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Elezioni politiche 2018

Il centrosinistra è morto, ucciso dalla bulimia di potere di Matteo Renzi

Il Partito Democratico è definitivamente crollato, Matteo Renzi ha letteralmente bruciato quel 40% di consensi elettorali sbandierato nel corso degli ultimi anni e spinto il Pd nel baratro. Solo poche settimane fa, il segretario nazionale ha dichiarato di non essere intenzionato a dimettersi dalla carica anche in caso di prevedibile disfatta. A qualche ora dalla chiusura delle urne, però, Renzi ha dovuto ammettere la sconfitta e rassegnare le dimissioni da segretario. Il centrosinistra, intanto, praticamente non esiste più, annullato dal deleterio personalismo di Renzi.
A cura di Charlotte Matteini
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Com'era prevedibile, il Partito Democratico guidato da Matteo Renzi ha subito un vero e proprio tracollo, trascinando con sé tutto il centrosinistra. Fino a pochi giorni fa, quando ancora non era entrato in vigore il silenzio elettorale, il segretario nazionale andava dicendo di essere convinto che il Partito Democratico avrebbe guadagnato consensi e il centrosinistra sarebbe stato il primo gruppo parlamentare sia alla Camera che al Senato. Le prime proiezioni diffuse dai vari istituti demoscopici nella serata del 4 marzo hanno ridimensionato non poco le aspettative dell'ex presidente del Consiglio: al Senato il Pd ha raggiunto solo il 18% dei consensi circa, un dato sensibilmente più basso di quello che portò l'ex segretario Pier Luigi Bersani a rassegnare le dimissioni nel 2013. Una vera e propria Caporetto potrebbe definirsi l'impresa del Partito Democratico a questa tornata elettorale. Nella nottata del 4 marzo 2018 possiamo finalmente dire a voce alta, senza timor di smentita, che chi segnalava un palpabile tracollo del Pd a trazione renziana non era un mero "gufo e rosicone" ma semplicemente stava evidenziando una pericolosissima deriva, un crollo di consensi che lo stesso Matteo Renzi e i suoi sodali avrebbero potuto vedere non fossero stati accecati da una vera e propria bulimia di potere.

Dalla tremenda sconfitta referendaria del 4 dicembre 2016, Matteo Renzi non si è mai più ripreso e ha totalizzato una serie impressionanti di errori e scivoloni politici. Se gli ultimi due anni di segretariato del Partito Democratico potessero essere riassunti in un titolo, il titolo perfetto potrebbe essere: "Matteo Renzi, 1001 modi per uccidere il centrosinistra". Dal 4 dicembre 2016, Matteo Renzi ha perso la trebisonda, ha iniziato a respingere sconfitte e problemi, ha neutralizzato la minoranza dem del Partito Democratico convinto di poter avanzare nei sondaggi con un Pd a sola trazione renziana, ha protetto l'intoccabile Maria Elena Boschi contro tutto e contro tutti negando l'evidenza, ha preferito attaccare i giornalisti che cercavano di dare notizie e analizzare la reale situazione politico-elettorale che non cospargersi il capo di cenere e ammettere di aver fatto qualche sbaglio.

Dal 4 dicembre 2016, Matteo Renzi sembra aver lavorato solo e unicamente a un unico obiettivo: distruggere il Partito Democratico e il centrosinistra, come una sorta di moderno Nerone ha fatto intorno a sé terra bruciata. In un vero e proprio inarrestabile delirio di onnipotenza, Matteo Renzi ha trascinato nel baratro non solo il centrosinistra e il Partito Democratico, ma soprattutto se stesso. In un Paese normale, una débâcle del genere porterebbe il leader del partito non solo a rassegnare immediatamente le dimissioni ma anche a sparire dalla scena politica. Ma siamo in Italia, il Paese dove tutto può succedere, e molto probabilmente Matteo Renzi proverà, nonostante le dimissioni da segretario e il lancio di un nuovo congresso dem, a rimanere in sella contro tutto e contro tutti, aggrappandosi ai vecchi e stantii risultati dei 1000 giorni di governo, provando a dare la colpa dell'atroce sconfitta a tutto e a tutti, i sempreverdi "italiani che non hanno capito" fuorché al reale responsabile del disastro: se stesso, Matteo Renzi, colui che anche di fronte a una disfatta epocale rassegna sì le inevitabili dimissioni, ma non si azzarda a fare nemmeno un accenno di autocritica.

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Milanese, classe 1987, da sempre appassionata di politica. Il mio morboso interesse per la materia affonda le sue radici nel lontano 1993, in piena Tangentopoli, grazie a (o per colpa di) mio padre, che al posto di farmi vedere i cartoni animati, mi iniziò al magico mondo delle meraviglie costringendomi a seguire estenuanti maratone politiche. Dopo un'adolescenza turbolenta da pasionaria di sinistra, a 19 anni circa ho cominciato a mettere in discussione le mie idee e con il tempo sono diventata una liberale, liberista e libertaria convinta.
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