Quello che c’è da sapere sull’oro di Bankitalia (che deve restare dov’è)

Il timore di un assalto a Palazzo Koch da parte di Lega e M5S nasce in seguito a una notizia riportata da Reuters e in seguito ripresa da La Stampa. L’agenzia di stampa britannica aveva comunicato l’esistenza di una bozza normativa redatta da Claudio Borghi, deputato della Lega e presidente della Commissione di Bilancio, che autorizzava la vendita dell’oro di Bankitalia attraverso una legge costituzionale. L’idea sarebbe stata quella di usare parte delle riserve auree per intervenire sulla spesa pubblica italiana, eliminando l’aumento dell’IVA per il prossimo anno ed evitando in tal modo di correggere la legge di Bilancio. La vendita dell’oro avrebbe dovuto fruttare tra i 15 e i 20 miliardi di euro, una cifra che permetterebbe di far fronte alla recessione economica.
Borghi ha poi smentito quanto riportato da Reuters, pur affermando la necessità di una legge che specifichi che queste riserve siano di proprietà dello Stato. “Ciò non significa che il governo possa venderlo, però questa lacuna va colmata. L’oro appartiene agli italiani. Eppure non esiste una legge che lo dichiari esplicitamente”, ha spiegato il deputato leghista, sottolineando poi la sua intenzione di voler tutelare l’oro di Bankitalia e proteggere le riserve auree dagli interessi stranieri.
Tuttavia, le affermazioni di Borghi potrebbero risultare problematiche. L’Italia fa parte del Sistema Europeo delle Banche Centrali, per cui tutte le banche centrali degli stati membri dell’Unione Europea fanno riferimento alla Banca Centrale Europea (BCE). La gestione delle riserve auree di Bankitalia è regolamentata da trattati europei e così funziona anche per le altre banche centrali. Questi trattati sanciscono l’autonomia tra banche e governi e vietano esplicitamente il finanziamento monetario dei secondi da parte delle prime. Inoltre, lo statuto di Bankitalia limita fortemente l’influenza degli azionisti, i quali non hanno alcun potere su questioni istituzionali. Non è quindi molto chiaro da che tipo di interessi stranieri Borghi dovrebbe proteggere la Banca Centrale. Gli azionisti non possono detenere più di 9mila quote ciascuno, un 3%, e nel caso dovessero farlo, la parte in eccesso non comporterebbe maggiori diritti di voto. Gli azionisti votano il Collegio superiore e il Collegio sindacale, ma nemmeno questi organi hanno peso istituzionale.
Lo statuto della BCE ha sempre cercato di rafforzare questi principi che devono sancire l’indipendenza della Banca Centrale dal governo e dalla politica. Tuttavia, in Italia fatichiamo a capirlo. Già nel 2009 Giulio Tremonti, ministro dell’Economia durante il governo Berlusconi, aveva proposto l’introduzione di un’imposta sulle plusvalenze dovute alla detenzione di metallo con uso non-industriale, un’allusione nemmeno troppo camuffata a Bankitalia. L’Unione Europea era intervenuta affinché le risorse di Palazzo Koch non finissero nelle tasche dell’esecutivo, ponendo un fermo diniego alla proposta. Dieci anni più tardi, nonostante Borghi abbia poi chiarito la sua posizione, l’UE potrebbe dover interporsi nuovamente. Infatti, la Commissione Finanze della Camera ha iniziato ieri ad esaminare una proposta di legge presentata da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, che consegnerebbe allo stato il controllo di Bankitalia, rendendo quindi possibile trasferire l’oro della banca nelle casse di Roma. Una proposta che i trattati europei dichiarano irrealizzabile ma che, tuttavia, è sempre più chiacchierata.
Il conflitto tra politici e banchieri ha un carattere quasi strutturale. Nonostante ciò, è importantissimo che i governi rispettino l’indipendenza delle banche, non ponendo alcun tipo di pressione politica. Le dinamiche monetarie devono allontanarsi dagli scopi elettorali ed economici per quanto possibile, per assicurare la credibilità dell’istituzione.
Bankitalia detiene la quarta riserva aurea mondiale, dopo Stati Uniti, Germania e il Fondo Monetario Internazionale (FMI), per un patrimonio di 2.545 tonnellate di lingotti e monete d’oro, pari circa a 90 miliardi di euro. Questo capitale è responsabile di garantire per il sistema economico del nostro paese e rafforzare la fiducia di stati e investitori stranieri nel sistema finanziario italiano. Ovviamente, più le condizioni economiche e finanziarie sono precarie, più c’è bisogno di avere un’assicurazione che rassicuri partner tanto commerciali quanto politici.
Lo scorso settembre Beppe Grillo, profeta delle controversie delle ultime settimane, scrisse su Twitter a proposito: “Sarebbe una misura una tantum quinquennale ma che potrebbe permetterci di tirare il fiato e fornire una copertura extra budget, senza sforare gli stringenti parametri comunitari, da destinare a provvedimenti urgenti e non rimandabili. Ma soprattutto consentirebbe di porre finalmente un termine a questa fastidiosa litania sul fatto che non ci sono soldi”. Per quanto potrebbe sembrare una considerazione legittima, tale proposta non tiene conto di come ogni respiro economico della nostra Repubblica sia fortemente indebitato. L’Italia è uno dei paesi con un debito pubblico da capogiro, fra i più alti al mondo, e in una fotografia di questo tipo le riserve auree sono un fondamentale stabilizzatore economico e un’importante garanzia finanziaria.
Per tornare quindi alla domanda su chi sia il proprietario di questo oro, in realtà trovare la risposta non è poi così complicato. Le riserve auree appartengono agli italiani, non ai governi ma ai cittadini, che ne hanno affidato l’amministrazione a Bankitalia. La Banca Centrale, a sua volta le gestisce secondo precisi trattati europei, che in primis affermano la sua indipendenza e rifiutano l’intromissione politica di qualsiasi interesse governativo.
di Annalisa Girardi