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Opinioni

Perché le classi differenziali sono un abominio degno di un candidato come Vannacci

Il primo punto del candidato della Lega Vannacci sono le classi differenziali per bambini con disabilità. L’odore di Ventennio di certe idee arriva fino a qui.
A cura di Saverio Tommasi
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Roberto Vannacci, candidato della Lega, propone le classi differenziali per i bambini e le bambine con disabilità
Roberto Vannacci, candidato della Lega, propone le classi differenziali per i bambini e le bambine con disabilità

Roberto Vannacci, da due giorni, è ufficialmente il candidato della Lega in tutti i collegi d'Italia. Con la sua candidatura Matteo Salvini ha tracciato una strada: vuole diventare quella cosa lì, dove già la Lega non lo è pienamente.

E qual è il primo punto del programma europeo di Roberto Vannacci? Qual è stato il biglietto da visita che ha usato per entrare nei cuori neri del suo pubblico di riferimento? La proposta di classi differenziali per bambini e bambine con disabilità.
Aveva iniziato il ministro Valditara, in quota Lega, ipotizzando classi differenziali per alunni stranieri. Ora è stato il generale non antifascista Vannacci a prendere il bandolo della matassa e a dirlo esplicitamente nella sua intervista a La Stampa: "Dobbiamo mettere insieme gli alunni con prestazioni migliori, io non metterei il disabile con uno che corre i cento metri. Gli puoi far fare una lezione insieme, per spirito di apppartenenza, poi però basta".

In queste affermazioni c'è tutta la violenza di un Ventennio che esce dalle fogne.

L'Italia, negli ultimi decenni, ha avuto una straordinaria tradizione di convivenza; non di integrazione, non di annessione, ma proprio di coabitazione fra intelligenze. Siamo il Paese, e io sono nato proprio nelle sue terre, di don Lorenzo Milani. Una scuola che insegna a essere liberi, non sudditi di un padrone, operai specializzati a soddisfare il mercato.
Le parole come strumento di liberazione: è da qui che viene la scuola pubblica italiana, da Barbiana, dagli scioperi delle studentesse e degli studenti nel '68, dagli scontri con il potere. Ogni atto di ribellione scaturisce da un gesto d'amore, come il pensiero di don Lorenzo Milani quando scrisse: "L'obbedienza non è più una virtù". O si insegna la libertà o si allevano polli da combattimento. Non ci sono terze vie.
La selezione, il merito spinto, sono spazzatura ideologica: escludere, ghettizzare, separare, non rendere fruibile. Considerare deficiente qualcuno in base alle aspettative di qualcun altro, è un residuo fascista.

Le classi differenziali sono un danno per i primi della classe, e per tutti gli altri. Se togli la coabitazione fra diversi è la fine della scuola, e smantelli la civiltà. Non c'è società umana, nella divisione fra nobili e plebei. Non c'è insegnamento di libertà nella separazione fra patrizi e figli di renaioli.

Sotto il regime fascista la locuzione "classe differenziale" venne istituzionalizzata col testo unico sull'istruzione elementare e post-elementare; eravamo nel 1928.

L'Italia ha lottato per abolire le classi differenziali. La comunità pedagogica italiana non è un regalo improvviso, l'hanno conquistata generazioni di sognatori concreti. La più importante riforma scolastica della Repubblica italiana è stata l'eliminazione delle classi differenziali nel 1977, ricordiamo le battaglie politiche di Mirella Antonione Casale, già dagli anni '60.
L'anno successivo la legge Basaglia sancì finalmente la chiusura dei manicomi, riformando il sistema di cura per i pazienti con disagio psichiatrico. In due anni, l'Italia aveva compiuto cento passi da giganti. L'idea che non soltanto la convivenza fosse possibile, ma migliore per ogni parte in causa.
Nei manicomi erano detenuti anche i bambini, e quella era la prima classe differenziale, una delle più violente, dove venivano segregati i reietti, i poveri, gli straccioni, i dislessici, quelli il cui valore non trovava un corrispondente nell'immediata mercificazione fisica del lavoro.

Io credo che oggi esistano due opzioni di scuola: quella che libera, che fornisce la cassetta degli attrezzi per affrontare il mondo come esperienza collettiva, non esclusiva; e quella che forma all'obbedienza, e poi per poche élite anche alla separazione come strumento per emergere. Emergere puntando il tacco sui corpi dei più fragili.
Separare è quello che oggi possiamo definire fascismo. Quello storico è morto, quello dell'esclusione prospera. Per questo Roberto Vannacci non si definisce antifascista, perché le sue idee non lo sono.

A chi vuol bene alla scuola, il compito di ampliare i vocabolari, e non lasciare mai una sola parola difficile senza una spiegazione, come diceva don Lorenzo Milani.
Ricordo un'altra sua frase: "Un fascista e dieci qualunquisti fanno undici fascisti". Significa che voltarsi dall'altra parte, essere indifferenti, ci pone comunque dalla parte del torto. Non è migliore l'apatico, o chi si sottrae alla lotta, rispetto a chi prende calcina e cazzuola e costruisce fisicamente un muro fra chi ha voti alti e chi deve faticare un po' di più.

La cultura è una cura per tutti, senza differenze fra chi fa cento metri in pochi secondi, e chi si deve portare appresso due ruote.

In definitiva, possiamo concludere così: non si è deficienti perché si hanno tempi personali più lunghi, ma lo si è quando si smette di credere che il tempo lungo possa essere impiegato per diventare migliori insieme.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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