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Covid 19

Cosa c’è da sapere sulle mascherine a 50 centesimi (e perché è così difficile trovarle)

Dopo giorni di polemiche, il commissario Arcuri ha firmato una nuova intesa con le associazioni di categoria per rifornire le farmacie di mascherine chirurgiche al prezzo bloccato di 50 centesimi. Presto nuovi accordi per la vendita anche nei tabaccai, nelle edicole, nelle ferramenta. Ma per adesso si continuano a trovare solo al supermercato.
A cura di Marco Billeci
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La guerra delle mascherine a prezzo “politico” segna un nuovo capitolo, forse l’ultimo della saga. Un nuovo accordo tra il commissario straordinario del governo per l’emergenza Covid Domenico Arcuri e le associazioni di categoria mira a riportare finalmente sugli scaffali delle farmacie le mascherine chirurgiche a costo calmierato, introvabili negli ultimi giorni. Nelle stesse ore, il decreto Rilancio varato dal governo ha sancito la sospensione dell’Iva su questo tipo di prodotti. Il prezzo di vendita dovrebbe quindi passare da 61 a 50 centesimi.

Lo scontro sulle mascherine

A fine aprile Arcuri ha firmato un primo protocollo con Federfarma e le altre sigle dei farmacisti per la vendita al pubblico delle chirurgiche al costo fisso di 50 centesimi più Iva. L’accordo però è di fatto rimasto lettera morta: secondo un’indagine di Altroconsumo pubblicata l’otto maggio scorso, su un campione di dieci città le mascherine al prezzo concordato si trovavano solo in una farmacia su quattro. Nei giorni successivi i farmacisti hanno poi denunciato il rapido esaurimento delle scorte rimanenti.

Sulle cause del flop dell’iniziativa, per giorni le parti si sono scambiate accuse reciproche. Gli esercenti hanno rimproverato ad Arcuri di aver fissato il tetto al prezzo di vendita senza considerare i costi reali per rifornirsi dei dispositivi sul mercato. Oltre alle difficoltà nel reperire materiali, Federfarma ha lamentato gli intoppi burocratici che bloccano gli ordini e il contributo insufficiente da parte della Protezione Civile, che ha inviato alle farmacie tre milioni di pezzi. Di contro Arcuri ha ricordato come i rifornimenti statali dovessero considerarsi aggiuntivi e non sostitutivi a quelli privati e ha messo sotto accusa l’inefficienza delle catene di approvvigionamento organizzate dalle associazioni di categoria.

Cosa prevede il nuovo accordo

Il nuovo protocollo siglato nelle ultime ore prova a mettere la parola fine a questo scontro. Il Commissario s’impegna a inviare 10 milioni di mascherine “pubbliche” alle farmacie per il mese di maggio, mentre le associazioni assicurano un approvvigionamento di 9 milioni di pezzi per questo mese e di 20 milioni per il prossimo. Lo Stato inoltre garantisce un contributo fino a 10 centesimi a pezzo per le mascherine importate a costi più alti di quelli stabiliti dall’intesa, così da abbattere le spese e favorire la vendita al pubblico al prezzo di 50 centesimi. Il tutto in attesa che si metta in moto la produzione italiana, che dovrebbe assicurare tra i 20 e i 30 milioni di pezzi a partire dai mesi estivi, a costi ovviamente più contenuti di quelli d'importazione.

Basterà questo per garantire mascherine a una cifra equa per tutti? Difficile dirlo visto che le difficoltà di approvvigionamento rimangono. Tuttavia, c’è un esempio che lo stesso Arcuri ha citato come modello di efficienza in una recente conferenza stampa e che può aiutare a capire come risolvere lo stallo. Parliamo delle catene della grande distribuzione, l’altro canale attivato dallo Stato per far arrivare ai cittadini le chirurgiche al  a 50 centesimi. Da inizio maggio, secondo i dati forniti dallo stesso commissario, nei supermercati sarebbero stati venduti 19 milioni di pezzi.

Le mascherine nei supermercati

“Tutti i centri distributivi che hanno aderito all’iniziativa hanno attivato accordi per le forniture, soprattutto dalla Cina. Io ho ricevuto la merce lunedì scorso al prezzo di 45 cents”, spiega a Fanpage Donatella Prampolini, presidente di “Distribuzione Italiana”, società che raccoglie alcuni marchi di catene di supermercati. Prampolini è anche vicepresidente di Confcommercio, una delle sigle firmatarie dell’intesa raggiunta con Arcuri a inizio del mese per la vendita delle mascherine chirurgiche a prezzo calmierato nelle catene nella grande distribuzione.

L'imprenditrice ammette di essere rimasta perplessa all’inizio quando il commissario ha annunciato la volontà di  fissare un prezzo massimo. “Da parte di Arcuri però c’è stata la massima apertura e disponibilità per risolvere i problemi che impedivano di raggiungere questo obiettivo". In primo luogo, spiega Prampolini, anche per i supermercati è stato stabilito un ristoro da parte dello Stato per le merci già presenti nei magazzini e acquistate a prezzi più alti di quanto scritto nel protocollo. Secondo l’esponente di Confcommercio, il costo medio delle chirurgiche importate è di 44/45 centesimi. Con una compensazione pubblica di 5 centesimi si riesce quindi ad abbassare l’importo effettivo a 40 centesimi, una cifra che permette poi la vendita al pubblico al prezzo calmierato, considerando le spese di confezionamento, trasporto e logistica. C’è anche chi, come Conad, ha deciso di vendere già i prodotti senza caricare l’Iva in attesa che, come detto, con l’entrata in vigore del nuovo decreto Rilancio l’imposta sia sospesa per legge.

