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“25mila euro per venire a Roma”: le storie dei migranti truffati dai trafficanti e dai datori di lavoro italiani

Anan e altri lavoratori arrivati in Italia con il Decreto Flussi raccontano truffe, mediatori assenti e difficoltà burocratiche che rischiano di renderli irregolari nonostante l’ingresso regolare. Il sistema mostra gravi falle: pochi permessi vengono effettivamente rilasciati e i lavoratori finiscono per essere doppiamente vittime, dei trafficanti e dei datori di lavoro.
A cura di Gaetano De Monte
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"Per poter permettere a me di venire qui, la mia famiglia si è indebitata. Mio padre ha versato 25mila euro ad una persona del Bangladesh che viveva in Italia e che gli aveva promesso un posto di lavoro, e per questo ha dovuto ricorrere anche a un prestito con un tasso del 8 %. Quando però sono arrivato all’aeroporto di Fiumicino, questa persona era scomparsa, nel nulla. Ho capito subito che ero stato preso in giro, truffato". A parlare è Anan, classe 2003 indica il passaporto che mostra insieme a tanti altri documenti che descrivono la sua condizione giuridica attuale in Italia; fogli su fogli che il giovane uomo rovescia sul tavolo e che riportano tutti l’intestazione della prefettura e della questura di Roma. Anan è arrivato in Italia con uno dei pochi strumenti che hanno i migranti per entrare in maniera regolare, il Decreto Flussi, ma il paradosso è che anche lui, molto presto, potrebbe diventare irregolare. Andiamo con ordine.

Incontro il giovane uomo di origine bengalese nella sede dell’Arci di Roma, qualche giorno dopo che ha partecipato insieme ad altri 800 connazionali giunti da ogni parte d’Italia, da Verona a Palermo, ad un incontro di denuncia e formazione sulle conseguenze del Decreto Flussi che è stato promosso dalla stessa associazione, dai giuristi dell’Asgi, e che ha visto la partecipazione anche dei parlamentari Susanna Camusso, Matteo Mauri, Rachele Scarpa, oltre a rappresentanze di Cgil, Usb, e dell’assessorato alle politiche sociali di Roma Capitale. "Sono arrivato in Italia senza sapere che sarei dovuto andare in prefettura per firmare entro 8 giorni dall’arrivo il nulla osta insieme al mio datore di lavoro per poter poi richiedere alla questura il permesso di soggiorno", racconta Anan a Fanpage. "All’inizio non capivo cosa fare perché i documenti che mi avevano dato all’ambasciata quando mi hanno concesso il visto, erano tutti scritti in italiano". Dice ancora l’uomo: "Poi tre mesi dopo l’arrivo, sono andato all’agenzia delle entrate per richiedere il codice fiscale, e ho ricevuto solo quello numerico e, a causa di ciò, nessun datore di lavoro mi voleva assumere regolarmente, anche se la legge garantisce questa possibilità".

Anan, nel frattempo, con un diploma di liceo scientifico in tasca e il sogno della laurea in ingegneria informatica, ha lavorato in nero come operaio addetto alle pompe di benzina in diverse zone di Roma, cercando però in tutti i modi di regolarizzare la propria posizione. Attraverso
un avvocato, infatti, dopo aver versato 800 euro a un altro mediatore, si è recato in prefettura richiedendo di perfezionare l’accordo con il datore di lavoro che aveva presentato la domanda di assunzione e così poter ottenere il permesso di soggiorno. Quando però la funzionaria di Palazzo Valentini ha contattato la proprietaria di un albergo di Salerno che aveva presentato la richiesta di assunzione, l’imprenditrice ha detto che il lavoratore non le serviva più. Così oggi Anan, anche se lavora regolarmente in un ristorante nella zona di Piazza San Giovanni, potrebbe ricevere dalla prefettura di Roma la revoca del nulla osta. In pratica, i 25.000 euro che ha versato al trafficante verrebbero vanificati.

