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Che cos’è il premierato e perché la riforma del governo Meloni limiterà i poteri del Capo dello Stato

Il governo Meloni accelera sulla riforma del premierato: il ddl sarà probabilmente esaminato in Cdm martedì. Il costituzionalista Curreri analizza tutte le ipotesi in campo.
A cura di Annalisa Cangemi
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La riforma costituzionale sul premierato, secondo quanto trapelato ieri da fonti di governo, potrebbe arrivare martedì prossimo in Consiglio dei ministri. La conferma è arrivata anche dal ministro per i Rapporti con il parlamento Luca Ciriani:  "Martedì dovrebbe essere in Consiglio dei ministri la proposta di premierato. Se non martedì, molto a breve".

Nei prossimi giorni sono previste ulteriori riunioni della maggioranza per definire il testo del ddl costituzionale. Se non dovesse essere pronto entro lunedì potrebbe essere esaminato in una riunione successiva del Cdm.

Il governo punta a un testo snello, 3 articoli in tutto, che preveda il premierato, cioè l‘elezione diretta del capo dell'esecutivo nello stesso giorno in cui si rinnova il Parlamento, abbandonata la strada del presidenzialismo all'americana e del semipresidenzialismo alla francese. Ma ci sarebbero, secondo quanto riferiscono fonti parlamentari, ancora dei nodi da sciogliere, come quello legato alle norme ‘anti ribaltone', e non si esclude che alcuni paletti presenti ora nella bozza possano essere rivisti. Non c'è certezza al momento sui tempi d'approvazione del ddl, visto l'alto numero di decreti in corso di conversione, oltre alla manovra da chiudere entro fine anno. A fine agosto era circolata una prima bozza, frutto del lavoro della ministra Casellati, ma il testo dovrebbe cambiare ancora.

"Il premierato è la strada giusta, perché il presidenzialismo all'americana o il semipresidenzialismo avrebbero trasformato il Presidente della Repubblica in un organo politico – ha detto a Fanpage.it il costituzionalista Salvatore Curreri – Anche per salvaguardare un'istituzione che ha dato ottimi risultati in termini di stabilità e moderazione del sistema, ritengo sia opportuno che il Presidente della Repubblica rimanga una carica non eletta direttamente dai cittadini, così come è stato delineato dai padri costituenti".

"Rafforzando i poteri del presidente del Consiglio si inciderebbe sul potere di scioglimento delle Camere: questo potere spetta al Capo dello Stato, ma con la riforma del premierato verrebbe inevitabilmente ridimensionato. A quel punto, come avviene in altre democrazie parlamentari europee, sarebbe il primo ministro – tanto più se eletto dal corpo elettorale – a decidere lo scioglimento delle Camere. Così come il potere di nomina dei ministri, che oggi passa attraverso il Presidente della Repubblica, potrebbe passare nelle mani del primo ministro".

"Del resto i poteri del Presidente della Repubblica sono ‘a fisarmonica': si ampliano quando il quadro politico è debole e si restringono quando il quadro politico è stabile e forte. Mi pare evidente che se noi andiamo verso un rafforzamento dei poteri del governo, inevitabilmente i poteri del Presidente della Repubblica verrebbero ridotti, o meglio ricondotti nel loro naturale alveo. Quindi il Capo dello Stato potrebbe esercitare solo poteri di garanzia. Non avremmo più quelli che i giornalisti chiamano i ‘governi del Presidente'", ha spiegato il professore.

Due ipotesi: premierato forte e premierato debole

Secondo Curreri ci sono due ipotesi in campo: un'ipotesi di ‘premierato forte' e una di ‘premierato debole'. "La prima, che è quella che probabilmente uscirà dal Consiglio dei ministri, prevede l'elezione diretta del presidente del Consiglio, con meccanismi tali da garantire al presidente del Consiglio eletto una maggioranza in Parlamento".

"È un sistema che abbiamo già sperimentato con un certo successo, in termini di stabilità, a livello regionale e locale. Perché già noi eleggiamo il presidente della Regione e il sindaco", ha spiegato Curreri. "E così come avviene a livello locale e regionale, anche a livello nazionale si potrebbe istituire un premio di maggioranza, per fare in modo che le liste che hanno appoggiato il presidente eletto abbiano la maggioranza in Parlamento. Altrimenti si arriverebbe a una situazione molto simile a quella israeliana". L'unico Paese che ha adottato l'elezione diretta del primo ministro è appunto Israele. "In quel caso è stata un'esperienza fallimentare – infatti oggi non è più prevista – perché il presidente veniva eletto direttamente, mentre l'assemblea, la Knesset, veniva eletta con metodo proporzionale. Questo faceva così che il presidente non avesse la maggioranza della Knesset, cosa che determinava problemi di instabilità, a causa di una forte frammentazione dell'assembla", ha ricordato Curreri. Per questo l'esecutivo sta pensando di abbinare all'elezione diretta del presidente del Consiglio una legge elettorale che assicuri la governabilità, con un premio di maggioranza.

