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Luca Bergamo: “Così la cultura può salvare Roma, ma la politica non l’ha capito”

Dal 22 gennaio 2021 Luca Bergamo non è più assessore alla Crescita Culturale e vicesindaco di Roma, per scelta della sindaca Virginia Raggi. Il ritiro delle deleghe dopo la diversità di vedute sul confronto con il PD verso le prossime elezioni comunali e la modalità con cui Raggi ha presentato la sua ricandidatura. Ospite degli studi di Fanpage.it Bergamo ha tracciato un bilancio della sua azione amministrativa in questi anni in Campidoglio, lanciando anche alcune sfide per il futuro della città a cominciare dal ruolo della cultura.
A cura di Valerio Renzi
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Luca Bergamo dal 22 gennaio del 2021 non è più l'assessore alla Crescita Culturale né il vicesindaco di Roma. La sindaca Virginia Raggi gli ha ritirato le deleghe dopo che le divergenze sulle modalità che avrebbero dovuto riportare a una ricandidatura della prima cittadina, secondo Bergamo tutt'altro che scontata. Ma soprattutto l'ormai ex vicesindaco si chiede perché "in tutto il Paese PD e M5S si parlano per non lasciare il campo alle destre e questo non può accadere a Roma", dove invece prevale ancora "lo scontro e la personalizzazione del dibattito". "Se non si occupa quello spazio (ndr con un progetto credibile per domani) la risposta alla paura del futuro sarà quella che abbiamo visto marciare su Capitol Hill qualche settimana fa", ragiona.

Nel corso di un lungo colloquio negli studi di Fanpage abbiamo provato a tracciare un bilancio della sua esperienza in Campidoglio a partire dalle politiche culturali messe in campo, di quello che si sente di ascrivere alla colonna dei successi e quello che invece ammette non essere riuscito a realizzare. Riflessioni che potranno essere utili ad amici e nemici, ai cittadini e agli addetti ai lavori, ma soprattutto a chi si troverà nella stessa postazione domani.

Rivendica prima di tutto un ruolo di governo dei processi, un'azione rivolta "alla struttura e agli eventi", con l'idea "che l'assessore alla cultura della città non è il curatore della programmazione culturale della città ma è la persona che deve creare le condizioni le condizioni per cui gli altri, quelli che fanno quel mestiere, lo possano fare al meglio talvolta scegliendoli a volte invece no". Cosa vuol dire? Che è compito dell'amministrazione costruire le condizioni migliori per l'azione delle istituzioni culturali pubbliche e degli operatori indipendenti più o meno grandi, e per farlo nella realtà specifica di Roma  bisogna partire da alcuni dati strutturali:  "Quando ho iniziato l’esperienza a Roma,  oltre  il 93 % del bilancio del comune dedicato alle attività culturali era assorbito dalle istituzioni culturali in cui Roma partecipa come socio quindi dal Teatro dell’Opera, al Palazzo delle Esposizioni, all’Auditorium, al Teatro di Roma, alla Fondazione Roma Europa, e una porzione molto piccola era "libera" tra virgolette. Questa porzione piccola l’abbiamo allargata perché abbiamo aumentato i fondi per i progetti degli operatori dipendenti da un milione e mezzo nel 2016 a quasi 5 milioni quest'anno che è molto poco ma è 4 volte quando ho iniziato il mio mandato".

Ma lavorare alla "struttura" vuol dire anche per Bergamo intervenire sulla logica con cui lavorano le istituzioni culturali pubbliche, prima di tutto costruendo sinergie e una veduta comune. "Quando sono arrivato ho convocato una riunione con i vertici degli enti culturali partecipati da Roma Capitale per lavorare sul contemporaneo e ho scoperto una cosa sorprendete: non solo non era mai accaduto prima, ma alcune delle persone sedute attorno al tavolo non si erano mai incontrate prima". Da qui un percorso nato intorno alla programmazione del nuovo Capodanno di Roma, sulla cui base è stato "istituzionalizzato un tavolo di coordinamento che ha creato e prodotto tutti i Capodanno dal 2017, incluso quello in streaming di quest’anno e programmi come “la cultura in casa” che durante il primo lockdown ha fatto oltre 50milioni di view".  Ma in generale "il lavoro fatto insieme ha portato a sinergie inedite e a una produzione di grande qualità e innovazione".

