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Opinioni

Come il governo Meloni sta tentando di modificare la legge sull’esportazione delle armi

Il disegno di legge, di iniziativa governativa, semplifica le procedure e assegna a un organismo politico, il CISD, la scelta sui divieti da applicare. La Rete Pace e Disarmo manifesta preoccupazione: “si rischia di mettere gli affari armati prima dei diritti”.
A cura di Roberta Covelli
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Il resoconto della seduta Commissione permanente Affari esteri e Difesa di ieri, 4 ottobre 2023, in Senato, riporta le parole del viceministro Cirielli, secondo cui l'attuale scenario internazionale "impone l'approvazione del provvedimento in tempi rapidi e certi". Il provvedimento in questione è la modifica della legge 185 del 1990, sul controllo di esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento. E l’idea del governo Meloni, in linea con la posizione dell’industria militare, è di semplificare le procedure per l’export di armi.

Il disegno di legge, di iniziativa governativa, coinvolge diversi ministri: dalla guida del Viminale Piantedosi al ministro degli esteri Tajani, dal guardasigilli Nordio al ministro dell’economia Giorgetti, fino a Urso, ministro delle imprese e del made in Italy, e a Crosetto, ministro della difesa nonché ex presidente dell’Aiad, il ramo di Confindustria che riunisce le aziende del comparto difesa, aerospazio e sicurezza.

Che cosa ha previsto finora la legge: divieti, controlli, procedure

Ma che cosa prevede, nel dettaglio, la proposta di modifica? Per capirlo, è necessario sapere che la legge 185 del 1990, riconoscendo la priorità dei diritti umani sul business, pone diversi limiti a trattative, vendite ed esportazioni di armamenti. Ci sono quindi divieti di fare affari che risultino contro gli impegni internazionali dell’Italia ed è vietato anche vendere armi a paesi in conflitto o a Stati i cui governi siano responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, accertate dagli organismi internazionali competenti. A questi divieti generali si aggiungono procedure e controlli per le aziende che commerciano in armi, con obblighi di comunicazione delle operazioni effettuate, presentazione dei documenti sulle consegne e notifica dei flussi di cassa.

La legge 185 istituisce poi un comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa, il CISD, che ha compiti di indirizzo della politica di commercio militare e che è anche deputato a ricevere informazioni dalle organizzazioni internazionali, anche non governative, sulle violazioni dei diritti umani, individuando poi, in concreto, quali siano i paesi verso i quali proibire le esportazioni. Il comitato ha insomma funzioni di indirizzo, attuazione e vigilanza sui divieti che già pone la legge. Ed è proprio su questo punto che verte la modifica proposta dai ministri del governo Meloni.

La proposta: applicare divieti solo se lo decide il comitato politico

Il nuovo CISD previsto dalla riforma dell’esecutivo non si limita invece alla garanzia dei divieti posti dalla legge, ma decide di caso in caso se applicarli. Secondo la nuova formulazione, infatti, i divieti generali previsti dall’articolo 1 della L. 185/1990, salvo per i casi di embargo dell’Unione europea e per il divieto assoluto di mercato su mine antiuomo, bombe a grappolo e armi biologiche o nucleari, saranno applicati con deliberazione del CISD (o con silenzio assenso qualificato in caso di mancata deliberazione dopo quindici giorni dalla proposta): se quindi prima, almeno sulla carta, era vietato fare affari con paesi in conflitto o commerciare in armi con dittature che violano i diritti umani, con la riforma il divieto varrà solo se deciso dal comitato, i cui membri sono ministri espressi dal governo in carica.

Viene meno anche il dovere del CISD di ricevere informazioni sulle violazioni dei diritti umani da parte di organismi internazionali e Ong, e viene stralciata anche la norma che prevede che il comitato individui i paesi oggetto del divieto di esportazione e trattativa.

A questo si aggiungono ulteriori semplificazioni delle procedure: sono raddoppiati i termini entro i quali le aziende che commerciano in armi devono presentare al ministero degli affari esteri i documenti di verifica richiesti e ricade sulle banche il dovere di notifica dei flussi finanziari relativi al mercato di armamenti.

Le preoccupazioni della società civile nonviolenta

La Rete Pace e Disarmo ha espresso la propria preoccupazione sulle modifiche proposte. Come già in passato, infatti, il mercato delle armi viene considerato un settore strategico per il rilancio dell’economia nazionale, al punto che già il governo Draghi aveva modificato il Recovery Plan per proporre anche al settore militare l’accesso ai fondi del NextGenerationEU.

La legge italiana, però, almeno sulla carta, continua a porre la priorità sui diritti umani, imponendo divieti di commercio con intermediari colpevoli di gravi violazioni. Questo almeno in teoria. In pratica, è spesso stato necessario che la società civile si attivasse per denunciare (talvolta riuscendo anche a fermare) le violazioni dei divieti di esportazione, come nel caso delle armi italiane vendute all’Arabia e agli Emirati Arabi Uniti, utilizzate contro la popolazione civile in Yemen (divieto che pochi mesi fa il governo Meloni ha cancellato).

Tuttavia, spiega il comunicato della Rete Pace e Disarmo, la legge 185/1990 ha almeno il pregio di evidenziare l’impatto del mercato delle armi sui diritti umani e sulla politica estera, ponendo divieti generali, come fa anche il più recente Trattato ATT (Arms Trade Treaty), ratificato nel 2013 ma nemmeno citato nel testo ora in discussione. La riforma presentata in Senato dai ministri del governo preoccupa allora perché "lo spostamento di competenze decisionali riguardanti i criteri e i divieti relativi all’export di armi in ambito pienamente politico", attraverso il nuovo CISD, può depotenziare "le salvaguardie che la legge prevede nei confronti degli impatti delle armi delle popolazione civili coinvolte in conflitti o in situazioni di violazione dei diritti".

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Nata nel 1992 in provincia di Milano. Si è laureata in giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci e il diritto al lavoro, grazie alla quale ha vinto il premio Angiolino Acquisti Cultura della Pace e il premio Matteotti. Ora è assegnista di ricerca in diritto del lavoro. È autrice dei libri Potere forte. Attualità della nonviolenza (effequ, 2019) e Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (effequ, 2022).
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