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Zaia a Fanpage: “Reddito di cittadinanza è una trappola per i giovani, a loro diamo fiducia non intralci”

In un’intervista a Fanpage.it il presidente del Veneto Luca Zaia parla del suo nuovo libro ‘I pessimisti non fanno fortuna’: “Un capitolo si intitola ‘Non è un paese per giovani’, ma io sono convinto che lo dovrà diventare, perché non possiamo continuare a ripetere che i ragazzi stanno tutto il giorno al telefonino, fanno gli influencer e non hanno voglia di fare niente. Io sono un boomer, ma so che loro sono molto più bravi di noi da giovani”.
A cura di Annalisa Cangemi
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"Non era che una cassetta della frutta, il banchetto che allestivamo ai bordi delle strade da ragazzini. Una di quelle in legno leggero che ancora oggi si vedono sugli scaffali di alcuni fruttivendoli. Bastava capovolgerla e per noi assumeva la forma di un banco del mercato in miniatura. Nei mesi delle vacanze estive insieme ai miei amici, rimanendo in prossimità delle nostre case, ogni tanto lungo la strada mettevamo su questa piccola «attività commerciale» che era un modo per passare il tempo e ci consentiva di rimediare qualche soldo".

È l'incipit di uno dei capitoli del nuovo libro di Luca Zaia, presidente del Veneto, uscito ieri in libreria. Il libro si intitola ‘I pessimisti non fanno fortuna. La sfida del futuro come scelta', pubblicato da Marsilio.

Il capitolo in questione, dal titolo ‘Non è un paese per giovani', è dedicato ai ragazzi, al loro futuro e all'impegno che la classe politica dovrebbe dimostrare (e non dimostra abbastanza) nel cercare di offrire loro soluzioni, in modo che possano realizzarsi e affrontare al meglio le sfide di domani. "La questione dei giovani è la stella polare del libro", ha spiegato Zaia a Fanpage.it.

Il governatore leghista non si limita a fare una fredda analisi o a lanciare delle idee, ma il libro è disseminato di aneddoti personali, episodi dell'infanzia, come il racconto del mercatino improvvisato, in cui per racimolare il corrispettivo di una paghetta Zaia bambino si industriava insieme agli amici per vendere qualche fumetto o qualche macchinina. Ricordi che sono spesso punto d'avvio per una riflessione più ampia sul Veneto e sull'Italia. Un intero capitolo si concentra per esempio sull'autonomia differenziata, nel tentativo di smontare le obiezioni che vengono mosse alla riforma, che la Lega vuole approvare al più presto, e che si trova all'interno del programma di governo del centrodestra. Per Zaia quella per l'autonomia differenziata è "la madre di tutte le battaglie".

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Presidente, Giorgia Meloni ha detto che l'autonomia differenziata deve procedere di pari passo con il presidenzialismo, e che prima vanno definiti i Lep (Livelli essenziali prestazioni). Non è una frenata alla riforma?

No. Tanto per chiarire, se non ci fosse l'autonomia il presidenzialismo andrebbe comunque portato avanti a prescindere. Non è quindi uno scambio di prigionieri o di favori. Dopodiché è giusto che entrambi i progetti vadano avanti, anche se con tempi diversi. È inevitabile che modificare la Costituzione non sia come portare avanti il progetto dell'autonomia che il governo, volendo, può già affrontare in Consiglio dei ministri, perché ci abbiamo lavorato cinque anni. Perché vorrei ricordare che l'autonomia è prevista dalla Costituzione. Quindi chi è contro l'autonomia è contro la Costituzione.

Ha scritto che l'autonomia differenziata è un "abito sartoriale", che poi va cucito e adattato su ogni Regione e territorio. Ma non si dovrebbe coinvolgere di più il Parlamento, che invece è escluso dalle intese bilaterali Stato-Regioni?

È già coinvolto, perché la legge di attuazione va in Parlamento. Ci sono delle leggende metropolitane che andrebbero sfatate. Le competenze sono indicate dalla Costituzione: le 23 materie che le Regioni possono chiedere di gestire non sono un'invenzione di Luca Zaia. Dopodiché parlare di ‘secessione dei ricchi' o di egoismo del Nord vuol dire essere in malafede.

Perché?

Perché si tratta di un progetto a costo zero. Autonomia significa che una di quelle 23 materie, gestita fino ad ora dallo Stato, viene presa e data in capo alla Regione, che inizierà a gestirla. E lo Stato dà a quella Regione un importo pari a quello che spendeva per gestire quella competenza. Nessuno toglierà nulla a nessuno. Anzi a un maggiore Pil regionale corrisponderà un maggiore gettito dei tributi statali. E a beneficiare di tali risorse saranno tutte le Regioni. L'autonomia è un'assunzione di responsabilità e un fatto di efficienza.

Però molti governatori del Sud sono più che perplessi.

I colleghi che parlano contro l'autonomia allora hanno deciso che il regionalismo non funziona più. Perché l'autonomia non è altro che la sublimazione del regionalismo. Se io fossi un governatore del Sud chiederei l'autonomia. Del resto nel 1949 Don Luigi Sturzo, che era siciliano e non di Treviso, diceva ‘sono unitario ma federalista impenitente'.

C'è però un tema che riguarda la scuola. I sindacati hanno sollevato i problemi che ci sarebbero se ci fossero 20 sistemi scolastici differenti. Rischio di dumping salariale, impossibilità per i docenti di spostarsi da una Regione all'altra, ma anche la possibilità di perdere le risorse del Pnrr, legate a filo doppio al superamento dei divari territoriali.