Un percorso che ha portato le istituzioni culturali a fare qualche cosa di diverso da quanto gli era stato chiesto fino a quel momento: "La logica troppo a lungo era stata ‘produci gli eventi su di te, porta del pubblico su di te e raggiungi un equilibrio economico', noi gli abbiamo chiesto non solo di pensare a se stesse, ma pensare a chi non ha già rapporti con loro, a costruire come sistema una capacità di intervento che andasse al di là dei confini dei propri spazi e in questo vedere il sistema delle biblioteche civiche che sono diffuse sul territorio come un partner essenziale, cosa che ha generato un aumento  vertiginoso e una forte diversificazione dell’offerta culturale nelle biblioteche".

Per dialogare con Luca Bergamo è necessario sedersi e cominciare dai massimi sistemi come si dice in questi casi, per arrivare anche a ragionare delle cose più concrete e minute. Per questo ci tiene a ribadire i principi che devono muovere le politiche culturali pubbliche, che sono l'articolo 27 della Dichiarazione universale dei diritti umani ("Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici"), e agli articoli 3 e 9 della nostra Costituzione, il primo è quello che impegna la Repubblica a "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini", e il secondo che recita "la Repubblica promuove lo sviluppo e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione".

Riferimenti importanti "perché chi governa a qualsiasi livello dovrebbe avere l'obbligo di metterli in pratica facendoli diventare realtà". E qui arriviamo a uno dei ripianti dell'esperienza amministrativa di Luca Bergamo nella giunta Raggi: non essere riuscito a trasformare la necessità di mettere ordine nel patrimonio immobiliare indisponibile di Roma Capitale, in un'occasione non solo per tutelare le realtà sociali e culturali che rischiano di venire sgomberate o di non essere riconosciute come tali, ma anche per mettere a disposizione strumenti alle tante realtà che contribuiscono alla coesione sociale e allo sviluppo culturale nelle periferie della città.

"C'è una funzione importantissima che svolge l’informale, l’indipendente, piccoli gruppi che hanno dal mio punto di vista un'enorme funzione sussidiaria– spiega con il rammarico di chi sa di non essere riuscito a vincere una battaglia – Svolgono funzioni di interesse pubblico cui però nel corso di questi cinque anni non siamo riusciti a dare una risposta vera per una ragione fondamentale  su cui mi sono battuto dal primo giorno fino all'ultimo, e per il momento ho straordinariamente perso, e cioè che noi non siamo riusciti a portare in approvazione un regolamento del patrimonio utile in questo senso. Dobbiamo sostenere chi svolge funzionali culturali e sociali che sono di carattere sussidiario, perché è evidente che non intervieni dappertutto con l'erogazione diretta di risorse. Avevo messo a disposizione molte proposte formalmente ammissibili di emendamento alla versione presentata dal presidente della Commissione consiliare perché è chiaramente inadeguata allo scopo, ma per ora non ne vedo traccia nel dibattito".

Nella consapevolezza che ancora tanto c'è da fare per sostenere quello che nasce fuori dalle istituzioni culturali, rigetta però l'immagine delle istituzioni pubbliche immobili e polverose. "C'è una vita culturale diffusa che ancora non è stata intercettata, ma dal MaaM di De Finiis portato al Macro e poi il progetto di Luca Lo Pinto, fino al Palazzo delle Esposizioni e al Mattatoio, dal nuovo corso del Teatro di Roma con la forte ripresa dell'India e il consolidamento dei Teatri in Comune , dalla continua ricerca del REF al nuovo Festival delle Letterature lanciato dall’Istituzione Biblioteche, le istituzioni culturali pubbliche si sono dimostrate luoghi molto più aperti alle novità e all'innovazione in questi anni", sottolinea.

