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Covid-19, commercialisti e avvocati: “Governo ci dica cosa dobbiamo fare”

Le attività professionali rimangono aperte. Queste le indicazioni che emergono dalle ultime bozze del Dpcm con cui il governo si appresta a bloccare tutte i settori economici “non essenziali” per fronteggiare l’emergenza Coronavirus. I contorni della norma però. non sono ancora chiari. E così, dagli avvocati ai commercialisti, molte organizzazioni di categoria in queste ore scrivono a Conte per avere chiarimenti.
A cura di Marco Billeci
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Non ci sono solo le perplessità di Confindustria ad accompagnare il varo del nuovo provvedimento del governo che si prepara a chiudere tutte le attività definite "non essenziali" per affrontare l'emergenza Coronavirus. In queste ore diverse associazioni di appartenenti a ordini professionali stanno scrivendo al premier Conte per chiedere chiarimenti sul comportamento da tenere a seguito delle nuove disposizioni.

Secondo le ultime bozze del decreto, le attività professionali possono rimanere aperte, seguendo le raccomandazioni sul distanziamento e lo smart working contenute nel precedente Dpcm del 11 marzo. Una scelta dovuta probabilmente al fatto che – solo per fare un esempio – l'attività dei commercialisti è necessaria per rendere operative le diverse misure contenute nel decreto "Cura Italia",  contenente le norme per la sospensione dei pagamenti e il ristoro economico di cittadini e aziende.

E proprio dall‘Ordine dei Commercialisti è partita una lettera all'indirizzo di Conte e del ministro dell'Economia Gualtieri. Nel testo c'è la richiesta di una sospensione prolungata delle scadenze per "i versamenti e gli adempimenti di qual si voglia natura", che vada oltre le proroghe già definite nel "Cura Italia". In questo modo, sostengono i commercialisti, sarebbe possibile continuare l'attività riducendo però il carico di lavoro e garantendo la salute dei professionisti e delle loro famiglie. Nella lettera inoltre si chiede di estendere anche alla categoria alcuni benefit previsti dal decreto come il credito d'imposta e le forme di sostegno al reddito.

Di segno opposto le istanze degli avvocati, che si rivolgono al ministro per la Giustizia Bonafede. Scrive l'Organismo Congressuale Forense che l'impossibilità di accedere ai propri studi (e quindi ai documenti e agli strumenti del mestiere) e di ricevere i clienti comporterebbe per i legali "l'impossibilità di assicurare alle persone, alle organizzazioni, alle imprese la propria assistenza". Questo, scrivono gli avvocati, significherebbe "un gravissimo pregiudizio ai diritti dei cittadini e delle organizzazioni sociali e produttive del nostro Paese" secondo quello che viene definito "un inammissibile arretramento della civiltà giuridica"

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