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Presidenza Trump

Trump annuncia dazi al 30% per l’Ue, cosa succede quando entrano in vigore e cosa cambia per gli italiani

Donald Trump ha annunciato che i prodotti dell’Ue subiranno dazi del 30% dal 1° agosto 2025. Nonostante le promesse del tycoon, gli esperti dicono che a pagare il prezzi più alto saranno gli abitanti degli Usa. Tuttavia per le aziende italiane potrebbero arrivare delle perdite importanti, se non riusciranno ad adeguarsi. Le trattative, comunque, restano aperte.
A cura di Luca Pons
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Alla fine è arrivata l'attesa lettera di Donald Trump all'Unione europea: dazi al 30% a partire dal 1° agosto 2025. Negli ultimi giorni più volte il presidente degli Stati Uniti aveva fatto capire che l'invio della lettera rivolta ai Paesi europei era imminente. Secondo le stime della Cgia di Mestre, se i dazi imposti fossero rimasti al 20%, il costo per le aziende italiane sarebbe stato di circa dodici miliardi di euro. Capiamo meglio cosa succederà se e quando le tariffe entreranno in vigore, e cosa significano questi ‘costi'.

Va fatta una premessa generale: finora Trump ha gestito i dazi in modo quasi casuale, alzando e abbassando le percentuali, allargando o restringendo la lista di Paesi coinvolti, aprendo a negoziati o dicendo che non c'erano margini per trattare; più e più volte ha cambiato linea, spesso nel giro di pochi giorni. Quindi, anche ora che la lettera per l'Ue è arrivata, ci sarà tempo fino al 1° agosto (la scadenza fissata per l'entrata in vigore) per ulteriori cambi di rotta.

Cosa ha scritto Trump all'Unione europea per annunciare i dazi

"Gli Stati Uniti hanno deciso di continuare a lavorare con l'Unione europea nonostante con voi abbiamo uno dei più ampi deficit commerciali", ha scritto il presidente degli Stati Uniti nella lettera, indirizzata alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen e condivisa sul suo social di riferimento Truth. "La nostra relazione, purtroppo, è stata tutt'altro che reciproca", e quindi dal 1° agosto "applicheremo all'Unione europea una tariffa di appena il 30% ai prodotti Ue inviati negli Stati Uniti".

La seconda parte della lettera è, in pratica, una minaccia: "L'Unione europea darà accesso completo e libero al suo mercato agli Stati Uniti, senza dazi nei nostri confronti. Se per qualunque ragione deciderete di aumentare le vostre tariffe come reazione, aggiungeremo qualunque vostro aumento al nostro 30%". Infine, si specifica che la soglia del 30% può essere "modificata" a seconda delle relazioni tra Ue e Usa – ovvero, se l'Europa farà altre concessioni agli Stati Uniti.

La risposta dell'Ue e del governo Meloni

La Commissione europea ha risposto a Trump affermando che i dazi al 30% porterebbero svantaggi sia all'Europa che agli Usa. L'Ue ha detto che continueranno i negoziati "per raggiungere un accordo entro il 1° agosto", ma non ha escluso di adottare "contromisure proporzionali", alludendo ai controdazi progettati negli scorsi mesi. Domani pomeriggio gli ambasciatori dei 27 Paesi Ue si riuniranno.

"Prendiamo atto della lettera inviata dal presidente Trump – ha scritto la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen -. L'imposizione di dazi al 30% sconvolgerebbe le principali catene di approvvigionamento transatlantiche. Per questo lavoriamo per raggiungere un accordo, ma allo stesso tempo adotteremo tutte le misure necessarie per salvaguardare gli interessi dell'Unione".

In Italia, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha reagito dicendo – tramite fonti di Palazzo Chigi – che confida che arriverà "un accordo equo, che possa rafforzare l'Occidente nel suo complesso", perché "non avrebbe alcun senso innescare uno scontro commerciale tra le due sponde dell'Atlantico". E ha chiesto di "evitare polarizzazioni che renderebbero più complesso il raggiungimento di un'intesa". La Lega ha dichiarato che "lo scontro è insensato" tra Italia e Usa, e che "paghiamo il prezzo di un'Europa a trazione tedesca"; invece di "minacciare ritorsioni che Oltreoceano potrebbero solo far sorridere", la richiesta all'Europa è di "azzerare l'eccesso di burocrazia Ue", tra cui il Green deal. Il capogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera, Galeazzo Bignami, ha dichiarato: "Questo non è il momento di creare divisioni che produrrebbero danni a tutti gli italiani, ma piuttosto sarebbe utile e responsabile agire in maniera unitaria come fatto dal governo Meloni attraverso l'Unione europea".