Per quanto riguarda i nuovi rifornimenti, la Protezione Civile ha messo a disposizione della grande distribuzione un milione e 400 mila mascherine chirurgiche, in attesa che arrivassero le forniture private. Come richiesto dalle associazioni di categoria, sono recentemente state semplificate le procedure d’importazione ampliando il cosiddetto “svincolo diretto”, in modo da rendere più semplice ordinare grandi quantitativi di prodotto e abbattere i costi di trasporto. Ancora oggi, infatti, la maggior parte delle mascherine arrivano dalla Cina. Un’altra ordinanza del commissario ha da poco permesso il riconfezionamento delle mascherine, che di solito arrivano alla dogana in pacchi da cinquanta. Seguendo le indicazioni igenico-sanitarie, gli esercenti potranno rimpacchettarle in confezioni da dieci o venti,  più adatte alla vendita al dettaglio, specie nei negozi di vicinato.

Difficoltà rimangono nella procedura per le mascherine senza marchio Ce. Si tratta di quei Dpi con caratteristiche simili alle chirurgiche, ma che prima di essere immessi in commercio devono ricevere l’ok da parte dell’Istituto Superiore di Sanità. Con l’ingresso di molti nuovi produttori sul mercato cinese, questo tipo di materiale rappresenta oggi una larga fetta della produzione, ma sia i farmacisti che i commercianti lamentano tempi ancora troppo lunghi per la loro validazione. Anche su questo fronte Prampolini però è ottimista: “Man mano che si consolidano i rapporti con gli stessi fornitori, il problema dovrebbe essere superato”.

In generale secondo la vicepresidente di Confcommercio “i canali di approvvigionamento sono ormai attivi e si stanno regolarizzando a prezzi stabili”. Alcuni report, in realtà, lamentano carenza di mascherine anche nei supermercati, ma Prampolini respinge questa ricostruzione: “Non mi risultano problemi di rifornimento nelle nostre catene di distribuzione. Può capitare che qualche supermercato rimanga senza in un determinato momento, ma questo è normale per tutti i prodotti, persino per la pasta o l’acqua minerale”.

Presto nei tabaccai e nelle edicole

Nel frattempo si lavora per ampliare i canali di vendita. Confcommercio punta nei prossimi giorni a coinvolgere anche edicole, cartolibrerie e ferramenta, mettendo a loro disposizione gli elenchi di fornitori individuati dall’associazione. “Noi siamo aperti a tutti gli esercizi interessati – dice Prampolini – dai negozi di abbigliamento in giù”. E conclude: “Allargando il numero dei soggetti coinvolti, si possono fare acquisti in comune tra diverse categorie, limitando i costi”.

Per parte sua Arcuri dovrebbe firmare a breve un protocollo con la Federazione Italiana Tabaccai (Fit) per mettere in vendita i pacchi da dieci o venti mascherine chirurgiche anche nelle 50mila tabaccherie italiane. Una rete di distribuzione particolarmente ambita perché tocca oltre 7550 dei 7900 comuni italiani e quindi permetterebbe di raggiungere anche i centri più remoti del Paese. Da parte della Fit non si sollevano particolari problemi sul prezzo di cinquanta centesimi, considerando che il margine tra acquisto e vendita sarebbe simile a quello delle sigarette.

Fonti della federazione non escludono la possibilità di vendere i pacchi di mascherine anche attraverso i distributori automatici, per renderne possibile l’acquisto la sera o nei giorni festivi. I tabaccai però sottolineano come a dir loro dove rifornirsi dei prodotti dovrà essere la Protezione Civile, visto che la categoria non ha competenze o esperienza in merito. E dunque si torna al problema degli approvvigionamenti: vedremo come sarà affrontato in questo caso.

Il prezzo prima del Covid

Rimane da dire che il prezzo calmierato a 50 centesimi è comunque molto superiore a quello pre-Covid, quando secondo i dati di Altroconsumo le mascherine chirurgiche erano in vendita al pubblico a una media di 20 centesimi al pezzo. Difficile però fare un confronto, vista l’esplosione della domanda nel periodo dell’emergenza. Più realistico il paragone con il listino di fine aprile, quando le indagini dell’associazione dei consumatori rilevavano un costo medio di 1,85 euro, ma con punte fino ai 6 euro.

Per dare una misura dell’impazzimento di mercato, è utile anche guardare l’elenco delle spese effettuate dalla Protezione Civile nelle settimane più calde della crisi, tra marzo e aprile. Nonostante i grandi quantitativi ordinati, gli uffici di Borrelli hanno comprato dai fornitori e dagli intermediari a un minimo di 24 centesimi al pezzo. Nella maggior parte dei casi il prezzo si è assestato tra i 50 e i 70 cents, ma si è arrivati anche a pagare 1,55 euro a mascherina per una fornitura di un’azienda giapponese.

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