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Opinioni

Perché affidare l’educazione civica alle iniziative delle forze armate è un problema democratico

Protocollo dopo protocollo, militari e poliziotti entrano nelle scuole italiane. La strategia non è nuova e certo non si è fermata con il governo Meloni, con il ministro Crosetto attento alla valorizzazione della cultura della difesa. Ma c’è chi si oppone alla normalizzazione di questa retorica: ecco il modulo con cui si può chiedere l’esonero dalle attività militariste.
A cura di Roberta Covelli
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Un testo scaricabile in pdf e modificabile con i propri dati: è questo il modulo predisposto dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. Presentandolo alla scuola, i genitori possono chiedere l’esonero dei propri figli da attività che prevedano la partecipazione di forze armate o di pubblica sicurezza.

Ma perché un’iniziativa del genere? C’è davvero una militarizzazione culturale che tocca anche le aule scolastiche? E, se sì, è un problema che a parlare di educazione civica siano poliziotti, carabinieri o soldati?

I protocolli del ministero di Valditara

La presenza delle forze armate nelle scuole non nasce oggi. Dalla mini-naja proposta da Ignazio Benito La Russa quand’era ministro a Lupetto Vittorio, la mascotte dell’Esercito, il "rafforzamento del brand Difesa" è una strategia in atto da anni e i più giovani sono obbiettivi privilegiati, sia in ottica culturale, sia nella prospettiva del reclutamento.

La tendenza non si è certo fermata con il governo Meloni. Nel Programma di Comunicazione 2025 del Ministero della Difesa il contatto con gli studenti rientra tra i canali strategici per diffondere la "Cultura della Difesa", con attività nelle scuole e la partecipazione a eventi promossi da enti locali, associazioni e soggetti privati.

Anche il Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM), guidato da Valditara, ha firmato protocolli con diverse forze militari e civili per promuovere iniziative nelle scuole: dall’intesa con il Viminale per gli incontri sulla cultura della legalità, siglata il 20 dicembre 2024, a quella con la Marina militare per le attività sulle navi, firmata il 7 agosto 2023, a cui si aggiungono il confronto con gli Alpini in vista di una prossima intesa per attività nelle scuole, il protocollo con l’Arma dei Carabinieri, siglato il 31 ottobre 2024, e quello con l’Associazione Nazionale Bersaglieri, il 7 febbraio 2025.

Il caso di Magenta e l’attacco di Crosetto

Proprio contro quest’ultimo protocollo si era sollevata la critica di alcuni docenti del liceo Bramante di Magenta, nel milanese. Con una lettera aperta al ministro Valditara, gli insegnanti avevano spiegato la loro contrarietà all’intesa con l’Associazione Nazionale Bersaglieri, mettendo in evidenza come le parole d’ordine del corpo militare siano in contrasto con il percorso educativo civile in un contesto democratico.

Tra le reazioni è arrivata anche quella di Guido Crosetto, ministro della Difesa che, nel manifestare solidarietà ai bersaglieri, senza affrontare nel merito le obiezioni sollevate, ha definito la posizione critica dei docenti come "un caso isolato di pregiudizio ideologico e di volontà di sopprimere il confronto democratico".

Non è certo la prima volta che il ministro interviene in difesa di iniziative simili: nel novembre 2023 aveva difeso la scelta della Regione Piemonte di finanziare, con i fondi per gli anziani, un progetto degli artiglieri con cui i militari sarebbero entrati nelle scuole per insegnare l'amor patrio.

Il Comitato per la valorizzazione della cultura della Difesa

Le pronte reazioni del ministro della Difesa sembrano inserirsi in una più complessa strategia comunicativa, che ha portato Guido Crosetto a istituire, all’inizio del 2023, il Comitato per la valorizzazione della cultura della Difesa. Lo scopo è illustrato a chiare lettere nel citato programma di comunicazione, in cui si spiega l’impegno del ministro, già presidente AIAD, nell’istituzione di un organo simile

con l'obiettivo di promuovere una visione innovativa e aperta della cultura della difesa, coinvolgendo la società civile, il mondo universitario, l'industria e l'ambiente dell'informazione.
In questo rinnovato contesto dovrà cambiare la percezione dello Strumento Militare nazionale: da "efficiente e apprezzato in tutto il mondo, ma costoso" a "efficace e apprezzato in tutto il mondo, utile alla tutela degli interessi nazionali quale strumento di politica estera nonché formidabile volano di crescita per il Paese".

