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Politiche giovanili, municipi forti e welfare, la sfida di Salis a Genova: “La città va ricucita dal basso”

Da olimpionica a candidata sindaca con il centrosinistra, Silvia Salis racconta a Fanpage.it la sua visione per una Genova più giusta, vicina ai quartieri e capace di dare spazio a giovani, cultura e partecipazione.
A cura di Francesca Moriero
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Ha lanciato il martello nei più grandi stadi del mondo: ha partecipato a due Olimpiadi (Pechino 2008 e Londra 2012) e vinto dieci titoli italiani. Poi ha contribuito a guidare lo sport italiano dai vertici del CONI, prima donna a ricoprire il ruolo di vicepresidente. Oggi Silvia Salis torna nella sua città, Genova, per candidarsi a sindaca, con un progetto civico che punta a ricucire le fratture sociali, riportare l'amministrazione vicino ai quartieri e restituire ai cittadini la possibilità di immaginare un futuro diverso. Il suo percorso unisce sport, istituzioni e impegno civile, ma la scelta di entrare in politica nasce da una convinzione precisa: "Servono visione, partecipazione e coraggio, non solo grandi opere".

A Fanpage.it Salis ha parlato della sua idea di città, delle responsabilità della politica nel lasciare indietro intere generazioni, delle sue battaglie contro le disuguaglianze e per il diritto alla casa, del bisogno urgente di riportare cultura e bellezza dove oggi ci sono solo degrado e marginalità. Ma anche di cosa significhi per lei, dopo anni nei vertici dello sport, affrontare una sfida politica in prima persona, dentro una città che chiede risposte, e in contesti dove la presenza e la voce di una donna restano, ancora, tutt'altro che scontate.

Da atleta olimpica a vicepresidente del CONI, ora in campo per Genova. Qual è il passaggio personale e politico che l'ha portata fin qui? E cosa le piacerebbe rappresentare in questa fase per la città?

Sono sempre stata attratta dalle sfide, prima nello sport, che nella vita, mi ha dato soddisfazioni incredibili. Una volta terminato il mio percorso agonistico mi sono trovata lanciata in un’altra sfida. Come prima donna vicepresidente del CONI ho avuto modo di conoscere tante realtà in giro per l'Italia e per il mondo. Toccando con mano l'incredibile potenza dello sport come strumento di riscatto sociale, di rigenerazione e rilancio di aree e di comunità. Lo sport è trasversale, non ha colore politico e non discrimina per genere o per età. Quando poi si è presentata la possibilità di lanciarsi in questa nuova sfida, la candidatura a sindaca della mia città, Genova, devo ammettere che non ci ho dovuto pensare molto. Ho sempre avuto il desiderio di mettermi a servizio di un progetto ambizioso, con una visione a lungo termine. L'idea di poter contribuire a rilanciare la città che mi ha dato tanto e da cui sono partita per cominciare a conoscere il mondo. Mi piacerebbe che da questa esperienza nascesse una nuova forza propulsiva per Genova, che si ricominciasse a guardare al futuro. Vorrei che i genovesi vedessero in questi prossimi cinque anni la possibilità di tornare a immaginare una Genova diversa, che si riprenda il suo spazio non solo in Italia, ma in Europa. Vorrei immaginare insieme ai genovesi la Genova del domani.

In molte narrazioni mediatiche il suo profilo sembra ancora filtrato attraverso lo sguardo maschile: prima donna che candidata, giovane che deve "dimostrare" qualcosa. Le parole sono sempre quelle dell'eccezione, mai della normalità. Come si risponde a questa lente? E quanto pesa ancora, anche nei partiti, questo tipo di sguardo?

Credo che questi "filtri", questo modo di rappresentare il profilo dell'avversario, siano più un sintomo di debolezza che altro. Secondo me chi passa il periodo della campagna elettorale a offendere e provare di discreditare il candidato della parte avversaria anziché raccontare la propria proposta, spiegare le sue ragioni, fa un danno agli elettori, facendo scadere il dibattito politico a uno scontro personale, senza contenuti, che vede i genovesi non come decisori ma come spettatori di uno spettacolo che non si meritano. Io non ho mai accettato di seguire questo metodo, non mi sono mai prestata alla logica dell'attacco personale, ho cercato di raccontare la mia visione ai cittadini e alle cittadine, dialogando direttamente con loro .

Lei ha parlato spesso della necessità di rafforzare l'autonomia decisionale dei municipi. In che modo? E perché è così importante riportare le scelte amministrative più vicino alla vita dei quartieri?

