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Opinioni

Il grande complotto internazionale dei poteri forti contro la flat tax di Matteo Salvini

Tra emendamenti e botta e risposta sui giornali, siamo alla confusione globale sulla flat tax, l’unica bandiera di Matteo Salvini (oltre al Ponte sullo Stretto). Che infatti continua a voler andare avanti, malgrado bocciature a raffica. I leghisti gridano al complotto dei poteri forti, ma l’unico nemico della flat tax è la realtà dei fatti.
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La flat tax funziona ovunque sia applicata e resta il punto di approdo imprescindibile per il governo Meloni, come garantito agli italiani nella campagna elettorale delle Politiche. Passa il tempo, si susseguono le bocciature, cambia la congiuntura economica, ma la posizione di Matteo Salvini resta sempre la stessa. Ovvero, nelle intenzioni si tratta di arrivare alla fine della legislatura con “la flat tax, la tassa semplice e piatta al 15%, per lavoratori autonomi e dipendenti come avevamo promesso”; nella pratica di mettere in campo un modello in fasi successive, che ricalca solo marginalmente la proposta originaria Salvini-Siri-Romeo, come statuito nella delega fiscale approvata dal governo di cui la Lega fa parte. Come assicura il viceministro Leo, il prossimo anno dovrebbe partire “il primo step, con la riduzione delle aliquote Irpef e la conferma del taglio del cuneo fiscale”. Certo, “risorse permettendo”, ma la strada sembra tracciata. Nella battaglia degli emendamenti sulla delega fiscale, ad esempio, i leghisti tengono il punto sull'estensione della flat tax a società di persone e studi associati per under 35.

La tassa piatta è una delle ultime bandiere di una Lega che, sul piano ideologico/culturale, sta pagando un prezzo altissimo per l'alleanza con Fratelli d'Italia. La flat tax come linea del Piave, dal momento in cui Giorgia Meloni sembra essersi presa tutto o quasi: le politiche sulla sicurezza, la gestione dell'immigrazione, la riforma del lavoro, il rapporto con le cancellerie internazionali, le nomine delle partecipate e probabilmente anche la leadership a livello europeo del fronte conservatore-sovranista. Il problema è che, eccettuati i pasdaran salviniani, sembrano essere davvero in pochi a credere davvero che ci sia una qualche possibilità di arrivare alla tassa piatta. E sono ancor meno quelli che la considerano fattibile.

Il complotto dei poteri forti contro la flat tax

Nella sua memoria sulla riforma fiscale del governo Meloni, l’Ufficio parlamentare di bilancio analizza gli effetti degli interventi volti “a giungere, in prospettiva, a un sistema progressivo ad aliquota unica”. Ebbene, essenzialmente l’Upb stronca “la fase di transizione” verso la flat tax incrementale. La previsione dell’estensione ai lavoratori dipendenti della flat tax incrementale, infatti, “come rilevato in occasione della sua introduzione per il solo 2023 per i lavoratori autonomi, riduce l’equità orizzontale in quanto due contribuenti che nello stesso anno conseguono il medesimo reddito, l’uno incrementando il reddito dell’anno precedente e l’altro mantenendo un livello di reddito invariato, sono sottoposti a una diversa tassazione, senza che questo sia giustificato da una diversa capacità contributiva”. Allo stesso modo viene alterato il profilo della progressività dell’imposta, perché anche in presenza di due persone che hanno visto il proprio reddito aumentare dello stesso importo, a conseguire il beneficio maggiore sarebbe il contribuente con il reddito più elevato. Gli effetti redistribuivi di un modello di questo tipo, in effetti, “penalizzano i soggetti con redditi medi e favoriscono quelli con redditi più elevati”.

Oltre a essere iniqua, però, la flat tax incrementale sarebbe anche poco efficiente, “visto che l’aliquota agevolata non è applicata solo a somme la cui percezione risulti effettivamente legata a incrementi di produttività, qualità e innovazione”. E, infine, un’introduzione della flat tax incrementale come prevista dall’articolo 5 della delega potrebbe incidere sulle risorse degli enti territoriali “qualora il prelievo agevolato sull’incremento di reddito sostituisse non solo l’Irpef erariale ma anche le addizionali regionali e comunali”, come avvenuto per i titolari di reddito d’impresa e i lavoratori autonomi.

