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Opinioni

La destra contro la carriera Alias: un grave attacco ai diritti delle persone transgender

La carriera Alias, così come tutto ciò che riguarda la transizione in età adolescenziale, da qualche tempo è bersaglio di una grande campagna diffamatoria. E potrebbe essere solo il primo passo per una stretta sui pochi diritti delle persone transgender nel nostro Paese.
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A cura di Jennifer Guerra
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Gli sforzi della destra e delle associazioni anti-gender si stanno concentrando su un nuovo bersaglio: la carriera Alias nelle scuole. Si tratta di uno strumento, sperimentato per la prima volta in Italia nel 2003 con il “doppio libretto” all’Università di Torino, che consente agli studenti transgender di avere in scuole e atenei documenti con il nome aggiornato anche se non si è ancora conclusa la rettifica anagrafica dei documenti ufficiali. In altre parole, il libretto, il registro e tutti i documenti scolastici interni riportano il nome d’elezione, in modo da evitare coming out forzati di fronte a docenti e compagni di classe, con la scuola che si impegna a mantenere la riservatezza dei documenti originali. Anche se più di centocinquanta scuole e oltre sessanta università hanno adottato la carriera Alias, al momento non esistono linee guida da parte del ministero, ma gli accordi esistenti sono frutto della collaborazione di studenti, famiglie, istituti e associazioni LGBTQ+.

La carriera Alias è quindi uno strumento temporaneo che tutela la privacy e la sicurezza di studenti che hanno intrapreso un percorso di transizione, favorendo un ambiente positivo e incoraggiante, riducendo il rischio di depressione e ideazione suicidaria. Tuttavia la carriera Alias, così come tutto ciò che riguarda la transizione in età adolescenziale, da qualche tempo è bersaglio di una grande campagna diffamatoria, culminata con un’azione legale dell’associazione antiabortista e anti-gender ProVita e Famiglia nei confronti di 156 scuole che l’hanno attivata, chiedendo l’intervento del ministero. Secondo l’associazione, questi istituti violerebbero l’articolo 479 del codice penale in materia di “Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici”, anche se il cambio del nome non riguarda i documenti scolastici ufficiali, ma soltanto la loro copia per uso interno, il loro alias, per l’appunto.

Secondo l’associazione per la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza trans e per le loro famiglie, Genderlens, le diffide inviate da ProVita sono infondate sia dal punto di vista legale che da quello scientifico. Le scuole coinvolte, infatti, non fanno alcuna modifica anagrafica legale, dato che il registro elettronico e i documenti interni alla scuola non hanno rilevanza giuridica. Inoltre, ProVita sostiene di aver già fatto cambiare idea a diversi presidi, mentre secondo Genderlens “nessuna delle numerose famiglie associate ha ricevuto alcuna comunicazione di avvio di un procedimento di revoca dell’accordo fra scuola e famiglia”.

In Italia, anche i minorenni possono procedere alla rettifica dei documenti, regolata dalla legge 164/82, una norma che molti attivisti ritengono vada aggiornata. Nel 2015, una storica sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che non è più necessario sottoporsi a degli interventi chirurgici per cambiare i documenti, decisione confermata anche da sentenze successive. Due pronunce garantiscono questa possibilità anche ai minorenni: una del tribunale di Genova del 2019 e una del 2021 del tribunale di Lucca. Tuttavia questo iter burocratico è spesso molto lungo e, per quanto riguarda i minori, molti scelgono la strada della “transizione sociale”: ci si presenta al mondo con il genere d’elezione e con un nuovo nome, senza che vi siano implicazioni mediche. È comunque possibile intervenire anche da questo punto di vista, ad esempio bloccando la pubertà con appositi farmaci che ritardano lo sviluppo dei caratteri sessuali. Sebbene siano sicuri e reversibili, i bloccanti della pubertà sono però al centro di polemiche, boicottaggi e cause di tribunale, spesso con il sostegno di associazioni anti-LGBTQ+.

Il tema dei minori transgender o con varianza di genere è infatti oggetto di grande allarmismo e panico morale, anche in Italia. Nel 2018 Panorama pubblicò un lungo servizio sulla “baby trans generation”, con fotografie che ritraevano bambini pesantemente truccati e alludendo a una sorta di boom di minori che “cambiano sesso”. Lo scorso anno, nel pieno del dibattito sul ddl Zan, D La Repubblica diede invece spazio a una serie di articoli raccolti nel dossier Viaggio ai confini del gender, dove si parlava di una vera e propria “epidemia” di transizioni. Le informazioni contenute in questi articoli, così come il dibattito sulla carriera Alias – che secondo il portavoce di ProVita Jacopo Coghe “può portare ad assumere farmaci ormonali per il blocco dello sviluppo sessuale o addirittura operazioni chirurgiche anche irreversibili” – sono sproporzionate non solo rispetto all’ampiezza del fenomeno, ma anche rispetto a ciò che davvero succede ai minori transgender. Pensare che operazioni chirurgiche e trattamenti medici siano la norma o vengano fatti a cuor leggero non rispecchia la realtà, anche se certamente solletica un certo immaginario che lega l’esperienza transgender alla malattia e alla devianza, tanto caro alla destra conservatrice.

Ma al di là di tutte le speculazioni possibili, la carriera Alias è in primo luogo uno strumento burocratico, che non prevede alcuna conseguenza sulla salute se non l’aumento del benessere psicologico di chi la adotta. L’impressione è che ProVita e le altre associazioni anti-gender stiano cercando di replicare anche in Italia il dibattito che da qualche anno tiene banco negli Stati Uniti a proposito di minori transgender, e che si inserisce in un più ampio disegno per compromettere i diritti delle donne e della comunità LGBTQ+. L’unica differenza è che in Italia, viste le poche tutele riservate alle persone trans, i conservatori si devono accontentare di attaccare la piccola vittoria della carriera Alias, promossa da associazioni e famiglie e difesa anche da tanti studenti.

Sicuramente, dopo la petizione e la diffida, ne sentiremo parlare molto nei prossimi mesi: le associazioni anti-gender CitizenGo e Non si tocca la famiglia sono state ricevute dalla sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti e il ministro Giuseppe Validatara ha affermato che “quello della carriera alias è un tema molto delicato, ci stiamo riflettendo”. La ministra per la Famiglia Eugenia Roccella ha invece scritto un post su Facebook in cui parla di detransitioner (persone che decidono di sospendere o invertire la transizione), augurandosi che si “lascino in pace i minori”. La carriera Alias potrebbe essere solo il primo passo per una stretta sui pochi diritti delle persone transgender nel nostro Paese.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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