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Un esperto smonta tutte le critiche e i luoghi comuni sulle zone 30 in città

La zona 30, allargata alla città 30, è un tema che sta dividendo anche sul piano politico. Gli argomenti sollevati quando se ne parla sono diversi: dai tempi per gli spostamenti, all’inquinamento, fino alle multe. Fanpage.it ha chiesto chiarimenti a Matteo Dondé, architetto urbanista esperto del tema.
A cura di Luca Pons
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Ci si mette di più a spostarsi in auto? Si inquina di più o di meno? Il Comune ci guadagna facendo un sacco di multe? Da giorni il dibattito sulla zona 30 e la cosiddetta ‘città 30' si è acceso in Italia. Bologna è stata la seconda amministrazione comunale in Italia a lanciare il progetto di città 30 e il ministero dei Trasporti, guidato da Matteo Salvini, si è subito mosso per contrastare l'iniziativa. Prima di Bologna, l'unico Comune ad aver varato la città 30 era Olbia. Proprio con l'amministrazione di Olbia, come con quella di Bologna e di molti altri Comuni interessati al tema, ha lavorato l'architetto urbanista Matteo Dondé.

Dondé è stato allievo di Lydia Bonanomi, tra le principali ideatrici della teoria alla base della città 30. In un'intervista a Fanpage.it ha risposto alle obiezioni che si sentono più spesso all'idea di una città 30, e ha criticato il modo in cui ne parla la politica in Italia, soprattutto il ministro dei Trasporti Matteo Salvini: "Il dibattito è su un livello indecente, bisognerebbe parlare di morti sulle strade, non di uccellini".

Iniziamo dalle basi: di cosa si parla quando si dice "città 30"?

L'idea di zona 30 è partita negli anni Sessanta in Olanda, da un singolo quartiere, e l'intenzione era quella di proteggere i bambini dal traffico. Poi il concetto si è allargato fino a includere più quartieri. Anche oggi, non si tratta quasi mai di città tutte a 30 all'ora. Il punto di partenza è questo: in Italia la strada più trafficata della città è identica alla casa sotto casa nostra. Ovvero, l'80% è dedicato all'automobile, quello che avanza a tutto il resto. L'idea delle zone 30 è cambiare linguaggio a seconda del tipo di strada, e dove c'è più socialità cambiare completamente approccio. Nei quartieri si va ai 30 all'ora, c'è più possibilità di ampliare i marciapiedi, il verde, e si lasciano ai 50 all'ora le strade che vogliamo che portino il traffico.

Matteo Dondé, architetto urbanista
Matteo Dondé, architetto urbanista

È vero che fa perdere tempo a chi si deve spostare?

Assolutamente no. Di dati su questo ne abbiamo in quantità, soprattutto se guardiamo all'estero. È interessante l'esempio di Bruxelles, che ha lanciato le zone 30 nel 2021: oggi gli spostamenti in città sono aumentati (nel complesso fanno quattro milioni di chilometri in più all'anno), ma il traffico si è ridotto, è aumentata la mobilità dei pedoni e dei ciclisti. Se si riduce la congestione, chiaramente se ne avvantaggia anche l'automobilista.

Ma non si aumenta l'inquinamento dell'aria se le auto vanno lente?

No. Spesso se ne parla confrontando i consumi a velocità costante, ed è vero: se un'auto va a 50 all'ora costante consuma meno di un'auto che va a 30 all'ora costante. La questione è che in città non puoi andare a velocità costante, ci sono incroci, semafori, attraversamenti…quindi è un continuo accelerare e frenare, così l'inquinamento prodotto aumenta.

C'è il rischio che con la città 30 i vantaggi siano per chi abita in centro, che forse può rinunciare all'auto, e gli svantaggi tocchino a chi è in periferia?

Direi di no, l'idea è proprio il contrario: rendere più attrattive le periferie che oggi sono invece dei grossi parcheggi. Portare le funzioni che oggi sono in centro anche nei quartieri. Parigi lo ha fatto bene, ridando centralità a ogni quartiere. Se si va piano, gli spazi di vivibilità aumentano, e si sta meglio.

Resta il problema per chi abita in periferia e deve andare in centro per lavorare, magari prendendo per forza la macchina: non ci metterà molto di più?

Ricordiamo sempre che la velocità media nelle grandi città, nell'ora di punta, oggi è di 18-20 chilometri orari. C'è una forte congestione: Roma è la seconda città più congestionata al mondo, seconda sola a Bogotà in Colombia. Milano è al settimo posto. Il punto è che la città 30 rende più efficiente il sistema di mobilità per tutti gli utenti, proprio perché si elimina l'uso, spesso inutile, che facciamo delle auto sulle brevi distanze.

Un'altra questione che emerge spesso: come fanno le ambulanze e i mezzi d'emergenza se il traffico deve andare lentamente?

Ovviamente, per loro il limite dei 30 all'ora non si applica in caso di necessità, come avviene oggi. Pochi giorni fa i vigili del fuoco di Parigi hanno fatto sapere che loro hanno guadagnato tempo, arrivano più in fretta perché c'è meno traffico. E poi, stiamo dicendo che oggi nelle nostre città congestionate le ambulanze non abbiano difficoltà a muoversi?

E chi dice che a guadagnarci è soprattutto il Comune, perché può fare più multe?

Non è assolutamente una questione di multe. Ci sono gli strumenti della moderazione del traffico, soprattutto nei quartieri: si trasforma lo spazio in modo che l'auto non possa andare veloce, anche volendo. Di recente Asaps, l'Associazione amici della Polizia stradale, ha sottolineato che fare i controlli sulla velocità costa, spesso non è un guadagno per i Comuni. È un modo per evitare i morti sulle strade. E sfido chiunque a connotarli politicamente.

Proprio in tema di politica, perché in Italia è l'argomento delle città 30 sta creando così tanto dibattito secondo lei?

Si è voluta trasformare in tema politico una questione tecnica, che dovrebbe riguardare tutti, indipendentemente dal colore politico. Lo si è fatto per fare una battaglia politica, per i voti, e nulla di più. Io ho lavorato dall'inizio con il progetto di Olbia, unica vera città 30 in Italia a parte Bologna: lì il sindaco è di Forza Italia. Ci sono diverse amministrazioni di centrodestra che lavorano su zone 30. A capire davvero il tema è chi sta nei territori. Dall'alto invece se ne fa una sfida politica. Il livello del dibattito è indecente oggi. Non esiste Paese europeo in cui un Ministro delle Infrastrutture può fare delle dichiarazioni del genere.

Secondo Istat spendiamo 17 miliardi di euro ogni anno per l'incidentalità stradale, e secondo Asap è almeno il doppio. La principale causa di morte dei ragazzi sotto i 29 anni è l'incidentalità stradale. Siamo l'unico Paese in Europa in cui il numero di morti e feriti continua ad aumentare. Possiamo ridurci a parlare degli uccellini?

Negli altri Paesi europei in cui si parla di città 30 il tema non è politico?

Non se ne parla mai in questi termini, no. Per fare un esempio, a dicembre Amsterdam ha lanciato la zona 30, e anche lì l'amministrazione è di centrodestra. Noi siamo i più arretrati su questi temi: la Germania ha la metà dei nostri morti sulle strade per milione di abitanti, la Gran Bretagna ne ha un terzo. Da loro, oltre il 40% dei bambini va da solo a scuola, da noi siamo sotto il 7%. Bisognerebbe parlare di queste cose.

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