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Qual è la posizione dell’Europa sull’Ucraina dopo l’incontro tra Trump e Putin in Alaska

L’Unione europea accoglie con favore l’apertura di un dialogo tra Washington e Mosca, ma ribadisce che la pace deve garantire la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina. Restano però divisioni interne e il timore che il protagonismo di Trump riduca il peso europeo nel processo negoziale.
A cura di Francesca Moriero
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Il vertice di Anchorage tra Donald Trump e Vladimir Putin sembra aver già segnato un passaggio cruciale nella gestione della guerra in Ucraina. Dopo mesi di stallo sul terreno e di diplomazia paralizzata, l’incontro tra i due leader ha infatti riacceso il dibattito internazionale sul futuro del conflitto, spostando nuovamente l’attenzione sul ruolo degli Stati Uniti e ridisegnando le priorità dell’agenda europea. A Bruxelles e nelle principali capitali dell’Unione Europea, la notizia è stata accolta con un misto di sollievo e inquietudine: sollievo perché la prospettiva di un dialogo diretto tra Washington e Mosca sembra ai più l'unica via per aprire uno spiraglio di pace; inquietudine perché il rischio è che l’Europa venga relegata in secondo piano, costretta ad adattarsi a negoziati condotti altrove e secondo logiche che non sempre coincidono con i suoi interessi.

Di fronte a questo scenario, i leader europei hanno cercato di definire una linea comune: sostegno al processo avviato dagli Stati Uniti, disponibilità a partecipare a un summit trilaterale insieme a Kiev, ma anche riaffermazione di principi ritenuti non negoziabili, dalla sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina alla sicurezza dell’intero continente. Un equilibrio difficile, che riflette da un lato la volontà di non restare esclusi, dall’altro la consapevolezza che la guerra non si concluderà senza un ruolo decisivo degli Stati Uniti.

Dichiarazione congiunta dei leader europei

Il messaggio ufficiale è arrivato sotto forma di dichiarazione congiunta, firmata dai principali leader europei: Emmanuel Macron, Giorgia Meloni, Friedrich Merz, Keir Starmer, Alexander Stubb, Donald Tusk, Antonio Costa e Ursula von der Leyen. Tutti hanno infatti accolto con favore l’impegno di Trump per “fermare le uccisioni e chiudere il conflitto”, sottolineando la disponibilità a partecipare a un summit trilaterale con l’Ucraina. Al centro del documento ci sarebbe però un punto fermo: Kiev deve ricevere garanzie di sicurezza solide, in grado di proteggere sovranità e integrità territoriale, e la Russia non potrà in alcun modo esercitare un diritto di veto sul percorso europeo e atlantico dell’Ucraina. Parole che sembrano voler rassicurare Zelensky, ma anche ricordare a Trump che l’Europa intende giocare un ruolo attivo.

Macron convoca la Coalizione dei Volenterosi

Per dare sostanza a questa volontà, Macron ha annunciato per domani una nuova riunione della Coalizione dei Volenterosi. Accanto a lui ci saranno il premier britannico Keir Starmer e il cancelliere tedesco Friedrich Merz, mentre Giorgia Meloni parteciperà solo in collegamento. L’incontro, che precede di pochi giorni la visita di Zelensky a Washington, viene presentato come un’occasione per compiere “progressi concreti” verso una pace duratura. In realtà, dietro la diplomazia delle dichiarazioni, ci sarebbe il timore che l’Europa si ritrovi a fare da comprimario in una partita che Trump e Putin hanno già iniziato a giocare da soli.

Le divisioni interne all’Unione

Non tutti, però, condividono la linea comune: il premier slovacco Robert Fico ha infatti parlato apertamente di “fallimentare strategia europea”, accusando Bruxelles di aver speso miliardi in armi e assistenza senza intaccare davvero la forza della Russia. Parole che si inseriscono nel solco tracciato da Viktor Orbán e che mettono in evidenza le crepe all’interno dell’Unione. Anche in Italia non sono mancate critiche: Andrea Marcucci, leader dei liberaldemocratici, ha definito il vertice in Alaska “inconcludente”, utile solo a restituire legittimità internazionale a Putin. Le voci dissenzienti segnalano che l’Ue non parla con una sola voce e che, dietro il sostegno formale a Kiev, si agitano strategie e interessi divergenti.

Meloni, von der Leyen e l'asse filo-atlantico

Su un fronte opposto si collocano poi Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen, decise a legare il destino dell’Europa a quello degli Stati Uniti. “Si apre finalmente uno spiraglio di pace”, ha detto la premier italiana, ribadendo che Roma farà la sua parte insieme agli alleati occidentali. La presidente della Commissione, invece, ha insistito sulla necessità di garanzie concrete non solo per Kiev ma anche per l’Europa, ringraziando Trump per aver informato i partner europei sui contenuti del colloquio con Putin; un segnale che, se da un lato conferma la centralità americana, dall’altro fotografa la volontà europea di restare agganciata al processo negoziale, senza lasciare campo libero a Mosca.

Reazioni ucraine e il nodo delle garanzie di sicurezza

Molto diversa l’atmosfera a Kiev: i media ucraini hanno infatti dichiarato bollato l’incontro di Anchorage come “vergognoso e disgustoso”, una vittoria diplomatica totale per Putin e un’umiliazione per Zelensky. Il presidente ucraino, pur dichiarandosi pronto a partecipare a un summit trilaterale, sembra non nascondere i rischi: Mosca non ha alcuna intenzione di fermare i combattimenti, come confermato da Dmitrij Medvedev, e potrebbe usare i negoziati solo come strumento tattico. Intanto da Washington è arrivata la proposta di offrire a Kiev garanzie di sicurezza simili a quelle previste dall’articolo 5 della Nato, ma senza adesione formale all’Alleanza.

Una formula che solleva interrogativi e che mette l’Ue di fronte a una scelta: accettare un compromesso che rafforzi la protezione dell’Ucraina oppure insistere sul percorso, lungo e difficile, dell’ingresso nell’Alleanza atlantica.

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