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Perché la più grande sconfitta della sinistra è aver perso la propria identità

Il vero problema della sinistra in Italia è che non esiste più perché ormai ci si vergogna di essere progressisti, riformisti, rivoluzionari.
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All'ennesima persona, presumibilmente di sinistra, che ho sentito (o letto) dire che dopotutto "è la volontà del popolo italiano", che "bisogna essere onesti, darle fiducia e vedere il suo operato prima di giudicare" ho compreso qual è il vero problema della sinistra in Italia: non esiste più. O meglio: il concetto di "essere di sinistra", in una larghissima parte di persone, si è confuso, mischiato, indebolito e trasformato in un pappotto indefinito fatto di idee liberali, progressiste, capitaliste, liberiste, garantiste e moderate, nel senso peggiore del termine, ovvero ignavo.

E pian piano, "grazie" ad una ferocissima retorica sovranista e populista (berlusconiana prima, salvinista dopo e melonista ora) che ha imperversato nel paese attraverso tivù e social negli ultimi trent'anni, le persone di sinistra in Italia hanno definitivamente perso la propria identità, i propri punti di riferimento e sembra quasi si vergognino oramai di essere tali. Nel frattempo la destra invece è riuscita anno dopo anno, a costruire la propria identità precisa, fatta di parole precise, di idee precise, di luoghi comuni precisi, di slogan precisi etc in cui ogni persona di destra in Italia non trova alcuna difficoltà a riconoscersi. E il discorso di Giorgia Meloni ne è l'esempio perfetto, che – come ha detto il direttore Cancellato qui – se preso e ribaltato completamente, sarebbe il manifesto ideale di una sinistra contemporanea, punto per punto.

E invece accade che si confonda l'essere democristiano con l'essere di sinistra e che le persone di sinistra stiano lì a scannarsi su quanto sia inutile la battaglia dell'articolo maschile o femminile prima dell'appellativo Presidente, "perché i problemi del paese sono ben altri", senza comprendere in realtà che il punto è proprio questo: all'interno di una sinistra moderna e progressista, non dovrebbe esserci alcun dubbio su una cosa talmente banale come questa e se per il popolo di destra Giorgia Meloni è IL presidente, per quello di sinistra dovrebbe essere LA presidente, punto. Invece, ahinoi, il popolo di sinistra è sempre pronto a litigare per decidere quale sia la battaglia più importante, senza riuscire mai a comprendere che tutte le battaglie sono importanti, che a ognuno e ognuna "secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni." E lo diceva Marx, non Topo Gigio.

Dovremmo tornare ad essere in grado di riappropriarci del significato e della bellezza entusiasmante e trascinante delle parole e dovremmo smettere di avere paura o vergogna di pronunciarle: inclusione, amore, condivisione, solidarietà, pacifismo, socialismo (non quello di Craxi perdio!), partecipazione, antifascismo, accoglienza. A quanto pare, però, alcune bugie ripetute infinite volte diventano verità – come diceva un mostro nazista – e così alcuni concetti ripetuti fino allo stremo delle forze, divengono opinione pubblica largamente condivisa nostro malgrado: siamo stati persuasi che il politicamente corretto sia una forma distorta della visione del mondo, una forma di pensiero unico, una dittatura sotterranea di fantomatiche lobby radical chic che opererebbero sotto mentite spoglie un cambiamento del mondo, quando invece – come dice la parola stessa – è solo un modo di pensare e vedere le cose eticamente corretto, appunto.

La sinistra dovrebbe scrivere un nuovo vocabolario, punto per punto, partendo da quello che c'è, dalle lotte della generazione zeta, senza giudizio, senza escludere nulla, senza ordine di importanza, ognuno e ognuna si occuperà della propria battaglia e "di certo la mia lotta non annullerà la tua", e soprattutto senza se e senza ma. Perché è questa la trappola del politicamente corretto: persuaderci che l'attenzione ai diritti e all'inclusione sia una forma di distrazione di massa, per allontanarci dai problemi veri come la disoccupazione, la povertà, etc: ma allora se ogni battaglia per i diritti di qualsiasi tipo diventa opinabile, oggetto di discussione e derisione, dove inizia e dove finisce l'identità di una persona di sinistra in Italia?

Perché ci vergogniamo di essere buonisti, politicamente corretti, radical chic, progressisti, riformisti, rivoluzionari quando molti e molte non si vergognano affatto di essere fascisti? Sembra che tutto sia ribaltato, il contrario di quando in questo paese si aveva il timore reverenziale anche solo di nominarlo il fascismo se non per contestarlo: ora invece spadroneggia la destra più radicale mai vista al governo dell'Italia liberata, e ci si vergogna a definirsi antifascisti. Seppur sappiamo benissimo che – come diceva Gaber – "il fascismo non è un'opinione e chi lo pensa, oltre a delinquere, è anche un grandissimo coglione". Un mondo al contrario – come ha ben chiarito Giorgia Meloni – dove chi percepisce un sussidio, come il reddito di cittadinanza, è qualcuno che ha fallito nel “fare la sua parte per l’Italia” mentre se sei un evasore fiscale tutto sommato ti meriti una bella “tregua”.

La sinistra deve tornare a riappropriarsi delle sue parole, deve trovarne di nuove e inventarsene altre, ancora più belle: ma quanto scommettiamo che qualcuno o qualcuna in calce a questo articolo, commenterà senza aver compreso nulla e avendo letto solo il riassuntino: "eh beh se ci stiamo a preoccupare delle parole invece dei problemi seri non cambierà mai niente in questo paese!"?

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