Invece le opposizioni hanno attaccato. Elly Schlein ha auspicato che "entro il primo agosto ci sia il tempo per sventare una guerra commerciale", chiedendo a Meloni di intervenire; per il M5s, il capogruppo al Senato Stefano Patuanelli ha dichiarato: "Altro grande risultato di Giorgia Meloni, e anche di Von der Leyen. Dopo aver ingurgitato il Patto di stabilità, il riarmo Ue, il 5% Nato, il Gnl americano, la chiusura della Via della seta, l’esclusione degli Usa dalla Global Minimum Tax, ora ci troviamo dazi almeno al 30%. Un Nobel per l’economia subito!". Nicola Fratoianni ha detto che "a nulla sono servite le vagonate di miliardi di euro che gli Stati europei stanno garantendo all’industria bellica americana", chiedendo "parole chiare dal governo italiano".

Matteo Renzi ha affermato che "Trump dichiara guerra (commerciale) all'Europa", augurandosi che "gli imprenditori di questo Paese si sveglino dalla cotta che hanno preso per un governo incapace e ininfluente". Il rappresentante degli industriali, Emanuele Orsini (presidente di Confindustria), ha commentato dicendo che "serve mantenere la calma e avere i nervi saldi. Non possiamo compromettere i nostri mercati finanziari. È ovvio che la lettera arrivata dagli Stati Uniti è una sgradevole volontà di trattare".

Cosa fanno i dazi secondo Trump: le promesse del presidente Usa agli americani

Quando gli Stati Uniti impongono dei dazi all'Unione europea, chiunque esporta dei prodotti dall'Ue negli Usa deve pagare una tariffa aggiuntiva. Ad esempio, con dazi al 30%, chi vuole vendere prodotti che valgono un milione di euro negli Stati Uniti deve pagare una tariffa del 30% (quindi 300mila euro). Solo a quel punto può mettere i suoi prodotti sul mercato statunitense.

Sulla carta i dazi possono avere due effetti principali per un Paese, e su questi ha puntato la propaganda di Trump finora. Il primo è che le aziende straniere devono pagare più tariffe, e quindi aumentano le entrate nelle casse pubbliche. Il secondo è che quelle stesse aziende, per non andare in perdita, devono alzare i prezzi dei propri prodotti: negli Stati Uniti costeranno molto più che altrove. Quindi, sempre in teoria, i consumatori americani sono spinti a comprare dei prodotti americani, che hanno un prezzo più basso perché non devono pagare i dazi. E così ci guadagnano le imprese statunitensi.

Più incassi per lo Stato, meno concorrenza per le aziende Usa, e infine più posti di lavoro. Perché, ad esempio, una grossa azienda italiana potrebbe decidere, invece di continuare a pagare ai dazi, di aprire una filiale negli Stati Uniti e produrre lì direttamente. Queste sono le idee di base con cui Trump ha promosso i dazi come lo strumento definitivo della sua politica commerciale.

Che effetti hanno davvero i dazi e cosa succederà agli italiani

La realtà, però, è diversa. Come gli esperti di economia hanno chiarito fin dall'inizio, con i dazi chi ci perde di più è lo Stato che li impone. Non è un caso che Trump dopo l'annuncio iniziale ad aprile avesse fatto un passo indietro. Il motivo è semplice: la popolazione di quel Paese (in questo caso gli Usa) si trova a dover pagare prezzi più alti per quasi tutti i prodotti.

Infatti, le aziende statunitensi che devono comprare dall'estero dei componenti o dei materiali dovranno pagarli di più. E di conseguenza le famiglie americane si troveranno con un aumento dei prezzi non solo sugli articoli importati da altri Paesi, ma anche su tutti i prodotti Usa che devono utilizzare almeno qualche componente dall'estero.

