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Opinioni

Il campo largo è ancora vivo, la destra è ancora forte: cosa dicono le elezioni regionali in Abruzzo

La vittoria di Marsilio e della destra in Abruzzo certifica che le alleanze larghe delle opposizioni siano l’unico modo per riaprire la partita elettorale. Ma anche che tutto questo può non bastare di fronte allo strapotere della destra.
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Contendibilità non vuole dire vittoria assicurata. Chi sperava che la Sardegna fosse la prima di una serie di vittorie di una nascitura alleanza delle opposizioni contro il governo Meloni deve riporre la bandiera nel cassetto. Ma chi sosteneva, invece, che quest’alleanza sarebbe stata l’unica possibilità per evitare un giro infinito di passerelle trionfali di Fratelli d’Italia lungo tutta la penisola, può cogliere il lato positivo delle elezioni regionali abruzzesi. In cui il governatore Marco Marsilio ha dovuto convocare tra l’Aquila e Pescara i big al gran completo, da Meloni a Salvini, per conquistarsi la riconferma alla presidenza della Regione Abruzzo. E in cui, anche solo la sensazione di potersela giocare, ha ringalluzzito l’elettorato di centrosinistra, mobilitandolo come non accadeva da tempo. Se questo è l’effetto che fa il campo largo, o larghissimo, ce lo terremmo stretto, fossimo in Elly Schlein o Giuseppe Conte. E non ne sottovaluteremmo la pericolosità, fossimo in Giorgia Meloni. 

Detto questo, l’onda lunga dopo la Sardegna era improbabile e infatti non è arrivata, per mille motivi. Perché la destra presentava, a questo giro, un candidato forte come Marsilio, governatore uscente con una discreta popolarità tra i suoi elettori. Perché non c’era il voto disgiunto come in Sardegna. Perché stavolta non c’è stato un episodio come le manganellate agli studenti di Pisa di due settimane fa a mobilitare l’elettorato d’opinione. Perché l’effetto referendum sul governo Meloni che ha cominciato a volteggiare su Palazzo Chigi dopo l’inatteso exploit di Alessandra Todde ha comunque decretato che la luna di miele tra Giorgia e il Paese non è ancora finita.

Soprattutto, perché siamo ancora nel pieno – forse addirittura ancora all’inizio – di un ciclo politico di destra, nel mondo delle democrazie Occidentali. Un ciclo in cui le questioni dell’immigrazione, della difesa dei valori tradizionali, della paura verso le minacce esterne e del bisogno di conservare parte di quel benessere che si sta erodendo di anno in anno da almeno vent’anni sono ancora quelle che muovono la matita sulla scheda elettorale. Il contemporaneo e clamoroso boom della destra di Chega alle elezioni portoghesi di ieri – passato dall’1,3% al 18% nel giro di cinque anni e dal 7% al 18% nel giro di dodici mesi – è quasi il marchio di fabbrica di questo spirito del tempo.

Siamo solo all’inizio, dicevamo, perché le elezioni europee del prossimo giugno certificheranno una volta di più da che parte tira il vento. E perché, nel giro di qualche mese, il più che possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca potrebbe mettere il sigillo finale allo strapotere conservatore di questi anni. Per chi a questo strapotere si oppone, stare uniti è la precondizione per provare ad arginarlo. Assumere la consapevolezza che sovente potrebbe non bastare, è la precondizione per evitare cocenti delusioni. Vale per l’Abruzzo, vale per Bruxelles, vale per Washington. La partita è aperta, ma il piano non è mai stato così inclinato.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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