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Il Clan Moccia mette radici a Tor Bella Monaca: frutterie e bar rilevati con i soldi dello spaccio

I clan di origine Campana che hanno gestiscono il narcotraffico a Tor bella Monaca, fanno “asso piglia tutto” di bar, botteghe storiche e frutterie che vengono rifornite da aziende agricole legate alla Camorra. Gli ultimi affari del Clan Moccia.
A cura di Emilio Orlando
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Il clan Moccia allunga i suoi tentacoli sulle attività commerciali di Tor Bella Monaca. Il modus operandi che utilizzano è quello di rilevare con poche migliaia di euro i negozi vicini al fallimento e di "convincere" il titolare a vendere. Per l'acquisto il clan firma cambiali garantendo il pagamento in contanti. Una modalità che serve ad eludere i sistemi antiriciclaggio e a ripulire indisturbati i proventi dello spaccio della piazza di via dell'Archeologia.

Scelgono le botteghe storiche del quartiere e che sono posizionate in punti strategici, da dove è possibile vedere chi entra e chi esce dal quadrilatero delle piazze di spaccio. Un sistema di economia criminale "lecito" solo apparentemente, ma che è solo la "bella faccia" del sommerso delle decine di attività illecite svolte dalla famiglia in collaborazione con la Camorra.

Gli ultimi investimenti del clan sono un bar e un chiosco di frutta, entrambi in via Pietro Anderloni. La frutteria sarebbe costata al clan 15.000 euro in cambiali. Il modello è lo stile di Afragola, il quartier generale della famiglia diventata sempre più potente a Tor Bella Monaca. Schermi al plasma alle pareti, con video musicali che trasmettono musica trap e neomelodica, in "armonia" con la clientela che siede ai tavolini esterni e frequenta bar costituita da pusher, tossicodipendenti, pregiudicati e personaggi sinistri che scrutano dall'alto in basso qualsiasi faccia "nuova" che entra.

Dal chiosco di frutta e verdura, c'è un via vai di furgoni di "ambulanti" che si riforniscono di merce per venderla agli angoli delle strade. Non solo cessioni e acquisizioni aziendali però, ma anche abusi edilizi. La famiglia malavitosa, che "conquistò" negli anni '80 via dell'Archeologia, trasformandola già da allora in una piazza di spaccio di eroina "modello Scampia" secondo il business del narcotraffico del clan Di Lauro, è stata capace addirittura di sfondare la parete di un muro di un palazzo di edilizia popolare per ricavare l'ingresso del nuovo locale in via Pietro Anderloni.

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Eppure le istituzioni ne avevano fatto una questione di legalità, alla stregua della battaglia contro i Casamonica. Gli avevano chiuso i bar (oltre allo sgombero delle case popolari occupate), rimosso le insegne di quello che non era uno spaccio di cibi e bevande, ma di droga. Hanno perfino arrestato il capo della famiglia criminale. Ma il clan Moccia continua a radicare il potere e il controllo a via dell’Archeologia, a Tor Bella Monaca, anche grazie alla presenza dei suoi negozi sul territorio. Titolari delle attività in questione sono, da quanto ha potuto verificare Fanpage.it, due donne incensurate legate da vincoli parentali o sentimentali ai vertici dell'organizzazione.

Non è bastato l'arresto del boss Giuseppe Moccia, il 39enne romano che dopo aver violato le misure speciali è stato incarcerato lo scorso marzo nell’ambito di una grossa indagine contro il traffico di droga, insieme con altri sodali. A prendere le redini della famiglia affiliata alla Camorra, ora ci sarebbero moglie e compagne in prima fila. Il clan non si sarebbe arreso neanche alla chiusura del bar Moccia di largo Brandizzi, che secondo la Prefettura di Roma era “abitualmente utilizzato come base logistica e operativa per il traffico di stupefacenti e per la pianificazione del controllo del territorio da parte di sodalizi criminali che operano nel quartiere".

Sulla carta l’attività commerciale è stata riaperta da un esercente anonimo, ma i riflettori degli investigatori sono accesi per appurare i sospetti di rapporti con il Clan. Perché i Moccia dal quartiere delle grandi torri popolari dove la droga scorre a fiumi, con un sistema che il gruppo camorristico ha collaudato fin dagli anni Settanta, quando il capostipite della famiglia ha impiantato una succursale del mercato degli stupefacenti per conto della criminalità campana e in collaborazione con il clan capeggiato da Michele Senese, anche lui originario di Afragola e in ottimi rapporti con i Moccia. Un radicamento reso possibile anche dalla capacità di investire in attività all'apparenza pulite e ai rapporti con i colletti bianchi.

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