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Matteo Renzi, un leader accartocciato su se stesso alla disperata ricerca di consenso

Matteo Renzi e il Partito Democratico sono ormai da mesi allo sbando più totale, ma sicuramente con l’odierno “aiutiamoli a casa loro” hanno definitivamente iniziato a raschiare il fondo del barile. Matteo Renzi e il Pd non hanno saputo metabolizzare la disfatta referendaria dello scorso 4 dicembre e fingono non sia successo nulla, cercando di negare la realtà dei fatti e rincorrendo il consenso perduto imitando la demagogia pop di grillini e leghisti, finendo però per diventarne la malinconica caricatura.
A cura di Charlotte Matteini
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Matteo Renzi e il Partito Democratico sono ormai da mesi allo sbando più totale, ma sicuramente con l'odierno "aiutiamoli a casa loro" hanno definitivamente iniziato a raschiare il fondo del barile. Dalla disfatta elettorale al referendum costituzionale del 4 dicembre scorso, quando il fronte governativo del Sì perse inaspettatamente con circa 20 punti di distacco dal vittorioso fronte del No, il Partito Democratico e Matteo Renzi non sono più riusciti a imbroccare una strategia comunicativa giusta, né sui social network, che per anni ha rappresentato uno dei terreni più vincenti e meglio presidiati dalla comunicazione dem, né nella vita politica reale.

Accartocciato su se stesso e incapace di ritrovare la via maestra, dopo la débâcle referendaria il Partito Democratico ha inanellato una serie di scivoloni e figuracce mai viste prima. Cambi di strategia comunicativa repentini e assolutamente poco pensati, il Pd da mesi sembra voler rincorrere grillini e leghisti sullo scivoloso terreno della demagogia social, utilizzando un linguaggio e dei contenuti ben poco coerenti con il valori fondanti del Partito Democratico, i valori in cui si riconosce l'elettorato a cui il Pd dovrebbe puntare.

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Complici i sondaggi ben poco promettenti, che vedono un aumento del consenso per il Movimento 5 Stelle e un calo per il Pd, consenso drenato anche da Mdp, il partito fondato dagli scissionisti del PD pochi mesi fa, Matteo Renzi ha molto probabilmente pensato fosse saggio andare a pescare quel consenso perso sia nel grande calderone degli astensionisti che in quello dei del Movimento 5 Stelle stesso, che rappresenta un elettorato decisamente disomogeneo e accomunato soprattutto dall'odio verso la vecchia politica.

I molteplici scivoloni commessi dalla comunicazione ufficiale e ufficiosa del Pd sono accomunati tutti dallo stesso filo conduttore: ricopiare nei minimi dettagli l'approccio aggressivo di grillini e leghisti, arrivando a mettere in secondo piano i contenuti, e facendo sempre più ricorso a vuoti slogan. Questa deleteria strategia, che non si capisce per quale motivo sembra piacere così tanto al Pd visti i feedback ben poco lusinghieri, è oltretutto condita da una buona dose di sfacciataggine che porta Matteo Renzi e gli esponenti di punta del partito a negare gli errori anche di fronte a lampanti evidenze.

Renzi non solo non sa perdere, ma non sa nemmeno reagire alla crisi. Negata la disfatta elettorale alle ultime amministrative dello scorso giugno, Renzi sembra non aver affatto metabolizzato la sua prima grossa sconfitta, quella referendaria, e prosegue per la sua strada facendo finta che nulla sia successo, circondandosi di comunicatori ben poco illuminati e ben più disposti a non contraddire il capo.

Chi si occupa di comunicazione ben sa come funziona questo tipo di lavoro. Prima di lanciare una qualsiasi campagna di comunicazione, che sia politica o commerciale, si fanno ore e ore di riunioni, brainstorming, briefing e chi più ne ha più ne metta- Ogni dettaglio passa al vaglio del cliente, che ha il compito di approvare il progetto finale, che poi verrà diffuso. La strategia individua il target da colpire e partendo dal target viene strutturata nella maniera migliore. Si commissionano sondaggi, si cerca di capire cosa interessa di più al target, si sceglie il registro comunicativo, il tipo di messaggio e contenuti da veicolare e si pianifica ogni dettaglio. Può fallire, certo, e fallisce quando il cliente non sa quello che vuole, o ciò che è meglio per lui, oppure quando il comunicatore non sa far capire al cliente che raggiungere l'obiettivo anelato lo porterà al fallimento.

Quello che sta portando il Pd alla sua definitiva Caporetto è proprio questo: un cambio repentino di registro e di contenuti decisamente avverso e opposto ai valori da sempre rappresentati, un cambio frutto della disperata ricerca del massimo consenso perduto. Quello di cui non hanno tenuto conto il PD e Matteo Renzi è che una strategia del genere non solo non aiuta ad acquisire alcun consenso esterno, perché detta brutalmente il potenziale elettore si sente preso in giro dalla mancanza di coerenza, ma anzi contribuisce a distruggere la base elettorale del partito, che rimane sbigottita dal vedere i propri dirigenti abdicare ai valori fondanti per rincorrere un pugno di voti. Soprattutto, regola base della comunicazione politica e infranta dal PD, il potenziale elettore sarà sempre portato a votare l'originale e non la brutta copia. Imitando Salvini con "l'aiutiamoli a casa loro" si finisce per essere trollati dallo stesso Salvini, non si otterrà mai alcun altro tipo di risultato.

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Milanese, classe 1987, da sempre appassionata di politica. Il mio morboso interesse per la materia affonda le sue radici nel lontano 1993, in piena Tangentopoli, grazie a (o per colpa di) mio padre, che al posto di farmi vedere i cartoni animati, mi iniziò al magico mondo delle meraviglie costringendomi a seguire estenuanti maratone politiche. Dopo un'adolescenza turbolenta da pasionaria di sinistra, a 19 anni circa ho cominciato a mettere in discussione le mie idee e con il tempo sono diventata una liberale, liberista e libertaria convinta.
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