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L’Italia non era preparata per affrontare una pandemia: il documento che spiega il perché

Nel 2017 un documento conclusivo di un progetto finanziato da Expo 2015 spiegava che “a oggi manca nel panorama nazionale una visione condivisa in tema di ‘Preparazione alle emergenze di salute pubblica’”. Il testo è stato inserito tra le carte della causa contro governo, ministero della Salute e Regione Lombardia. “Costituisce un’ulteriore prova di violazioni e omissioni di legge” da parte delle istituzioni, spiega l’avvocata dei familiari delle vittime del Covid.
A cura di Tommaso Coluzzi
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L'Italia non era pronta ad affrontare la pandemia di Covid. O meglio, l'Italia non era pronta ad affrontare una pandemia in generale. A dare forza a questa visione dell'ultimo anno e mezzo, dopo il caso dei verbali della task force sul coronavirus pubblicati nei giorni scorsi, è un documento letto dall'Agi e firmato dalla Regione Lombardia nel 2017: "A oggi manca nel panorama nazionale una visione condivisa in tema di ‘Preparazione alle emergenze di salute pubblica'", si legge nel testo che sintetizzava le conclusioni di un progetto finanziato da Expo 2015 con l'obiettivo di costituire un esperimento sulla "gestione e comunicazione di emergenze infettive, zoonosi e infezioni alimentari attraverso l'esperienza" dell'Esposizione Universale.

Il documento, dimenticato per anni in un cassetto, è stato rispolverato dai legali dei 500 familiari delle vittime del Covid, che lo porteranno tra le altre carte al Tribunale civile di Roma il prossimo 8 luglio, nella causa contro governo, ministero della Salute e Lombardia. L'avvocata Consuelo Locati, che ha ottenuto il documento con un accesso agli atti, ha spiegato all'Agi che, dal suo punto di vista, "costituisce un'ulteriore prova di violazioni e omissioni di legge" da parte delle istituzioni. Nel testo Maria Gramegna, responsabile scientifica della Regione al momento dei fatti e firmataria del documento, scriveva che le lacune italiane erano dovute alle "difficoltà di dover integrare l'attività di lavoro di professionisti sanitari che si occupano di problematiche diverse (malattie infettive, sicurezza alimentare, salute animale e altre) a cui si somma la difficoltà nella costruzione delle aziende sanitarie di percorsi di lavoro che permettano a competenza sanitarie, competenze comunicative e di rapporti con la stampa e competenze dirigenziali di definire preventivamente metodi di lavoro utili alla gestione delle emergenze e anche per quanto riguarda la comunicazione con professionisti e popolazione".

Il progetto era legato all'Expo del 2015, tenutosi a Milano, e riguardava quattro Regioni italiane – Lombardia, Piemonte, Marche e Calabria – e coinvolgeva anche l'Istituto superiore di sanità. Lo studio è durato due anni ed è costato 383mila euro. Gli obiettivi a cui si mirava erano "l'implementazione di unSistema di allerta rapida a livello locale, con sorveglianza sindromica basata sugli accessi al pronto soccorso", poi "la stesura di procedure per la gestione di focolaidi microorganismi trasmessi attraverso il contatto umano e alimenti", e ancora "lo sviluppo di strategie nella comunicazione del rischio e il potenziamento della funzione di Epidemic Intelligence con predisposizione di un pacchetto formativo con esercitazioni pratiche per gli operatori regionali". A quattro anni di distanza Locati, l'avvocata dei familiari delle vittime, sottolinea come "alla luce del disastro pandemico regionale parrebbe che nessuno degli obiettivi previsti dal progetto sia stato mai nemmeno attuato".

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