45 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito
Opinioni

Che fine hanno fatto i referendum in Italia?

Dopo 5 anni senza referendum il governo ci “invita” ad astenerci dal voto il 17 aprile sulle trivellazioni. Perché?
A cura di Michele Azzu
45 CONDIVISIONI
Immagine

Che fine hanno fatto i referendum in Italia? In molti se lo sono chiesti in questi giorni, dopo che il governo di Matteo Renzi ha "invitato" gli elettori ad astenersi dal votare al prossimo referendum sulle trivellazioni, che si terrà il prossimo 17 aprile. Sono molti i critici a questa scelta, a iniziare dal PD stesso.

C’è un altro fatto che colpisce di questo referendum del 17 aprile: fra questo e i precedenti, su nucleare e acqua pubblica nel 2011, sono passati 5 anni. Si tratta dell’intervallo più lungo che l’Italia ha trascorso senza referendum dall’inizio della serie storica, e cioè da quel 13 maggio del 1974 in cui l’Italia disse sì al divorzio.

Da allora ogni due, tre, quattro anni ci sono sempre stati dei referendum. Sul finanziamento pubblico ai partiti nel 1978 in cui si raggiunse addirittura un affluenza superiore all’80% degli aventi diritto (incredibile a pensarci ora). Il referendum sull’aborto voluto dai radicali nel 1981.

L’energia nucleare nel 1987, l’abolizione del carcere per l’uso personale di droghe leggere nel 1993, l’obiezione di coscienza nel 1997 e così via, fino ad arrivare al 12 e 13 giugno del 2011, in cui gli italiani si espressero su energia nucleare ed acqua pubblica, raggiungendo il quorum dopo tanti anni in cui non accadeva più.

Erano cinque anni fa e sembra tutto diverso: con quel voto pareva di assistere a una nuova ventata di democrazia e partecipazione popolare, ci fu una grande mobilitazione. Solo pochi mesi dopo, a novembre, Berlusconi veniva costretto a dimettersi dal governo. Ma dopo di allora, c’è stato il vuoto. Cinque anni senza più referendum – fatta eccezione per alcuni regionali – ed è l’intervallo più lungo mai trascorso dal 1974. Il governo tecnico di Mario Monti ha segnato una cesura, chiaramente, al processo democratico di questo paese.

Poi un altro governo tecnico, con Enrico Letta, e poi le elezioni del 2013 vinte dal PD di Pierluigi Bersani, che però non andò mai a governare è lascio l’incarico a Matteo Renzi. Che oggi invita a non votare al prossimo referendum, con tanto di video istituzionale sul sito del partito, dove gli “italiani” spiegano perché sia meglio non votare. La sensazione è che in questi cinque anni qualcosa sia andato perso per strada. Fra un governo non eletto e l’altro, un momento fondamentale della democrazia italiana, che era sempre servito come “livella” per bilanciare le tante parzialità del nostro sistema parlamentare… è totalmente venuto a mancare.

Come è potuto succedere? Perché, viene da chiedersi, proprio negli anni di internet e dei social media, nell’epoca in cui i cittadini chiedono di poter interagire direttamente coi propri rappresentanti, è venuto a mancare il momento più alto di democrazia diretta, il referendum? Sembra un paradosso, una contraddizione ai cambiamenti che stanno avvenendo nella nostra società. Penso agli USA, ad esempio, dove il candidato democratico Bernie Sanders sta stravincendo contro la rivale dello stesso partito Hillary Clinton con una campagna elettorale sui diritti e sulla partecipazione.

Penso al Regno Unito, dove Jeremy Corbyn – un parlamentare del partito Labour praticamente sconosciuto fino a pochi mesi fa – è riuscito a diventare leader dell’opposizione con un programma sui diritti e da allora sono tantissimi i nuovi iscritti al partito, soprattutto giovani, che vogliono partecipare.

