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Opinioni

Il problema della storia della professoressa che non si è mai assentata è la narrazione tossica del lavoro

Il caso della professoressa che non si è mai assentata un giorno in 36 anni ha fatto discutere per via della narrazione con cui è stato proposto: bisogna rifiutare lo stacanovismo tossico portato avanti da chi sfrutta la passione per profitto, senza però finire per svilire l’etica del lavoro.
A cura di Tommaso Coluzzi
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Stai con la professoressa assenteista che non si è fatta vedere in aula per vent'anni o con l'insegnante dei record che non ha mai preso un giorno di malattia? La narrazione delle ultime settimane sui docenti – e per estensione sul mondo del lavoro – si è piegata a questa polarizzazione, con la certezza dell'eccesso nelle opinioni e della sconfitta del ragionamento, che ci fa piombare nella dicotomia tra buono e cattivo e rende più semplice schierarsi. Perciò è necessario uscire dalla narrazione di uno stacanovismo tossico senza svilire l'etica del lavoro.

Per giorni i media e i giornali hanno cercato l'eroe, il modello positivo da contrapporre alla professoressa assenteista. Si sono moltiplicate le interviste ai docenti che hanno fatto del lavoro la loro vita, collezionando record su record fino ad arrivare a lei: la professoressa Nicoletta Minelli, 36 anni di carriera e praticamente zero giorni di assenza (con qualche eccezione, tipo la maternità). Zero ferie, zero permessi, zero malattia. O così, almeno, è stata raccontata.

Questo è il primo problema: la narrazione. Lo stesso emerso con gli studenti dei record che si laureano in giurisprudenza in due anni. Non siamo il nostro lavoro, ma non siamo neanche avulsi da ciò che facciamo. Perciò il problema non è tanto la professoressa che non fa assenze e va a lavorare anche il giorno libero, ma come la si racconta. E soprattutto il sottinteso secondo cui lei è l'esempio da seguire in maniera assoluta e indeclinabile. Per un operaio, ad esempio, questo ragionamento non reggerebbe.

È perciò un problema di narrazione, che esalta una cultura del lavoro tossica in cui le ferie sono un optional e la malattia l'extrema ratio a cui non ricorrere se non in fin di vita, ma anche di tipologia di impiego. La storia della professoressa ci viene incontro e riassume le due questioni in un fatto: non è vero che non ha mai preso delle ferie. I docenti hanno buona parte dell'estate libera, oltre ai periodi di vacanze a Natale, Pasqua e ponti vari. Non lavorano 365 giorni l'anno. Insomma, dipende da che lavoro fai e da come lo racconti.

Allo stesso tempo, se è vero che non si può cedere a questa narrazione e per certi versi abbiamo smesso di farlo – sempre più fenomeni lo dimostrano in maniera puntuale – non si deve però cadere nell'errore di svilire l'etica del lavoro. Nell'intervista rimbalzata ovunque, la professoressa parla di valori, di un ruolo, quello dell'insegnamento, che è diverso dagli altri, di senso del dovere e di impegno da instillare negli studenti.

Allo stacanovismo tossico professato da un certo tipo di mondo imprenditoriale, non bisogna contrapporre la riduzione del lavoro ad appendice della nostra vita, né giudicare negativamente chiunque metta impegno in ciò che fa. Piuttosto è necessario riconoscere il merito a chi crede nel valore del lavoro, del proprio lavoro, senza lasciarsi accecare da chi sfrutta per il proprio tornaconto economico la passione e l'entusiasmo. Sono loro i veri nemici del lavoro e della società.

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Giornalista, mi occupo di politica su Fanpage.it. Appassionato di temi noiosi, come le storie e i diritti degli ultimi: dai migranti ai giovani lavoratori sfruttati. Ho scritto "Il sound della frontiera", un libro sull'immaginario americano e la musica folk.
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