L'amministrazione di una comunità funziona così, più si è vicini ai problemi del territorio più è facile conoscerne le varie sfaccettature, e quando la comunità coinvolge centinaia di migliaia di persone è inevitabile che l'amministrazione "centrale" abbia bisogno di presidi più calati sui singoli quartieri . La riforma del 2021 voluta da Marco Bucci e dalla destra ha di fatto allontanato il comune dai cittadini, accentrando tutto il potere a Palazzo Tursi, ma dimenticandosi di ascoltare le voci dal territorio. Io credo che il modo migliore per dare risposte immediate, veloci, alle richieste di chi vive nei municipi che compongono Genova sia quello di ridare autonomia gestionale a questi municipi. Dargli modo di decidere come spendere le risorse che gli spettano. Ascoltando i cittadini ogni giorno e lavorando con il tessuto sociale e produttivo per costruire insieme le soluzioni.

Genova è una città che vive contraddizioni forti: alcuni quartieri sono diventati simbolo di ghettizzazione sociale, e in altri mancano presìdi fondamentali come consultori, centri antiviolenza, spazi per giovani e famiglie. Qual è la sua idea di prossimità e giustizia territoriale?

La prossimità dell'amministrazione e la giustizia territoriale si ottengono ridando voce a chi è cresciuto e ha dedicato il suo tempo e fatica per fare amministrazione nel proprio municipio, incontrando quotidianamente gli abitanti sul territorio. Per colmare in tempi certi le disuguaglianze è necessario, come dicevo prima, avere le risorse per farlo e snellire la burocrazia per poterle stanziare e avviare i progetti.

Cultura e welfare sono spesso le prime voci a essere tagliate. Ma sono anche quelle che possono tenere insieme una comunità. Come si rilancia una città anche da qui? Che spazio darebbe alla cultura, alle politiche giovanili, al diritto all'abitare e al sostegno alle fragilità?

Una città si rilancia dal welfare. Al centro la persona con il suo progetto di vita, le persone il cui futuro è strettamente legato al futuro della città. La mia intenzione è riorganizzare i servizi alla persona, attraverso una cultura non solo dell'inclusione e del superamento delle difficoltà ma una cultura che mette al centro l'emancipazione e la realizzazione di chi sceglie di stare a Genova o di venire a vivere a Genova. Quando si sta bene in una città si investe in essa e per essa e questa è l'unica strada per superare fenomeni complessi come la denatalità e l'invecchiamento di una popolazione. Un approccio di sistema è la soluzione che va al superamento dei bonus, ma si impone risposte concrete di sollievo ma anche di sostegno.

Sul tema ambientale, Genova vive una contraddizione evidente: è ancora fortemente dipendente da un modello industriale ed energetico inquinante, e al tempo stesso vulnerabile ai cambiamenti climatici. Che ruolo dovrebbe giocare la città nella transizione ecologica?

Naturalmente la transizione ecologica non è un tema solo cittadino, è un tema nazionale e globale. Le risposte che possono essere date da un'amministrazione comunale, specialmente per quanto riguarda la politica industriale che coinvolge realtà multinazionali calate nel tessuto cittadino genovese. Quello che un'amministrazione comunale può fare è confrontarsi con le realtà produttive della città, costruendo con loro una strategia volta alla sostenibilità, alla transizione verso mezzi di produzione che possano avere un impatto ambientale quanto meno significativo, senza per questo rinunciare alla loro necessità di essere competitive sul mercato internazionale. La sfida non è semplice, ed è quella di mantenere e ampliare le capacità attrattive della città per le aziende, senza rinunciare a fare la nostra parte per quanto riguarda la sostenibilità ambientale delle filiere produttive. La capacità di interfacciarsi con queste realtà con autorevolezza è la chiave per essere efficaci nell'azione del Comune.

Che idea ha dello sviluppo urbano degli ultimi anni a Genova? Grandi opere e waterfront sono stati al centro del dibattito, ma la partecipazione dei cittadini sembra essere rimasta ai margini. Qual è il suo modello alternativo di città?