Io però non sento mai parlare di mala gestio, che invece ha pesato negli anni. E i primi a farne le spese sono i cittadini del Sud. Dobbiamo anche finirla con questa storia secondo cui se ci sono rifiuti per strada è colpa dell'autonomia. Perché ancora la riforma non c'è. Chiedetevi perché ci sono Regioni che vanno in difficoltà, mentre in Veneto siamo un'eccellenza per la raccolta differenziata, e non certo perché abbiamo ricevuto più soldi dallo Stato. Poi questa narrazione secondo cui ci sarebbero Regioni che prenderebbero il volo e altre che diventerebbero i mezzadri d'Italia è ridicola. Perché tutte le Regioni sono legate come fratelli siamesi: la nostra morte e la nostra vita dipendono dalla vita e dalla morte delle altre Regioni.

Anche i medici sono critici con l'autonomia differenziata, dicono che soprattutto dopo il Covid sarebbe necessaria al contrario una presenza più forte dello Stato nella difesa della salute dei cittadini.

Ma immaginiamo cosa sarebbe successo durante la pandemia in alcune aree del Paese se ci fosse stata una gestione centralizzata della sanità. Ma non perché ci siano degli incapaci al ministero. Semplicemente perché davanti a una tragedia come quella del Covid, se non ci fosse stato il governatore di turno a occuparsi di mascherine, respiratori e tamponi, l'unica alternativa sarebbe stata aspettare la circolare dal ministero. Nel frattempo la gente sarebbe morta. Ci vuole coraggio a dire che le Regioni hanno complicato la vita invece di semplificarla. Se avessi avuto io la competenza, da noi non ci sarebbe più il numero chiuso a Medicina da anni.

Si riferisce alla carenza di medici negli ospedali?

Certo, io lo dicevo dal 2010 che ci saremmo schiantati, perché sarebbero mancati i medici. Nel 2018 ho assunto 300 medici laureati e non specializzati, e sono stato contestato perché quei ragazzi erano considerati ‘dottorini'. Sono gli stessi che nel 2020 con il Covid abbiamo pregato perché andassero nelle case a visitare i pazienti. La gestione centralista della sanità ha sbagliato la programmazione, perché mancano 45mila medici.

Soddisfatto di questa manovra di bilancio, che arriva dopo un mese di vita del governo Meloni?

Prendo atto del fatto che un governo in 29 giorni ci porta la manovra, e non abbiamo assistito a beghe e casini. Però vedere gente che critica un esecutivo che si è insediato appena un mese fa è patetico. Che si pensi alle famiglie con disabili, agli anziani, al tema dei redditi, che si pensi che chi è in età lavorativa dai 18 ai 59 anni debba essere messo in condizione di lavorare, dimostra che finalmente c'è un'attenzione alle nuove povertà e a quello che sta accadendo in questo paese. Chi parlava di Reddito di cittadinanza tre anni fa deve prendere atto che è cambiato il mondo.

Nel suo libro definisce il Reddito di cittadinanza "una trappola", in cui i giovani possono trovarsi "prigionieri", perché rischiano di trovarsi bloccati in una "comfort zone". Dice anche che il salario minimo si scontra con il principio meritocratico. Come si assicura allora una paga dignitosa ai giovani?

Bisogna pagare di più i lavoratori, agire sul cuneo fiscale, puntare sulla meritocrazia. Ci sono due categorie di lavoratori in Italia che avrebbero bisogno urgentemente di una remunerazione maggiore: gli insegnanti e i medici. Perché fare questi mestieri è diventato diseconimico, visti i rischi che si corrono. Dopodiché dobbiamo dare le risorse alle imprese perché assumano, defiscalizzando gli oneri per le assunzioni.

I giovani sono i suoi principali interlocutori in questo libro, perché?

Da un punto di vista elettorale pesano poco, se pesassero per l'80% sentiremmo la politica parlare solo di loro. Un capitolo si intitola ‘Non è un paese per giovani', ma io sono convinto che lo dovrà diventare, perché non possiamo continuare a ripetere che i ragazzi stanno tutto il giorno al telefonino, fanno gli influencer e non hanno voglia di fare niente. I ragazzi sono bravi. Io sono un boomer, ma so che loro sono molto più bravi di noi da giovani.

Lei scrive che siamo ossessionati dal ‘green', dalla certificazione ambientale. Propone invece di fare leggi ‘young'. Cosa intende?

Vogliamo stabilire finalmente che tutte le leggi che emaniamo devono essere compatibili con il futuro dei giovani? Devono creare occupazione e non intralciarli, per capirci. Se un giovane va all'estero, per scelta, dobbiamo investire su di lui, creando occupazione per quando tornerà. Se invece ci va per necessità dobbiamo capire il motivo.

Per questo ha commissionato un'indagine statistica sui giovani laureati?

Sì, si tratta di una ricerca per mettere a fuoco anche qualitativamente questo fenomeno e anche per capire come essere attrattivi per i giovani. I pensionati per esempio vanno in Portogallo perché lì pagano meno tasse. Per esempio potremmo trasformare con dei fondi di garanzia una rata di locazione in una rata di mutuo. In questo modo chiunque potrebbe comprarsi una casa.

‘I pessimisti non fanno fortuna'. Che significa? Come nasce questo titolo?

Il titolo l'ho scelto pensando ai ragazzi, cercando una frase che desse fiducia. Perché continuare a ripetere che il mondo finirà non è quello che dobbiamo offrire ai giovani. È una frase che mi caratterizza, la ripeto sempre. Anzi quella esatta sarebbe ‘Solo i pessimisti non fanno fortuna', ma per motivi di spazio ho dovuto accorciarla.

Lei è sempre stato un ottimista?

Tutti noi abbiamo le giornate sfigate e con le nubi. Ma la crescita mi ha insegnato che dopo la pioggia viene sempre il sereno.

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