In questa intervista di Luca Sappino a Stefano Rodotà su L’Espresso, il giurista spiega quella che, per lui, è l’intenzione del governo Renzi:

“Renzi ce l'ha con i referendum, e dice che sono inutili, perché sa che oltre agli effetti concreti sulle norme, quando sono promossi dal basso verso l'alto, dai cittadini o dalle regioni, e non sono plebiscitari come quello che avremo sulla riforma costituzionale, i referendum producono ricomposizione sociale. Ed è invece sulla disgregazione della società che il presidente del Consiglio ha impostato la sua strategia di governo, come dimostra la politica dei bonus, che dà qualcosa a ognuno – il bonus ai giovani, il bonus ai poliziotti, il bonus ai professori – e non a tutti”.

È probabilmente vero, al nostro capo del governo e al PD i momenti di democrazia partecipata da tempo non vanno più a genio. Penso anche alle primarie del partito stesso, che negli ultimi anni sono state più volte disattese, annullate, e che nel recente caso di Napoli, come ha rivelato l’inchiesta di Fanpage.it, sono state addirittura macchiate da gravissimi episodi di scambi di denaro fuori dai seggi.

D’altra parte quello che è successo negli utlimi cinque anni non è solo dovuto al PD o a Matteo Renzi. Sono i partiti tutti, o meglio la nostra classe dirigente, ad aver abbandonato questo fatidioso (per alcuni) strumento dei referendum. Con la scomparsa del partito Radicale, e la lenta agonia dei partiti di sinistra, col ritiro dalle scene di Antonio Di Pietro, sono venuti a mancare i soggetti che ancora si facevano promotori di queste istanze.

C’è poi la questione sull’efficacia concreta, nelle nostre, vite, di queste votazioni. Ad esempio il finanziamento pubblico ai partiti: abolito con referendum nel 1978, abolito nuovamente con un secondo referendum nel 1993, e ancora oggi presente in diverse forme. O si pensi all’aborto, a come ancora oggi questo diritto venga fortemente messo in dubbio, ad esempio, dalla grande difficoltà – per non dire impossibilità – a comparare una pillola del giorno dopo senza ricetta, nonostante sia pemesso dalla legge – e lo racconta questa video inchiesta di Fanpage.it.

Si pensi al 2011, e al referendum sull’acqua pubblica. Anche quel voto viene tuttora disatteso in tante regioni italiane, dove l’acqua è sì rimasta pubblica, ma la gestione semi-privata delle società idriche sta causando migliaia di casi di interruzioni dei servizi e bollette salatissime, anche quando l’acqua non arriva potabile. Proprio in questi giorni, ad esempio, l’osservatorio Cittadinanzattiva ha denunciato come in Sardegna nel 2015 le bollette dell’acqua siano aumentate del 3.3%: sarebbero fra le più care d’Italia con una spesa media per famiglia di 380 euro l’anno.

Insomma, troppe volte i referendum, per quanto partecipati e vittoriosi, si sono rivelati poi inutili. D’altra parte quei partiti e quei politici che dei referendum si facevano promotori, ormai, sono quasi completamente scomparsi. E chi negli ultimi tempi ha provato a proporre i quesiti referendari si è trovato in estrema difficoltà e ha dovuto rinunciare, come è accaduto a Pippo Civati col suo movimento “Possibile”.

Ci troviamo oggi, nel 2016, col primo referendum da 5 anni a questa parte, in un paese che è cambiato moltissimo. E in questo referendum il nostro governo ci invita a non votare. Un atto vergognoso e gravissimo. Perché al PD i momenti di democrazia diretta non piacciono più da tempo. Mentre ad ottobre il referendum costituzionale rischia di diventare uno strumento pensato unicamente per riaffermare il potere dell'esecutivo. Ma se siamo arrivato a questo punto non è certo solo colpa (o merito) del PD.

Certo, a sentire la telefonata fra il ministro Guidi e il suo compagno in merito al giro d’affari petroliferi sul progetto “Tempa Rossa” – che è appena costato al ministro le dimissioni – viene da pensare che sarebbe meglio andare a votare tutti a questo referendum sulle trivellazioni, il 17 aprile. Perché se no a decidere su questi grandi giri d’affari dell’energia sono sempre loro al potere, loro nelle lobby, loro che godono dal fatto che non si facciano più i referendum in Italia. Loro che invitano al prossimo referendum, il primo dopo 5 anni di vuoto, a disertare le urne.

45 CONDIVISIONI
Immagine
Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views