Per rispondere a questa domanda si dovrebbe fare una premessa; in questi anni la città ha usufruito di risorse provenienti dall'Unione Europea che hanno rappresentato un'opportunità irripetibile per le amministrazioni locali. Sto parlando dei fondi del PNRR. Questi fondi sono stati utilizzati per fare una progettazione a mio avviso completamente calata dall'alto, è mancato l'ascolto dei cittadini, dei comitati, delle realtà produttive, di chi avrebbe potuto esprimere un'opinione informata. Chi era al governo del Comune e della Regione ha preferito spendere milioni in progettazioni e in grandi opere che ancora oggi non hanno portato nessun miglioramento alla qualità di vita delle genovesi e dei genovesi, ha generato solo cantieri infiniti e disagi, senza nessuna condivisione con i cittadini. Io credo che quando si decide di mettere in atto un'opera di rinnovamento della città il primo passaggio debba essere il confronto con chi vive sul territorio, ascoltando tutti. l’amministrazione deve poi prendere una decisione, ha la responsabilità di non rimanere immobile, ma ha il dovere di dialogare. Fare amministrazione non significa imporre la propria decisione su chi ti ha delegato la responsabilità di governare, significa, secondo me, riuscire ad integrare la propria visione con quella di chi è impattato dalle decisioni che prendi. Per quanto riguarda il waterfont è stata un'operazione prevalentemente commerciale, che non ha dato reali risposte alle richieste dei cittadini, è stato un tentativo di riqualificazione di un'area che poteva essere pensato meglio a mio avviso, anche considerando che c'è un solo spazio pubblico, il palasport, che sarà circondato da un centro commerciale.

Molti giovani oggi si sentono esclusi dalla politica e da qualsiasi possibilità concreta di incidere sul proprio territorio. Lei rappresenta anche una generazione diversa da quella che governa da anni. Come si restituisce ai giovani fiducia e spazio, non solo retorico, nella vita pubblica?

I giovani da Genova spesso se ne vanno, per studiare, per lavorare, ma raramente ritornano, questo perché la città non risponde alle necessità che le nuove generazioni possono avere, sotto molti aspetti, da quello dell’offerta di lavoro qualificato, dignitoso e che permetta di avere prospettive come comprare una casa, mantenere una famiglia, al trasporto pubblico o quello dell’offerta di spazi dove esercitare la propria creatività, dove poter studiare, abitare, condividere momenti di socialità, anche dopo le 21. C’è bisogno di uno sviluppo di spazi pubblici aperti anche fino a tardi per praticare sport, aprire sportelli con personale qualificato che possa permettere loro di essere supportati anche da un punto di vista psicologico. La fiducia ai giovani si restituisce dando loro una prospettiva di vita in questa città. Che li spinga a immaginare come potrebbe essere la loro vita a Genova, partecipando allo sviluppo e al progresso di questa città.

Parità di genere, diritti civili, lotta alla violenza: non sono solo battaglie simboliche, ma scelte amministrative. Cosa manca oggi a Genova per essere davvero una città che non lascia indietro nessuno?

Oggi a Genova manca prima di tutto la volontà di collaborare con chi si batte su questi temi da anni. Negli ultimi anni non c’è stato un reale dialogo, una reale attenzione per questi temi, si è preferito lasciare al Terzo Settore il compito di occuparsi degli ultimi. Abbiamo la fortuna, a Genova, di avere una rete sociale fatta da cooperative, società di mutuo soccorso, volontari, donne e uomini che dedicano il loro tempo, spesso anni, decenni della loro vita ad aiutare chi è in difficoltà, sotto molteplici punti di vista. Sopra le Spalle di questa città è stato lasciato un peso eccessivo, non riconoscendogli l'enorme lavoro da loro svolto. La cosa importante, secondo me è integrare l’attività di chi già fa molto privatamente, con le strutture del Comune che in questi anni hanno dovuto fare fronte alle difficoltà crescenti del territorio di Genova e non solo. Serve anche un lavoro di educazione, di formazione, che permetta a chi opera per l’amministrazione comunale in questi ambiti di saper fare fronte ai problemi che negli anni sono anche, in parte, aumentati e cambiati.

Se dovesse indicare una priorità assoluta per i primi cento giorni, quale sarebbe? E con quale metodo intende lavorare: con una squadra civica, o all’interno di un progetto politico più ampio?

Avvieremo subito il percorso che serve a cancellare la riforma Bucci che ha limitato le competenze dei Municipi accentrando al Comune risorse e poteri. Avere municipi nel pieno delle proprie funzioni in termini di manutenzioni, cura del verde, rapporti con i cittadini e le associazioni, è essenziale per risolvere i problemi quotidiani di vivibilità della città, e anche per avvicinare la pubblica amministrazione alle persone.

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