra connotazione in relazione al contesto.
Perché chi vede in ciò che sta accadendo a Gaza un'assurda distorsione di quella realtà che celebriamo ogni giorno in un luogo di pace, vorrebbe che un evento di tale portata come Venezia, per non apparire una surreale fiera di vanità e glamour consumata in contemporanea alle atrocità, non fosse altro che un continuo gridare contro ciò che accade a poca distanza da noi. Ogni presa di posizione tiepida, o addirittura contraria, per quanto logica e razionale possa apparire non può che generare l'effetto del rumore che le unghie fanno su una lavagna. È chi ha potere mediatico a dover gettare il cuore oltre l'ostacolo, uscire dallo spazio del dubbio, e usare il proprio potere per influenzare le masse che quel potere non ce l'hanno. Chi ha una voce ha il dovere morale di dare le parole a chi non le sa trovare, fossero anche quelle sbagliate.
A chi si chiede se Venezia sia un luogo idoneo per parlare di Gaza, andrebbe ricordato che di Gaza c'è chi ha trovato il modo di parlare, in modo assolutamente dignitoso e rispettabile, anche all'Isola dei Famosi, non certo un contenitore di approfondimento. Quelle parole di Veronica Gentili, in prima serata TV su Canale 5, dimostrano che, volendo, si possa fare ovunque e senza imbarazzi. Il mondo non può fermarsi, è vero, ma nemmeno voltare completamente la faccia.
