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Opinioni

Partigiano Giotto, 98 anni e mezzo di Resistenza: “Sono nato antipadronale e antifascista”

Giordano Bruschi, classe 1925, una memoria straordinaria e 98 anni e mezzo impiegati per costruire un mondo più giusto: “Non mi basta. Non ho fatto abbastanza”.
A cura di Saverio Tommasi
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Partigiano Giotto, Giordano Bruschi
Partigiano Giotto, Giordano Bruschi

Ho incontrato il partigiano Giordano Bruschi a casa sua, a Genova. Nome di battaglia: Giotto.
Giordano è del 1925, ha 98 anni e mezzo, e una vita impiegata nell'altruismo e nella lotta. Negli ultimi anni autore del "Calendario del popolo antifascista", come quello dei santi però con le partigiane e i partigiani d'Italia, una persona al giorno, per fare memoria tutto l'anno.

Giordano mi accoglie sulla porta di casa, lo saluto: "Buonasera, come sta?"

‘Come sta' mi dà del lei, dammi del tu.

Grazie. Come stai?

Sto bene. Ho fatto il calcolo, oggi all'incirca compio 36.000 giorni.

Perché non ha deciso di riposarsi?

E' un problema anche strettamente personale, ho avuto cinque compagni di giochi, della mia infanzia, ammazzati dai fascisti. Considero una missione la mia testimonianza su quello che è stata la barbarie del fascismo. Sono impegnato nella trasmissione della memoria.

Hai una canzone di liberazione nel cuore?

Sì, è la canzone libertaria di Carrara: "Figli dell'officina, figli della terra, innalzeremo al vento le libere bandiere, avanti siamo ribelli, un mondo di fratelli, a morte gli oppressori: il duce, il führer, il re, più non vogliamo signori!"

Canzone meravigliosa. Ora ti chiedo un passo indietro. Prima mi hai detto "36.000 giorni", a quanti anni corrispondono?

98 anni, 6 mesi e 25 giorni.

Come fai a tenere il calcolo?

Ho una fissazione matematica.

Come era la tua famiglia di origine?

Io vengo da una famiglia di mezzadri, contadini toscani, e ho avuto la fortuna di avere degli zii e delle zie brontolone, perché ce l'avevano con il padrone.

E perché ce l'avevano con il padrone?

Perché loro faticavano, zappavano, e poi alla fine dell'anno, quando facevano i conti, il 56% del guadagno andava al padrone che non lavorava, e solo il 44% andava al contadino che faticava. E io ho vissuto l'infanzia in questo modo, con i contadini che sono stati i miei primi maestri politici.

Qual è il suo primo ricordo storico?

E' il 2 ottobre 1935.

Quanti anni aveva?

Avevo 10 anni e 12 giorni. La maestra era in divisa fascista, l'atmosfera era nera. Lei arrivò con il giornale, e come compito in classe ci fece leggere, obbligatoriamente, il discorso del Duce sulla dichiarazione di guerra all'Etiopia. Ricordo a questo proposito le canzoncine che ci facevano imparare a memoria: "Quando saremo in Africa ci impianteremo la giostra, diremo agli abissini: noi siamo in casa nostra".
Io quella mattina lessi bene il discorso del Duce, a voce alta, e la Maestra mi scrisse sul quaderno: "Lodevole". E mi disse: "Fallo vedere al tuo babbo". Io allora tornai a casa felice: "Babbo, babbo, ho preso lodevole!".
Il babbo mi chiese: "Per che cosa?" e io risposi: "Ho letto bene il discorso del Duce".
E invece di arrivarmi un elogio mi arrivò uno schiaffo, e io mi misi a piangere; mi sembrava che il mondo non girasse più per il verso giusto.

E poi cosa accadde?

Andai a lamentarmi con il vicino di casa, il Romoli, e lui mi disse: "Il babbo ha ragione, tu non sai chi è Mussolini". E mi insegnò un fatto nuovo: "Guarda, il tuo babbo è perseguitato dai fascisti".

Faccio un passo indietro: ricordi altre filastrocche e canzoni fasciste, fra quelle che vi insegnavano?

"Prendo il fucile e parto per l'Abissinia, attento Negus, te la portiamo via!"
Ricordiamo la Storia: il maresciallo Badoglio e il maresciallo Graziani hanno vinto la guerra di Etiopia usando per la prima volta i gas asfissianti. Questa è una parte di Storia poco conosciuta.

E un'altra filastrocca ancora?

"Osteria dei tre moschetti, in Italia siamo stretti, allungheremo lo stivale fino all'Africa orientale". Erano tutte canzoni di violenza, di guerra.

Quali furono i primi effetti della guerra?

Cominciò immediatamente il razionamento. Ognuno di noi aveva un cartoncino in cui c'era scritto cosa ci davano: il pane, l'olio, lo zucchero, tutto razionato. Ma poi il pane, sai come si faceva il pane? I panettieri dicevano: "Il pane si fa ANCHE con la farina", e poi dentro ci mettevano la segatura.
E noi bambini, in periodo di guerra, crescevamo a stento.

Il tuo primo atto di ribellione sono state le parole e la loro diffusione, vero?