A esprimere dubbi non sono solo i tecnici italiani, ma anche gli esperti del Fondo monetario internazionale che chiedono al governo italiano interventi per “incoraggiare l’occupazione, abolire le spese fiscali inutili, rafforzare la riscossione delle entrate e tutelare la progressività”. Non esattamente l'orizzonte della flat tax.

Una carezza, almeno al confronto di quanto espresso da Bankitalia, per il tramite del Capo del Servizio assistenza e consulenza fiscale Giacomo Ricotti. In una audizione in Commissione Finanze della Camera dei deputati, l’alto dirigente di Bankitalia dice di considerare poco realistico il “modello prefigurato dalla delega fiscale come punto di arrivo – un sistema ad aliquota unica insieme a una riduzione del carico fiscale”, soprattutto se consideriamo che il nostro Paese presenta “un ampio sistema di welfare” e al contempo ha stringenti vincoli di finanza pubblica. Sostenibilità, ma anche equità: sono ancora una volta questi i problemi anche del percorso di transizione, come spiega sempre Ricotti: “Stante comunque la necessità di valutare attentamente gli effetti redistributivi della flat tax, l’estensione dei regimi sostitutivi potrebbe ridurre l’equità del sistema”.

Critiche cui la maggioranza aveva risposto tanto di pancia ("Bankitalia non conosce il fisco reale ed è molto vicina alla posizione della sinistra", secondo il leghista Bitonci), quanto di testa, rimandando a un'eventuale revisione del modello di welfare che di fatto cancellerebbe l'obiezione principale degli oppositori alla riforma. Creando probabilmente una situazione più grave, perché sono in molti a considerare non realistica la tesi che la flat tax possa autofinanziarsi con l'aumento del gettito (qui un'analisi dell'Osservatorio Conti Pubblici sulla questione).

Il problema, infatti, è capire se esista o meno la possibilità di avere a regime la flat tax in un Paese come il nostro, con spesa pubblica così elevata. Una spesa che può essere ridotta, eliminando sprechi e ridefinendo ruoli e funzioni dello Stato, ma non in modo sufficiente a sostenere la tassa piatta. A meno di non smontare il modello di welfare italiano, non dissimile da quello di democrazie ed economie mature.

In questo approfondimento pubblicato da La Voce, si notava come “l’incidenza della spesa pubblica è infatti mediamente del 35 per cento nei paesi europei con flat tax, di quasi 12 punti percentuali inferiore alla media di quelli dell’Europa occidentale con imposta progressiva sul reddito. Anche la spesa sociale – che comprende pensioni, sanità e assistenza – è decisamente più alta nell’Europa dell’Ovest”. La flat tax, ancor più se piuttosto bassa come quella immaginata dalla Lega, non riuscirebbe in alcun modo a finanziare livelli di spesa così elevati, che, al netto di sprechi e disfunzioni, coprono i bisogni dei cittadini e tengono in piedi la struttura sociale del Paese.

Non è un caso che la flat tax non sia presente in alcuna economia avanzata dell’Occidente, ma solo in nazioni o in via di sviluppo o che adottano normative simili a quelle dei paradisi fiscali. Rimanendo al caso delle nazioni europee che adottano la flat tax, Baldini e Rizzo spiegano: “In futuro, tuttavia, almeno due dei tre fattori indicati potrebbero spingere verso una crescita della spesa sociale, mettendo in crisi il sistema con flat tax ad aliquota bassa: se il Pil convergerà verso i livelli dell’Europa dell’Ovest e se l’invecchiamento della popolazione continuerà, i cittadini chiederanno un aumento della spesa sociale, soprattutto per pensioni e sanità”.

Insomma, la direzione sembra esattamente opposta a quella intrapresa dal governo italiano: molti Paesi con la flat tax stanno passando a schemi diversi, con due o tre aliquote, per ragioni di equità e sostenibilità del loro sistema di spesa. Certo, restano ancora modelli come la Russia, la Bielorussia, l’Ungheria…

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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