A questo punto si pone un'ulteriore questione, e cioè l'eventuale istituzione di un sistema a turno unico o a doppio turno, con ballottaggio. "È una scelta non marginale, perché il sistema a doppio turno consentirebbe eventualmente a forze politiche che si sono presentate divise con candidati differenti di aggregarsi in un secondo turno. Questa possibilità non è di poco conto, soprattutto in un periodo come questo, in cui l'opposizione non è compatta".

"Il sistema rimarrebbe parlamentare perché è vero che il Parlamento non darebbe più la fiducia al primo ministro, visto che quest'ultimo verrebbe eletto direttamente dal corpo elettorale, ma il Parlamento potrebbe comunque sfiduciarlo, nel caso cambiassero gli equilibri politici", ha sottolineato Curreri, secondo cui ci sarebbero comunque delle criticità. La prima è che un sistema di questa natura, un premierato forte, sarebbe troppo rigido: "Nel caso in cui il presidente del Consiglio venisse eletto dagli elettori, se il Parlamento sfiduciasse il primo ministro, quest'ultimo non potrebbe essere sostituito nel corso della legislatura. In caso di crisi di governo bisognerebbe tornare alle urne. È un problema che la maggioranza di governo ha ben presente, e infatti valutano l'introduzione della ‘sfiducia costruttiva'", che consiste nell'impossibilità da parte del Parlamento di votare la sfiducia al governo in carica se, contestualmente, non concede la fiducia ad un nuovo esecutivo.

La seconda ipotesi, quella del premierato debole, non prevede l'elezione diretta del primo ministro, ma solo un'indicazione, una designazione da parte degli elettori. "Non ci sarebbe una vera e propria elezione diretta ma, così come è stato negli anni passati, gli elettori, votando una determinata coalizione, potrebbero indicare il leader di quella coalizione come futuro premier. È esattamente quello che è successo con Giorgia Meloni: tutti sapevano che se avesse vinto il centrodestra il leader del partito più votato, in questo caso Fdi, sarebbe diventato presidente del Consiglio. La stessa cosa è successa con Silvio Berlusconi, nel 1994, nel 2001 e nel 2008", ha detto il costituzionalista a Fanpage.it. In pratica si ha una sovrapposizione tra leadership e premiership.

Si tratta sicuramente di un sistema più flessibile, che potrebbe anche prevedere una sostituzione del primo ministro in corso di legislatura, in caso di crisi di governo. "In caso di dimissioni del presidente del Consiglio, con l'ipotesi del premierato forte si dovrebbe andare a nuove elezioni. Con il premierato debole invece potrebbe esserci una sostituzione, anche interna alla maggioranza stessa. Oppure potrebbero esserci dei ribaltoni, come avvenuto per esempio durante i governi Berlusconi, nel 1995, con la "spallata" della Lega Nord di Umberto Bossi, e nel 2011, quando poi arrivò il governo tecnico di Monti".

"Se in alcuni frangenti della nostra storia repubblicana avessimo avuto un premierato forte non avremmo avuto un'alternativa alle urne, anche in fasi di grandi crisi finanziarie internazionali, cosa che avrebbe probabilmente fatto precipitare il Paese nel caos. Sicuramente preferisco l'ipotesi del premierato debole a quella del premierato forte", ha sottolineato Curreri.

Cosa si intende per ‘sfiducia costruttiva'

La sfiducia costruttiva, che troviamo ad esempio in Spagna o in Germania, in pratica impedisce che un governo cada, se contemporaneamente non ne nasce un altro. Questo meccanismo sarebbe in contraddizione con il modello del premierato forte, "perché se il primo ministro viene eletto dagli elettori, qualsiasi tipo di sfiducia non può che essere ‘distruttiva'. In pratica se il primo ministro viene sfiduciato si deve tornare a elezioni, non è possibile sostituire il presidente del Consiglio", ha spiegato Curreri a Fanpage.it. Esattamente quello che avviene al livello regionale e locale.

Secondo il costituzionalista la sfiducia costruttiva invece sarebbe coerente in un modello di premierato debole: "Proprio perché manca un elezione diretta del primo ministro, ma c'è una designazione da parte del corpo elettorale, si potrebbe introdurre un meccanismo che preveda che non si possa far cadere un governo finché non ci sia una maggioranza in grado di sostenerne un altro".

Cosa è la clausola anti-ribaltone

Secondo quanto emerso fino ad ora sulla riforma del premierato, per evitare cambi di maggioranza in corso di legislatura, il governo sta valutando l'introduzione di una clausola anti-ribaltone, che consentirebbe ai parlamentari di sostituire il capo del governo, senza però cambiare conformazione della maggioranza parlamentare. "Sarebbe di difficile applicazione. Potrebbe in via ipotetica andare bene, ma come si può perimetrare la maggioranza in assenza di un voto di fiducia? E poi c'è il principio del divieto di mandato imperativo, cioè i parlamentari esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato. Credo ci siano dei problemi tecnici".

"Forse un meccanismo più utile potrebbe essere il cosiddetto ‘ticket', cioè l'elezione contestuale del presidente e del vicepresidente del Consiglio: nel caso in cui cadesse il primo ministro subentrerebbe il vice, che sarebbe in questo caso ugualmente legittimato dagli elettori", ha detto Curreri a Fanpage.it.

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