In più, gli Stati Uniti sono un mercato enorme, ma non sono l'unico al mondo. Quindi le aziende degli altri Paesi – e qui passiamo a cosa succede agli italiani – potrebbero decidere di cercare accordi con Stati diversi: espandersi in zone del mondo con cui finora commerciavano meno, per evitare le tariffe. I dazi di Trump metteranno in difficoltà soprattutto le aziende italiane che sono più legate alle esportazioni negli Stati Uniti, e che non possono facilmente spostarsi da un mercato all'altro.

Concretamente, per i consumatori italiani non dovrebbero esserci grandi cambiamenti, almeno nell'immediato. I prezzi non dovrebbero schizzare verso l'alto, a meno che l'Ue non decida di imporre dei controdazi nei confronti degli Stati Uniti: a quel punto, lo stesso discorso fatto finora si applicherebbe al contrario. Con la differenza che gli italiani subirebbero prezzi più alti solo sui prodotti americani, e non su quelli di quasi tutto il mondo, come invece avviene con i dazi ‘globali' di Trump.

Quanto ci costano i dazi di Trump

La Cgia di Mestre aveva stimato, prima che il presidente Usa ufficializzasse la nuova tariffa, che se i dazi fossero saliti al 20% – insieme a quelli già in vigore del 50% sull'acciaio e l'alluminio e del 25% sulle auto – l'Italia avrebbe perso fino a dodici miliardi di euro in esportazioni mancate. Come spiegato, il danno riguarda le aziende che dovranno esportare meno prodotti negli Usa, a causa dei rincari: con una tariffa così alta da pagare, o esportare diventa poco conveniente, o si alzano i prezzi, ma così il numero di clienti scende.

Naturalmente, però, ci sono domande più complicate da fare, che possono cambiare questa stima. Ad esempio, se il prezzo dei prodotti made in Italy aumenta, quanti clienti negli States vi rinunceranno? Se si tratta di prodotti di alta qualità, è possibile che anche un prezzo più alto non scoraggi gli acquirenti: se una bottiglia di vino italiano pregiato costa 65 dollari invece di 50 dollari, per un cliente facoltoso può fare poca differenza.

Lo scorso anno le imprese italiane hanno esportato prodotti per 64 miliardi di euro negli Stati Uniti. Di questi il 43% era di qualità alta, secondo la classificazione della Banca d'Italia. Un altro 49% era di qualità media. Quindi le variazioni di prezzo potrebbero non essere un problema poi così grave.

Le aziende dovranno anche ingegnarsi per trovare un modo per ridurre i costi di produzione, e così compensare in parte l'esborso dei dazi. L'alternativa sarà, come detto, puntare su altri Paesi. Sono poche le aziende italiane che dipendono principalmente dall'esportazione negli Stati Uniti, secondo i dati diffusi dalla Banca d'Italia: per la maggior parte, gli Usa sono solo uno dei Paesi in cui le imprese vendono i loro prodotti. Perciò, se si dovessero ridurre le entrate che arrivano da oltre oceano, la situazione potrebbe comunque restare sotto controllo. Resta da vedere quali saranno i dettagli delle nuove tariffe, e come si evolverà la situazione da qui al 1° agosto con il prosieguo delle trattative.

Un fattore collegato solo in parte ai dazi è che le politiche del presidente americano finora hanno indebolito parecchio il dollaro. Questo svantaggia chi deve esportare negli Usa, perché significa che dopo il cambio euro-dollaro i prodotti europei finiscono per costare più di prima. Per capirsi: se un anno fa 100 euro valevano 108 dollari, ora ne valgono quasi 118. Quindi chi vende un prodotto che in Europa costa 100 euro, per non perderci, deve venderlo non più a 108, ma a 118 dollari. Un altro motivo per cui le aziende esportatrici affrontano una situazione complicata.

Francia e Germania contro i dazi

La Francia ha fatto sapere di "condividere la disapprovazione della presidente della Commissione Ue Von der Leyen" sui dazi al 30%. Emmanuel Macron ha sottolineato dall'Eliseo e tramite il suo profilo X che l'Europa deve "difendere con risolutezza i propri interessi" anche con la preparazione di "contromisure credibili".

La ministra dell'Economia di Berlino, Katherina Reiche, ha invitato l'Unione a negoziare "pragmaticamente" con gli Stati Uniti in seguito all'annuncio di Trump. "Spetta all'Unione Europea, nel tempo che le rimane, negoziare pragmaticamente una soluzione che si concentri sui principali punti di conflitto" ha affermato.

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