Sì, cominciai a scrivere volantini contro il fascismo. Presi da un amico un appartamento e ci portammo il ciclostile. I fascisti non ci scoprirono mai.

Cosa scrivevate nei volantini?

Abbasso la guerra, abbasso il fascismo, viva la pace. E poi, ci siamo anche pentiti, però uno dei primi nomi che scrivevamo accanto alla parola "evviva" era "Stalin". I grandi dicevano: "Adda venì baffone".

Ti dico una data: 30 aprile 1944. Cosa ti viene in mente?

E' il giorno del calendario che viene prima del primo di maggio. E' sempre stata una data da ricordare, ma durante la guerra, e poi durante l'occupazione, non potevamo scioperare o fare cortei. Così quel giorno fu deciso di mettere al buio la città facendo saltare un traliccio della luce. Il problema era però chi avrebbe portato il tritolo, cioè l'esplosivo, perché dovevamo passare un posto di blocco e perquisivano tutti. Io portavo ancora i pantaloncini corti e mi dissero: "Giordanino, c'è da portare questa borsa con l'esplosivo". Io dissi di sì, e di mio ci aggiunsi la creatività del pallone: avvicinandomi al posto di blocco dei tedeschi, mi misi a giocare con il pallone, di testa. I tedeschi quando mi videro: "Palla mia, palla mia", mi rubarono la palla perché volevano giocarci loro. E così io, tranquillamente, riuscii a portare l'esplosivo dove c'erano i grandi, i gappisti.

E poi cosa accadde?

Avvenne un episodio che è fondamentale nella mia vita. Questo compagno che aveva preparato la bomba, mi disse: "Vedi, noi dobbiamo farci sentire, però la cosa fondamentale sai qual è? Tu quanti anni hai, 17 anni? Ecco, la cosa più importante come arma, nella vita, non sono gli esplosivi, anche se ora sono necessari. La cosa che conta davvero nella vita è quello che metti dentro il cervello". E mi regalò un libro.

Che libro era?

Era la vita di Antonio Gramsci scritta da Palmiro Togliatti. Tutta la notte lessi quel libro, che poi è diventato il mio Vangelo. Gramsci è stato  per me il maestro più importante di tutta la vita.

Da cosa deriva il tuo nome di battaglia ‘Giotto'?

Me lo dette Gillo Pontecorvo, che poi è diventato anche un famoso regista. Eravamo a Torino e mi chiese: "Come ti chiami?" e io risposi: "Giordano Bruschi".
E lui: "No, devi dirmi il nome di battaglia!". Ma io non ce l'avevo. In quel momento eravamo a Torino, nella zona della Fiat, tutte le strade avevano il nome di famosi pittori e noi eravamo in via Giotto. Così Gillo Pontecorvo mi disse: "Tu sarai il partigiano Giotto". Fui battezzato così, dal nome di una strada.

Gillo Pontecorvo è stato davvero un nome straordinario del cinema italiano.

Noi le riunioni con lui le facevamo mentre lui remava, sulle barche del Po, e noi eravamo i compagni seduti nelle barche, due uomini e due donne. E non c'era nulla di meglio, lungo il Po, che fingere di essere fidanzati mentre lui ci dava le indicazioni.

Ti dico un'altra data: 21 dicembre del 1943.

In quella data organizzai il primo sciopero degli studenti antifascisti genovesi. La fortuna mia è che non ero considerato, ero un bambinetto e pensavano: "Ma cosa vuoi che faccia quello lì?".
E poi ho inventato la giornata delle scritte.

Cos'era?

Con i ragazzi di diverse scuole prendevamo il gesso e riuscivamo a riempire i quartieri di scritte antifasciste. Una volta mi hanno preso anche in giro, perché di notte avevo sbagliato ad attaccare un manifesto, lo avevo messo al contrario, e allora sul giornale fascista del giorno dopo scrissero: "I comunisti sempre alla rovescia".

Diciamo che la tua fu una premonizione di come sarebbe finito il Duce.

Eh sì, davvero!

Era questa la società che volevi?

No, questa attuale no. Sognavamo la città di liberi e uguali. Qualche cosa, tutto sommato, abbiamo ottenuto: la libertà, la Costituzione, però sognavamo qualche cosa di più. Mi viene in mente Petrarca: "E da color che più non credono, io vo gridando: Pace, Pace, Pace".

Giordano, ti sei commosso.

Sì, un po'. Penso a quando mi dicono: "Ma cosa vuoi fare? A 98 anni non ti accontenti di quello che hai fatto?" E io penso: no, è troppo poco.

Che cos'è che non ti ho chiesto e secondo te, invece, è importante raccontare?

Vorrei essere a Firenze, nella tua città, perché oggi è il giorno del calendario dedicato a un grande personaggio fiorentino, Piero Calamandrei.

Ti ricordi, a memoria, qualcosa di quello che ha scritto?

"Camerata Kesserling, se vorrai tornar sulle nostre strade, ai nostri posti ci ritroverai. Vivi e morti, con lo stesso impegno, popolo serrato, intorno al monumento che si chiama ‘Ora e sempre, Resistenza'.

Grazie Giordano-Giotto.

Grazie a te Saverio.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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