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Questa volta Mario Draghi (Bce) ha deluso i mercati

La Bce si limita a tagliare di uno 0,1% i tassi sui depositi (che ora “rendono” -0,3% all’anno), mentre Mario Draghi annuncia un’estensione almeno al marzo 2017 del programma di acquisto di bond sul mercato. E’ troppo poco e troppo tardi, dopo mesi di attesa da parte dei mercati.
A cura di Luca Spoldi
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Troppo poco e probabilmente troppo tardi: dopo mesi passati a speculare su quali ulteriori stimoli “straordinari” la Bce potesse varare oggi e dopo che lo stesso Mario Draghi aveva dichiarato di essere pronto a fare “qualsiasi cosa” fosse necessaria per far risalire le attese sull’inflazione core, estendere di sei mesi il programma di quantitative easing portato avanti dalla Banca centrale europea (la scadenza è stata spostata dal settembre 2016 a “non prima” del marzo 2017) e limare di uno 0,10% il tasso sui depositi presso la stessa Bce che passa così da -0,20% a -0,30%, mentre il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principale resta fermo sul +0,05% e quello sulle operazioni marginali a +0,30%, viene giudicata dai mercati una mossa puramente propagandistica e senza effetti concreti, visto che come noto la Bce intende proseguire nei suoi acquisti fino a che l’inflazione “core” non sarà tornata attorno al 2%.

Per di più, se erano pochi gli analisti che si aspettavano qualche novità sul costo del denaro (solo le previsioni più “aggressive” parlavano di un movimento in linea col tasso sui depositi e dunque di un calo a -0,05%), la maggioranza prevedeva che potesse essere annunciato sia un incremento della quantità di acquisti mensili di bond sul mercato da parte della Bce (dagli attuali 60 miliardi al mese a 70-75 miliardi) sia un ampliamento di tipo qualitativo (ossia che venisse introdotta la possibilità di acquistare altra carta finanziaria non solo titoli di stato).

Il fatto stesso che nei minuti seguenti l’annuncio di Mario Draghi l’euro si sia subito apprezzato sul dollaro recuperando andando a sfiorare quota 1,08 contro dollaro, che le borse europee siano passate da guadagni attorno o sopra l’1,2%-1,3% a una perdita mediamente superiore al punto percentuale e i titoli di stato abbiano perso terreno, con i Btp decennali che hanno visto lo spread contro Bund allargarsi dallo 0,903% all’1,325% prima di tornare a oscillare sull’1% la dice lunga su quanto alte fossero le attese.

Al di là della reazione dei mercati, tuttavia, se anche il numero uno della Bce avesse annunciato tutto quanto ci si aspettava non è detto che la manovra messa in campo dalla Bce potesse (e possa) centrare il suo obiettivo. L’inflazione più che dall’offerta di moneta è almeno da cinque anni legata all’andamento dei prezzi delle materie prime e in particolare del petrolio le quali, al netto della “guerra di prezzi” scatenata dall’Arabia Saudita formalmente contro i produttori di shale oil americani, di fatto anche come deterrente economico contro la Russia (il cui interventismo a favore del regime di Assad in Siria irrita profondamente gli emiri del Golfo Persico, almeno quanto le aperture americane all’Iran), dipendono dalle previsioni sull’andamento dell’economia mondiale.

Ma con un’Europa e un Giappone che continuano a crescere a rilento, gli Stati Uniti che viaggiano attorno al 2,4%-2,5% annuo di incremento di Pil ma rischiano ora di rallentare se la Federal Reserve, come ci si attende, inizierà dalla prossima settimana ad alzare i tassi sul dollaro e la Cina (e più in generale i paesi emergenti) che stentano a confermare gli obiettivi di crescita prefissati e già in graduale calo rispetto ai tassi degli scorsi anni, è difficile pensare che la crescita potrà salire molto, al più potrà distribuirsi diversamente nelle varie aree economiche del globo, con una domanda di materie prime e di energia che non dovrebbe sorprendere al rialzo (semmai rischia di sorprendere al ribasso).

E dunque le aspettative di inflazione futura (la Bce come ha segnalato lo stesso Draghi, tiene d’occhio il tasso “Inflation Swap 5y5y”, ossia la previsione del tasso di inflazione medio per il quinquennio che inizierà tra 5 anni), che per tutto il 2015 e fino a ieri sera hanno oscillato tra l’1,5% e l’1,8%, rischiano di rimanere più o meno dove sono. La riprova, se fosse stata necessaria, è giunta dalla stessa Bce che dopo aver annunciato le novità di politica monetaria ha anche diffuso le sue stime trimestrali aggiornate del quadro macroeconomico di Eurolandia. Quelle sul Pil sono state riviste da +1,4% a +1,5% per quest’anno, mentre per il 2016 è stata confermata la stima di +1,7% e quella del 2017 è stata alzata da +1,8% a +1,9%.

Ciò nonostante per quanto riguarda l’inflazione, la Bce ha confermato di attendersi per il 2015 una crescita dei prezzi di appena lo 0,1%; per il 2016 la stima è stata addirittura limata da +1,1% a +1%, così come per il 2017 si è passati a +1,6% da +1,7%. La nottata è ancora lunga, insomma, e se per la crescita si riesce forse a intravedere un timido miglioramento, molto di esso rimane soggetto a rischi non direttamente gestibili da Mario Draghi. Servirebbe una politica economica europea comune, e più in generale una politica europea comune (anche su temi quali i rapporti col Medio Oriente, la gestione dei flussi migratori, il coordinamento delle grandi opere infrastrutturali e l’elenco potrebbe continuare). Ma questa davvero Draghi non poteva estrarla dal suo cilindro.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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