È già accaduto ad Anis, arrivato in Italia con una laurea in economia e commercio in tasca conseguita in Bangladesh per lavorare all’interno di una società pugliese che si occupa di cantieri stradali, un’azienda che il 27 gennaio 2022, attraverso il suo rappresentante legale, aveva fatto richiesta di assunzione. Ma poi la stessa titolare, quando la prefettura di Roma l’ha convocata, non si è presentata. Così Anis si è rivolto a un giudice. Nel ricorso presentato da Anis al Tar del Lazio attraverso il suo legale, si contesta che "la revoca del nulla osta si fonda sulla mancata produzione di documentazione che avrebbe dovuto produrre il datore di lavoro al momento della convocazione presso lo Sportello Unico per l’Immigrazione di Roma, e non prima di tale momento". E poi, si legge ancora: "Il fatto che il datore di lavoro non si sia presentato senza un giustificato motivo costituisce una circostanza che non attiene alla sfera giuridica del richiedente".

Detta in altre parole, il lavoratore non può pagare per una colpa che si fonda esclusivamente su omissioni o su una condotta non diligente del datore di lavoro, e lo Sportello Unico per l’Immigrazione della Prefettura di Roma avrebbe dovuto valutare soltanto questo comportamento emettendo il provvedimento di revoca. Di più. Proprio il ricorso si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale che in passato aveva dichiarato illegittimi tali atti. In tutti i casi, il Tribunale amministrativo del Lazio non si è ancora pronunciato, ma le storie di questo tipo sono diverse. C’è chi come Hannan, che è venuto in Italia perchè avrebbe dovuto firmare un contratto a tempo in determinato con un’azienda meccanica di Latina, ma anche in questo caso il suo datore di lavoro non si è presentato. Eppure l’uomo mostra a Fanpage diversi documenti: le buste paga a lui intestate
e le comunicazioni Uni Lav firmate dal rappresentante legale. Anche se qui di autentico, ci sono solo i messaggi di morte ricevuti attraverso i social da quello che tutti loro chiamano “il Delal”, il mediatore, in pratica, il trafficante.

Gli operatori legali che lavorano negli Sportelli sociali di Arci Roma ascoltano ogni giorno storie di questo tipo, incontrando cittadini stranieri, soprattutto del Bangladesh, che sono due volte vittime: ingannati dagli intermediari e non riconosciuti come meritevoli di permesso di soggiorno dalle istituzioni, nonostante siano entrati in Italia in maniera regolare. Gli operatori con cui abbiamo parlato, ritengono che il problema sia a monte, perché non esiste una lista pubblica di lavoratori che si possono iscrivere nei paesi di origine sulla base delle loro competenze e formazione. E raccontano che il sistema funziona così: “il datore di lavoro chiama una persona a discrezione che, in alcuni casi, può essere già presente nel nostro paese da irregolare, per esempio. In questo modo, la persona deve prima partire, per poi ritornare con la speranza certificata di un permesso di soggiorno e un lavoro regolare, ottenuta con un doppio nulla osta dal ministero dell’interno italiano e dall’ambasciata del suo paese di origine”. Poi alcuni di loro si chiedono: "ma chi mette in contatto per primo un imprenditore anonimo di una provincia italiana con un ragazzo della comunità del Bangladesh? Come fa ad avere il suo passaporto per presentare la domanda? È ovvio che c’è sempre di mezzo un’intermediazione, è la procedura stessa che lo prevede”, dicono.

Proprio in questi giorni il Parlamento sta provando a mettere mano all’impianto della Legge, il primo via libera della Camera al nuovo Decreto Flussi è arrivato il 18 novembre, si tratta di un provvedimento che, tra le altre cose, interviene in relazione ai controlli di veridicità spettanti alle amministrazioni sulle dichiarazioni dei datori di lavoro. Ma che rimanga in piedi un sistema di tipo disfunzionale, lo spiegano i dati contenuti nel Dossier Statistico Immigrazione Idos presentato alla fine di ottobre, in base ai quali il “tasso di successo della procedura, misurato in termini di permessi di soggiorno concessi a fronte delle quote distribuite, è estremamente basso". Si legge nel Dossier: “nel 2023 solo il 13% delle quote distribuite si è trasformato nella richiesta di un permesso. Mentre quelli effettivamente rilasciati sono stati 9.528, il 7,5%. Nel 2024, i permessi richiesti sono pari al 7,8% delle quote assegnate”. Sono i numeri che certificano il fatto che i lavoratori e lavoratrici, soprattutto stagionali, entrano con il visto in seguito alla richiesta di assunzione, salvo poi non riuscire a formalizzare il rapporto per motivi loro non imputabili, venendosi quindi a trovare in condizione di irregolarità. Vengono presi in giro due volte, dai trafficanti stranieri e dai rispettabili datori di lavoro italiani.

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