Ora sappiamo chi è l’uomo che minacciò Don Mattia Ferrari e diffuse file riservati su Italia e Libia

È stato identificato il presunto autore delle minacce a Don Mattia Ferrari, cappellano della ong Mediterranea Saving Humans. Si tratta di Robert Bryant, dirigente di una società informatica e collegato a Frontex, l'Agenzia europea della guardia di frontiera. Sarebbe lui l'uomo dietro l'account X "@rgowans", che nel 2021 aveva minacciato il cappellano. Bryant è accusato di diffamazione aggravata e ora andrà a processo. La prima udienza è prevista il prossimo 5 novembre presso il tribunale di Modena.
Don Ferrari a Fanpage: "Io attaccato perché il mio lavoro con i migranti, ora l'Ue chiarisca"
"L’inizio del processo sugli attacchi nei miei confronti da parte dell’account @rgowans, considerato dai giornalisti il “portavoce della mafia libica”, é una buona notizia, non tanto per me ma per tutte le persone che soffrono a causa delle violenze che questo sistema di violenze comporta", dice a Fanpage.it Don Mattia Ferrari commentando i nuovi sviluppi. "Gli attacchi nei miei confronti sono infatti avvenuti a causa della mia amicizia e della mia fraternità con le persone migranti che si trovano in Libia. L’account in questione non ha solamente attaccato me e le altre persone che lottano per quei nostri fratelli e sorelle: ogni giorno pubblica materiale sull’operato delle milizie e della mafia libica e ha pubblicato documenti riservati di apparati italiani ed europei. I particolari emersi sull’identità della persona che gestisce quell’account sono inquietanti e chiedono chiarezza da parte dell’Europa", prosegue.
Il cappellano ci tiene a "ringraziare sentitamente il giornalista Nello Scavo, che per primo denunciò la gravità dell’attacco, e la mia avvocata Francesca Cancellaro, che in questi anni ha seguito con tenacia e perseveranza questa causa, superando tanti ostacoli". Ma anche gli attivisti J&L Project, che "hanno scoperto per primi l’identità dell’account, gli attivisti di Mediterranea, che hanno sempre sostenuto questa lotta, e di tante altre associazioni e movimenti. E ringrazio tutti coloro che, nel mondo della società civile, della Chiesa e delle istituzioni si sono adoperati per chiedere verità e giustizia. Quello di oggi é un primo risultato importante, che dimostra che quando si lavora insieme, in tanti, le cose possono cambiare e la speranza rinasce. Bisogna continuare a lavorare tutte e tutti insieme perché cessino i soprusi della mafia libica e perché le persone migranti siano finalmente riconosciute come nostri fratelli e sorelle", conclude.
Il caso
Facciamo un piccolo passo indietro. La storia risale al 2021, quando Don Mattia Ferrari è finito vittima di attacchi social da parte di un account X (allora Twitter) per il suo lavoro al fianco delle ong nel salvataggio dei migranti nelle acque del Mediterraneo. Il caso però si è rapidamente allargato quando si è appreso che l'account risultava in possesso di documenti riservati del governo e file relativi ai rapporti tra Italia e Libia nella gestione dei flussi migratori. La vicenda ha portato a un'indagine internazionale mirata a individuare l'identità del proprietario dell'account e a scoprire come sia riuscito ad accedere a banche dati riservate. Il profilo inoltre, vantava legami con le milizie libiche.
Chi è Robert Bryant, il presunto autore delle minacce a Don Ferrari
L'inchiesta ha portato al nome di Robert Bryant, dirigente di una società informatica, di origini polacche e con cittadinanza canadese ma residente in Germania. Da giovane l'uomo aveva prestato servizio per la guardia costiera canadese per poi approdare a Bruxelles come assistente di eurodeputato polacco. Oggi invece, risulta lavorare per un'azienda informatica che collabora con Frontex. In particolare, la società si occupa di fornire software all'agenzia europea e dunque avrebbe accesso ai suoi archivi. Così Bryant sarebbe venuto in possesso di informazioni riservate, alcune delle quali diffuse tramite l'account X autore delle minacce contro Don Ferrari.
Il suo nome era già circolato nel 2023 grazie al lavoro di JLProject, un gruppo di volontari che aveva tracciato il profilo, risalendo alla sua identità. A parlarne era stato anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio, rispondendo a un'interrogazione parlamentare, in cui aveva aggiunto alcuni dettagli sulle generalità di Bryant.
"Si tratta di un primo importante risultato ottenuto dopo una richiesta di avocazione, una richiesta di archiviazione, una imputazione coatta, la richiesta di emettere un ordine di indagine europeo e numerosi ulteriori passaggi procedurali", ha detto l'avvocata Francesca Cancellaro, che assiste il parroco. "Un percorso a ostacoli in cui abbiamo creduto in questi anni e che alla fine ci ha permesso di identificare il titolare dell'account. La vicenda va evidentemente oltre quella di don Mattia Ferrari, come testimonia l'interesse e l'allarme che l'account ‘@rgowans' suscita a livello nazionale e internazionale, anche per la sua capacità di diffondere contenuti ufficiali e riservati relativi ai rapporti tra Italia e Libia", ha aggiunto la legale.
L’identificazione di Robert Brytan, dirigente informatico collegato a Frontex, come autore delle minacce a don Mattia Ferrari "è un fatto gravissimo", ha commentato Sandro Ruotolo, eurodeputato del Pd. "Non parliamo di un semplice profilo anonimo, ma di una persona con accesso a banche dati riservate di un’agenzia europea. L’Europa deve fare piena luce. Il processo si aprirà il 5 novembre a Modena, e attendiamo che la magistratura italiana faccia il suo corso ma intanto la Commissione Europea deve chiarirci sulla responsabilità delle sue agenzie", ha aggiunto.
Ruotolo ha deciso di presentare un’interrogazione alla Commissione europea per chiedere chiarimenti immediati sui rapporti tra Frontex e i suoi fornitori informatici, e sulle misure adottate per proteggere i dati sensibili e prevenire abusi. "Non è solo una vicenda di minacce personali – ha sottolinea – ma un caso che riguarda la trasparenza e la sicurezza dell’Unione. La tutela dei diritti umani non può essere messa a rischio da chi lavora, direttamente o indirettamente, per le istituzioni europee. La sicurezza non può diventare un’arma contro chi salva vite in mare".