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Opinioni

Il discorso di Meloni è la sintesi perfetta della destra (e quello che la sinistra non riesce a fare)

È un discorso sinceramente, fieramente, culturalmente di destra, quello di Giorgia Meloni, come mai l’avevamo sentito. Che manca l’obiettivo di essere ecumenico, di piacere a tutti, proprio a causa del punto di vista da cui tutto permane e da cui tutto parte. E forse è anche per questo che la Meloni ha vinto.
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Il conservatorismo come bussola che guida ogni scelta. La famiglia come cuore della società italiana. La sicurezza come bene primario da salvaguardare. La nazione come soggetto politico da onorare, il suo interesse da mettere in cima a tutto. Il dovere, quasi militare, di mettersi al suo servizio.

Nessun accenno e nessuna concessione alla promozione della diversità, nessun richiamo alla globalizzazione, o anche solo all’idea che ci sono problemi che si possono risolvere solo tutti assieme, la scuola come mera cinghia di trasmissione del mondo produttivo, la cultura intesa solo come culla dell’identità patria.

Più leggiamo e rileggiamo il discorso che Giorgia Meloni ha pronunciato per chiedere la fiducia della Camera dei Deputati al suo governo, più ci troviamo dentro tutto il patrimonio culturale della destra italiana che finalmente – per lei, per loro – trova la sua istituzionalizzazione occupando lo scranno della presidenza del Consiglio.

È un discorso sinceramente, fieramente, culturalmente di destra, quello di Giorgia Meloni, come mai l’avevamo sentito. Che manca l’obiettivo di essere ecumenico, di piacere a tutti, proprio a causa del punto di vista da cui tutto permane e da cui tutto parte.

Gli esempi sono molteplici. A partire dai richiami protezionistici, se non addirittura autarchici quando Meloni parla delle “logiche predatorie che mettono a rischio le produzioni strategiche nazionali”. O di quando evoca il “cloud nazionale”, o la sovranità tecnologica, o quella alimentare, quando Meloni si preme di “garantire che non dipenderemo da nazioni distanti da noi per poter dare da mangiare ai nostri figli”.

E ancora: quando parla del presidenzialismo come garanzia di stabilità, e della stabilità come fondamento della sovranità popolare e nazionale.

E ancora, quando elenca misure fiscali che riducono la progressività della tassazione e che aprono a condoni fiscali, che a questo giro diventano “tregua”, e non più “pace”, a beneficio di chi ha evaso.

E ancora, quando attacca chi percepisce un sussidio come il reddito di cittadinanza come qualcuno che ha fallito nel “fare la sua parte per l’Italia”.

E ancora, quando ritorna a criminalizzare l’uso di sostanze come la cannabis, rubricando a chi ne fa uso come personalità “deviata”.

E ancora, quando parla di ambiente e cambiamento climatico prendendosela con il fondamentalismo ecologico, senza alcuna concessione all’idea che una simile transizione vada affrontata a livello globale, non certo nel greto delle singole nazioni.

E ancora, quando parla della famiglia – una e sola, rigorosamente al singolare – unicamente come culla della natalità perduta. E ancora, quando definisce l fascismo e le leggi razziali come punto più basso della Storia italiana, ma non riesce a non prendersela con l’antifascismo militante che ammazza ragazzi innocenti a colpi di chiave inglese.

E ancora, quando afferma che l’unico modo per garantire sicurezza sia attraverso la certezza della pena e con nuove carceri, senza menzionare in alcun modo la sicurezza sociale, e nemmeno il fallimento rieducativo del sistema penitenziario italiano.

E ancora, quando affronta il tema delle migrazioni semplicemente come una questione di sbarchi da fermare e di Africa da colonizzare economicamente, con la saggezza e gli investimenti del bravo Occidentale.

Insomma, prendete il discorso di Meloni e rovesciatelo dalla testa ai piedi. Quel che otterrete il perfetto discorso di sinistra che non avete mai sentito dallo scranno in cui è stato pronunciato.

E forse è anche per questo che Meloni ha vinto.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro. 15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019)
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