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Opinioni

Due anni dal primo morto per Covid e vi siete già scordati tutto

Due anni fa il primo morto per Covid in Italia. In 30 giorni imparammo ad amare le cassiere dei supermercati e i medici, poi calò l’oblio, oggi cresce l’odio.
A cura di Saverio Tommasi
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File al supermercato durante il lockdown
File al supermercato durante il lockdown

Due anni fa il primo morto in Italia per Covid: era il 21 febbraio 2020.
Un mese e dieci giorni prima era morto il primo paziente a Wuhan, in Cina.

Da allora abbiamo imparato tante parole nuove, e siamo stati costretti a farci i conti: lockdown, smart working, Oms e pandemia. Due anni fa, nel giro di un mese, abbiamo imparato ad amare alcuni volti, a rispettarli; abbiamo imparato a riconoscere alcune divise e a voler bene ad alcune categorie di lavoratori a cui guardavamo con ammirazione, quasi devozione. Due anni dopo, però, li abbiamo scordati. Abbiamo dimenticato i volti dei corrieri, delle dottoresse, degli autotrasportatori, di tutte quelle categorie che ci hanno in qualche modo salvato, permesso di vivere, abbiamo scordato proprio coloro a cui avevamo promesso "di non scordarci una volta che tutto fosse finito".

Facciamo un passo indietro di due anni.

Il primo paziente italiano ucciso dal virus si chiamava Adriano Trevisan e morì all'ospedale di Schiavonia, Padova, quando in tutta Italia erano 18 i pazienti ricoverati. Dopo la sua morte svuotarono l'ospedale e modificarono il tracciato del trasporto pubblico cittadino. Pensavamo che il virus fosse tutto lì. Pensavamo fosse arginabile, pensavamo addirittura fosse possibile tenerlo fuori dagli ospedali.

Ognuno di noi possiede in testa un riassunto proprio degli ultimi due anni: un riassunto che riguarda la propria vita privata – il lockdown, il lavoro, gli affetti e la paura – e la propria parte pubblica: le notizie in TV e le conferenze stampa giorno dopo giorno, sempre alle 18:00. Ve le ricordate? Era il bollettino del Paese. Immagino sia così per tutti, al di là del singolo vissuto.

Nel frattempo in questi due anni abbiamo perso le cassiere dei supermercati, qualcuno le ha viste?
Dove sono andate le cassiere, quelle che ci permettevano di mangiare durante il lockdown, quelle che non hanno mai smesso di lavorare, indefesse nonostante la paura e un Paese sigillato?
Signori, qualcuno ha visto le cassiere, oppure un magazziniere, anche uno solo? Non riesco più a trovarli i magazzinieri di allora, quelli a cui tutti si rivolgevano con un "grazie", quelli che guardandoli con occhi lucidi le persone commentavano "sono sfruttati anche durante la pandemia, ma se il Paese non muore è soprattutto grazie a loro".

Signori belli, non vedo più i facchini, gli autotrasportatori e i corrieri. Qualcuno li ha visti? Non quelli di oggi che snobbate, insultate o accusate delle file in autostrada, intendo quelli che vi portavano i kit di sopravvivenza durante il lockdown. Quelli di cui non potevamo fare a meno. Quelli che appena è cessata l'emergenza non sono stati assunti, quelli che oggi devono continuare a correre più di tutti gli altri, mentre qualcuno sbraita contro le restrizioni che invece sono servite anche per proteggere loro, le categorie lavorative più esposte, a cui un tempo volevamo così bene?

Signore e signori, vedo solo ostracismo nei confronti dei "farmacisti che si sono arricchiti con i tamponi". Ma vi ricordate che hanno sempre continuato a lavorare per noi?

Dove è andata a finire, due anni dopo, l'eroicizzazione del personale sanitario? Noi lo avevamo detto dall'inizio: non chiamateli eroi, però ricordatevi di loro quando tutto sarà finito. Ricordatevi di assumere infermieri e medici, infermiere e dottoresse, ricordatevi di farlo non soltanto per prevenire una futura – ipotetica – pandemia, ma anche perché era sotto gli occhi di tutti: la Sanità è il nostro più grande bene pubblico e per questo va rafforzata, non spolpata, non fatta diventare terreno di sottrazione. Esami saltati, diagnostica rimandata, salute solo se ottieni un terno. Avevamo detto "basta" a tutto questo, ricordate? Eppure oggi – forse – sono cambiati i volti dei medici, degli infermieri, perché non li riconoscete più. Il Paese sembra ignorarli, in alcuni casi addirittura combatterli.
I medici, una delle categorie più colpita dalla pandemia, vivono oggi l'onta della sopravvivenza, dell'avercela fatta, di essere invecchiati di dieci anni in due, ma di essere ancora vivi. C'è chi si chiede "perché sono sopravvissuti" e "cosa ci nascondono", oppure "hanno fatto i soldi". Anche se molti in realtà sono morti o si sono ammalati.

Oggi a nessuno sembra importare se gli ospedali italiani sono allo stremo, se avremmo bisogno di un terzo del personale sanitario in più, se le assunzioni sono sporadiche, se la diagnostica è saltata (e già prima non è che se la passasse tanto bene).
In fondo sembra che a molti vada bene così, o al limite che non ci si possa fare niente. Che tutto va bene madama La Marchesa, e che questo sia il miglior mondo possibile: un luogo dove le persone si dimenticano degli altri appena pensano di non averne più bisogno.

Io invece non voglio dimenticarmi i volti delle cassiere, della protezione civile, delle forze dell'Ordine, dei medici e degli OSS, di tutte e tutti coloro che hanno dato il sudore in questi due anni non perché eroi, ma perché semplicemente non c'era nient'altro di più giusto da fare in quel momento, e in questo.

Grazie, semplicemente.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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