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Opinioni

Il ballottaggio delle Comunali non è un test, la partita Meloni – Schlein non è ancora cominciata

A che punto è la costruzione del dualismo Meloni – Schlein e cosa possiamo aspettarci dal secondo turno delle elezioni amministrative.
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Le Elezioni amministrative 2023 non erano e non potevano essere un test sul governo di Giorgia Meloni. Qualunque analisi seria del voto del 14 e 15 maggio dovrebbe partire da questo assunto, che tiene conto sia della diversità sostanziale delle elezioni locali rispetto a Politiche, Regionali ed Europee, sia della specificità di queste Comunali. Fattori locali e situazioni contingenti hanno avuto ovunque un peso determinante, ed è naturale pensare che anche nel turno di ballottaggio la dinamica resterà la stessa. Con qualche eccezione, nei centri di maggiore interesse è andata secondo le attese, con tante sfide ancora aperte. Ed è questo, a ben vedere, il dato politico che emerge dalla consultazione: non c’è alcun trend consolidato, non ci sono “effetti” particolari da segnalare, non ci sono messaggi degli italiani alla politica.

Questo non significa che non ci siano ragionamenti da fare o segnali da interpretare. Partiamo dalla questione più pop, quella della polarizzazione dello scontro fra Giorgia Meloni ed Elly Schlein. È il dualismo che stiamo aspettando da anni, due politiche di livello, una molto più esperta, l’altra che incarna una vera novità, che nel corso degli anni hanno lavorato molto alla costruzione della propria figura. Almeno in potenza, non assistevamo a una radicalizzazione così forte intorno a due leader dai tempi di Prodi e Berlusconi.

Purché funzioni, però, è necessario che il dualismo sia “vero”. Detto in altre parole, bisogna essere certi che Meloni e Schlein siano leader riconosciute e legittimate, a capo di schieramenti alternativi, con visioni e programmi diversi. Ed è importante che il potere sia realmente contendibile, ovvero che non si tratti di un dualismo da talk show o da social, con distanze incolmabili sul piano del consenso popolare.

Meloni e Schlein però partono da posizioni molto diverse.

La presidente del Consiglio è impegnata in una cruciale fase di consolidamento del proprio potere, dopo che il trionfo alle politiche le ha garantito l’egemonia nel campo del centrodestra (al netto dei mal di pancia di Salvini e dello scetticismo di Berlusconi). Dalla Rai alle partecipate, passando per i gangli nevralgici delle istituzioni e le cancellerie internazionali, Meloni sta provando a gettare le basi per quella che nelle sue intenzioni dovrebbe essere una lunga stagione di governo del Paese e di ridefinizione dei rapporti di forza sul piano culturale e politico. Ne abbiamo parlato diverse volte: la leader di Fratelli d’Italia ha un piano ambizioso, che non si limita alla mera gestione amministrativa del potere, ma che mira a fare dell’Italia un laboratorio della nuova destra. Il come è piuttosto chiaro: occupazione delle centrali di potere e degli hub culturali, riforma costituzionale e costruzione di una nuova classe dirigente. Con chi non è scontato, vista la grande disponibilità di una parte del mondo liberale a supportarla e l’inconsistenza politica di una vasta area sovranista-populista che invece costituisce parte rilevante della sua base elettorale. In che tempi è davvero un mistero (molto dipenderà dalla capacità della “nuova” classe dirigente che gravita intorno a Chigi e che per ora non ha dato prova di grande efficienza).

Elly Schlein avrebbe in teoria molti margini di manovra, ma è in un momento piuttosto complesso.

La segretaria democratica si trova a dover giocare su tre fronti: quello interno al partito, quello nel campo del centrosinistra e quello dell’opposizione al governo Meloni. “Il Pd non può continuare a voler essere tutto e il suo contrario, perché finisce per non rappresentare nessuno”, dice lucidamente a Repubblica, cogliendo uno dei punti centrali della crisi di consenso e prospettiva politica. A questa analisi sta cercando di far seguire mosse concrete, pressata com’è dalla necessità di evitare lo sfaldamento del partito tra correnti e personalismi. Non è semplice, però, proprio perché Schlein ha la necessità di bilanciare l’unità del partito con la coerenza rispetto alla sua piattaforma programmatica e ideologica. E, in effetti, in questi mesi il percorso è andato molto a rilento, più delle attese. “In questi mesi non abbiamo fatto alcuna forzatura, su nulla”: dice ancora a Repubblica. Ecco, forse questo è proprio il problema. Sulle alleanze l'andazzo è simile, anche se in questo caso si tratta di una scelta voluta, più che subita. Schlein sa che non c'è la necessità di forzare, accelerando alleanze o fantasticando di campi larghi, proprio perché non ci sono in vista né appuntamenti elettorali né snodi politici cruciali. Alle europee si andrà da soli, le Politiche sono lontane e le prossime Regionali sono una partita a sé. Certo, prima o poi bisognerà sciogliere tutte le ambiguità del rapporto con Giuseppe Conte…

Ci si aspettava che l'opposizione al governo Meloni fosse più dura e attiva, probabilmente. Va detto, a parziale discolpa, che da questo punto di vista il contesto non ha aiutato la segretaria dem. Schlein ha scelto di concentrare le forze su alcuni terreni specifici (su lavoro, immigrazione e giustizia il Pd si è mosso con estrema decisione), mantenendo invece un approccio più morbido laddove Meloni si è di fatto mossa in continuità con il suo predecessore e tenendo invece un atteggiamento "responsabile e collaborativo" in presenza di vere emergenze nazionali. Tra cui, nella sua lettura, rientra anche il Pnrr, che col passare delle settimane rischia davvero di essere la Caporetto non del governo ma dell'intero sistema Paese.

Al momento i sondaggi premiano la linea tenuta da Schlein, ma la "costruzione" (che è a un tempo politica, culturale e giornalistica) del dualismo con Meloni è ancora agli stadi iniziali e servirà una buona dose di coraggio e di determinazione per occupare la scena politica nei prossimi mesi. Anche perché la leader di Fratelli d'Italia finora ha fatto di tutto per evitare di legittimare Schlein come la sua vera nemica, lasciando filtrare l'idea di avere di fronte un'opposizione divisa e litigiosa. Una scelta strategica e politica, che potrà reggere solo finché elettori / partiti di opposizione non manderanno un chiaro segnale alla maggioranza di governo. Il punto è capire se e quando arriverà questo momento.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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