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Primo via libera per il premierato, quali sono i prossimi passi e quando sarà approvata la riforma

La commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato il ddl Casellati, che introduce il premierato, cioè l’elezione diretta del presidente del Consiglio. La riforma, molto cara a Giorgia Meloni, è solo all’inizio. Anche in caso di approvazione finale, poi, è probabile che si tenga un referendum.
A cura di Luca Pons
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Primo ostacolo superato per la riforma del premierato, con cui il governo Meloni vuole introdurre l'elezione diretta del presidente del Consiglio. La commissione Affari costituzionali ha approvato il testo – con i voti favorevoli del centrodestra – e ha dato il mandato al relatore che la porterà in Aula. Il disegno di legge, anche chiamato ddl Casellati perché lo ha proposto la ministra per le Riforme Maria Elisabetta Casellati, era in commissione da mesi. Lo stesso governo Meloni ha presentato emendamenti al testo a più riprese, cambiandolo diverse volte su vari punti che il governo aveva lasciato più o meno incerti. Si è arrivati così al testo attuale, che la commissione Affari costituzionali ha approvato. Prima di arrivare all'approvazione finale, comunque, mancano ancora diversi passi e il percorso non sarà semplice.

A che punto è il premierato voluto dal governo Meloni

Ora la conferenza dei capigruppo di tutti i partiti si riunirà per decidere quando calendarizzare il ddl, cioè quando iniziare la discussione in Aula. Da Fratelli d'Italia arriveranno le maggiori pressioni perché la discussione parta al più presto, mentre le opposizioni potrebbero cercare di rimandarla. La posizione degli alleati di FdI, soprattutto della Lega, finora è stata tiepida: non è un mistero che il Carroccio sia molto più legato alla riforma dell'autonomia differenziata per le Regioni, un altro testo molto discusso che sta lentamente attraversando il suo iter in Parlamento e al momento è in commissione alla Camera.

Queste le prossime fasi, sinteticamente: prima il via libera dell'Aula del Senato, poi il passaggio alla commissione Affari costituzionali della Camera e infine all'Aula, sempre a Montecitorio. In ciascuno di questi passaggi potrebbero essere approvate nuove modifiche, che farebbero ripartire l'iter dall'inizio. Dato che si tratta di una proposta di riforma costituzionale, ci sarà poi una pausa di almeno tre mesi (calcolati a partire dall'approvazione del Senato), e infine si ripeteranno tutti i passaggi: commissione del Senato, Aula del Senato, commissione della Camera, Aula della Camera.

Quando può arrivare l'approvazione definitiva e il referendum

È chiaro quindi che fare una stima precisa dei tempi è difficile. Se la maggioranza decidesse, in modo compatto, che il testo nella sua versione attuale è il migliore possibile e che l'iter può procedere a tappe forzate, si potrebbe anche arrivare al voto del Senato prima delle elezioni europee dell'8 e 9 giugno e a quello della Camera all'inizio dell'estate. Poi, passati tre mesi, il testo ripartirebbe dal Senato in autunno, per il secondo giro di approvazione.

Ma ci sono diversi ostacoli a questa ipotesi. Innanzitutto, la maggioranza per il momento non è sembrata davvero compatta sul testo: solo poche settimane fa il senatore leghista Paolo Tosato ha detto che potrebbe esserci ancora "margine per migliorarlo". In più, trattandosi di una riforma costituzionale così delicata, è possibile che il governo decida di non provare a bruciare le tappe come fatto con altri provvedimenti in passato, spinti avanti a forza di voti di fiducia. Infine, in estate e in autunno ci saranno anche altri temi ad attirare l'attenzione dell'esecutivo e del Parlamento: tra questi, ad esempio, le indicazioni europee sul Def e la prossima legge di bilancio, con una serie di finanziamenti da trovare.

Insomma, il percorso verso il premierato e ancora lungo e al momento non sembra nemmeno garantito che il Parlamento riesca ad approvarlo entro la fine dell'anno, anche se il governo e Fratelli d'Italia faranno il possibile perché questo accada. Resterà poi l'ultimo ostacolo: il referendum. Se l'ultimo voto sulla riforma non avrà una maggioranza di almeno i due terzi a favore (cosa che oggi appare impossibile), probabilmente scatterà la richiesta di consultare gli elettori. Il referendum sul premierato potrebbe avvenire già nel 2025, o se i tempi dovessero allungarsi più del previsto nel 2026.

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