Alle polemiche sulla fine dell'Estate Romana, Luca Bergamo risponde laconico che non è "più l'Estate Romana di Nicolini", e che "la cultura sostenuta dal comune di Roma va avanti tutti l'anno e non solo nei mesi estivi, per questo era importante provare a comunicarlo, il brand RomaRama era un primo tentativo in questo senso". La triennalizzazione del bando estivo, assieme agli altri due bandi triennali, uno dedicato alla cultura scientifica "Eureka" e l'altro alle arti contemporanee "Contemporaneamente", è stata un'operazione utile non solo a garantire la continuità delle azioni degli operatori culturali più o meno grandi, ma anche di costruire un palinsesto lungo 12 mesi riconoscibile dai cittadini. E qui solo il tempo potrà dire se il risultato sarà quello sperato.

E per il futuro? "Quello che farò ora non lo so, non ho mai fatto un'esperienza pensando a cosa avrei fatto dopo", ma di certo Luca Bergamo ha delle idee su quello che servirebbe a Roma per fare della cultura la propria ricchezza e il vettore in grado di cambiare il volto di una città in affanno, la cui immagine sbiadita è lo specchio dell'incapacità di superare l'ordinario. "Invece la risposta che dobbiamo dare di fronte all'emergenza Covid ci impone di elevare lo sguardo e la prospettiva, a cominciare dalla percezione di Roma che abbiamo noi stessi. Pensiamo la città come una cartolina ingiallita, con l'immondizia, i gabbiani e il Colosseo, ma questa percezione di Roma ce l’abbiamo più noi che stiamo a Roma piuttosto che quelli che stanno fuori. Basta vedere il tipo di attenzione o presenze dentro le accademie straniere come è mutata nel corso di questi anni che ti raccontano storie diverse, cioè che da tanti parti del mondo, artisti più o meno giovani hanno ritenuto nuovamente interessante Roma".

E se la capitale non è la Barcellona degli anni '90 o la Berlino degli anni 2000, non è neanche la cenerentola d'Europa. "C'è una percezione esterna del valore simbolico che Roma è in grado di rappresentare nel mondo e da cui trarre benefici, che noi stessi non riconosciamo e soprattutto riconosciamo solo nel terreno del passato e non in quello della modernità". L'ex assessore fa notare come l’organizzazione mondiale dei Comuni ha adottato un documento strategico sulle politiche culturali e la sostenibilità chiamandolo Carta di Roma 2020, non casualmente. "È stato il protagonismo di cui siamo stati capaci in sede internazionale e il riconoscimento esterno della coerenza tra la prospettiva e le politiche messe in atto, che ha spinto l’assemblea generale a votare all’unanimità quel documento dandogli quel nome. Ci riconosciamo come una grande unicità perché c'è il Colosseo, ma non come una grande unicità perché insieme al Colosseo abbiamo il 50% della ricerca scientifica nazionale. Dalla fisica, alla chimica, alla matematica, c'è Enea, il Cnr, INFN e Sistemi Complessi, … c'è un corpo accademico con 250 mila studenti e 40 università. E Roma è anche un luogo della produzione culturale contemporanea, dall’audiovisivo industriale alla musica, che è percepito nel mondo come interessante.

Una ricchezza e un'unicità di cui la politica dovrebbe riuscire a valorizzare e indirizzare, con politiche pubbliche adeguate e mettendosi al centro di un'intensa attività di networking: "Ora questa miopia che impedisce al ceto politico in generale ma della città stessa di vedersi per quello che è – un protagonista potenziale delle produzione di conoscenza e cultura – è una delle ragioni per cui noi continuiamo a sminuirci o a non usare noi stessi al meglio di ciò che potremmo fare, Roma può avere un posto nel mondo che deriva da queste circostanze e non ultimo il centro mondiale della religiosità in fortissima innovazione".

Ci sta ancora molto lavoro da fare in città, fuori e dentro il Campidoglio. Luca Bergamo è disposto a continuare dare il suo contributo, se le circostanze lo permetteranno.

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