Tra i membri del Comitato si trovano Giulio Anselmi, presidente ANSA, Fabio Tamburini, direttore de Il Sole 24 Ore, ma anche il presidente dell’Associazione Produttori Audiovisivi, Giancarlo Leone, oltre a editorialisti e opinion-maker come Gianni Riotta, Angelo Panebianco, Vittorio Emanuele Parsi, e soggetti dalla matrice politica molto connotata, come Pietrangelo Buttafuoco. Non mancano poi figure provenienti dal mondo accademico e da realtà politiche e industriali, tra cui spiccano Angelo Maria Petroni, dell’Aspen Institute, e Filippo Maria Grasso, di Leonardo.

La commistione di interessi e la compresenza di figure diverse, unite dallo scopo dichiarato del Comitato, appaiono funzionali non solo a diffondere un’immagine positiva delle Forze Armate, ma anche a consolidare un vero e proprio ecosistema comunicativo, in cui media, accademia e industria convergono nel rafforzare la narrazione strategica del ministero.

In questo solco, sembra porsi anche l’accordo di collaborazione istituzionale tra il ministero della Difesa e la Rai, siglato nell’estate del 2024.

"Nessuno ha il diritto di obbedire": educazione e addestramento non sono sinonimi

Che il ministero della Difesa scelga di centralizzare la comunicazione delle forze armate e che istituisca comitati di ricerca culturale rientra nelle sue prerogative. Non è questo il punto. La criticità emerge quando, con lo scopo di modificare la percezione pubblica del ruolo militare, si sfrutta l’autorevolezza di figure in apparenza neutrali: giornalisti, accademici, intellettuali, televisione pubblica.

E il problema diventa ancora più evidente quando questa logica entra nella scuola e nell’università. Il perché può essere espresso in maniera diretta: le forze armate non possono essere un esempio di educazione democratica.

I corpi militari esistono come extrema ratio, per quando tutto il resto fallisce, se il dialogo, la diplomazia, il diritto internazionale non bastano. Servono a difendere la società dalla violenza e dall’arbitrio, pur essendo esse stesse strumenti di violenza e arbitrio. Per questo si reggono sull’obbedienza, sulla capacità di eseguire ordini senza discuterli.

Ma ciò che è funzionale in ambito militare non può valere in democrazia. Le nostre istituzioni civili si fondano su altro: sulla responsabilità individuale, sulla fiducia nelle regole, sulla possibilità di discuterle e modificarle. Non sull’addestramento, ma sull’educazione. Non sull’obbedienza cieca, ma sulla libertà.

Hannah Arendt lo ricordava a proposito della banalità del male: persone comuni, apparentemente normali, potevano rendersi responsabili di crimini indicibili in nome della fedeltà alla patria e dell’esecuzione degli ordini, senza scrupoli di coscienza. Da qui il monito, che dovrebbe sorreggere ogni democrazia: «nessuno ha il diritto di obbedire».

Portare nella scuola logiche di addestramento significa allora confondere la cittadinanza con la disciplina, la comunità con la gerarchia, la responsabilità con l’obbedienza. In un tempo in cui la guerra è tornata (anche) in Europa e il diritto internazionale viene messo in discussione con una disinvoltura inquietante, difendere l’educazione dalla normalizzazione dello stile militare non è un capriccio né un’esagerazione: è la condizione stessa per preservare una società civile e democratica.

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Nata nel 1992 in provincia di Milano. Si è laureata in giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci e il diritto al lavoro, grazie alla quale ha vinto il premio Angiolino Acquisti Cultura della Pace e il premio Matteotti. Ora è assegnista di ricerca in diritto del lavoro. È autrice dei libri Potere forte. Attualità della nonviolenza (effequ, 2019) e Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (effequ, 2022).
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