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Caso Regeni, Magi a Fanpage.it: “Per lo Stato la ricerca della verità è una priorità solo a parole”

I genitori di Giulio Regeni hanno ragione a sentirsi traditi, perché al momento per lo Stato italiano la ricerca della verità sulla morte del giovane ricercatore nel 2016 è una priorità solo a parole, ma i fatti dicono qualcos’altro. Lo afferma Riccardo Magi, membro della commissione d’inchiesta parlamentare che ieri ha senito Conte, in un’intervista con Fanpage.it.
A cura di Annalisa Girardi
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La commissione parlamentare d'inchiesta sulla morte di Giulio Regeni ha ascoltato ieri il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, alla luce della sua telefonata con il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi e del via libera del governo alla vendita delle due fregate della Marina militare all'Egitto. Un'audizione a nemmeno due settimane dal 1° luglio, data in cui è previsto un incontro tra le autorità giudiziarie italiane e quelle egiziane e che, come scritto in una recente lettera dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, alimentano le speranze per una rinnovata cooperazione da parte de Il Cairo. Fanpage.it ha fatto il punto della situazione con Riccardo Magi, membro della commissione parlamentare d'inchiesta e deputato di +Europa.

Le risposte del presidente Conte ieri in audizione possono essere considerate soddisfacenti?

Sicuramente è stato importante avere ieri il presidente Conte in commissione, anche in tempi brevi rispetto alle notizie di questo grosso accordo commerciale tra Italia ed Egitto in un settore strategico come quello degli armamenti. Tra l'altro, un accordo di importanza strutturale dal punto di vista della politica estera e della geopolitca. Quello che abbiamo ascoltato ieri in realtà apre però ad altre domande, e quindi alla necessità di ulteriori approfondimenti. Per esempio, rispetto a questo coro che abbiamo sentito da più parti e che afferma che le due questioni vanno tenute separate: cioè il dialogo e gli accordi commerciali con l'Egitto da una parte, e la questione della ricerca della verità sulla morte di Giulio Regeni dall'altra. Questa formula è però irrealizzabile, perché quando il presidente Conte ha davanti il presidente Al Sisi non ha solo davanti un capo di Stato e un capo di governo, ma anche colui che in Egitto nomina le più alte cariche della magistratura. Quindi in una situazione di mancanza di collaborazione giudiziaria, nonché di un'assenza della separazione dei poteri in Egitto, è proprio ad Al Sisi che bisognerebbe richiedere conto.

Andrebbero quindi tagliati sia i rapporti commerciali che il dialogo diplomatico con l'Egitto fino a quando non verrà fuori la verità sul caso Regeni?

No, diciamo che si tratta piuttosto di ottenere la certezza di alcuni risultati nel momento in cui si riattivano determinati rapporti commerciali. Ed è su questo che per ora le risposte del presidente Conte aprono ad altre domande: lui ci ha detto di nutrire l'auspicio che ci sia la ripresa della collaborazione giudiziaria, ma io gli ho chiesto quali siano gli elementi che realisticamente portano a questa speranza. Quali sono i segni concreti della ripresa di questa nuova cooperazione giudiziaria? E su questo non abbiamo avuto una risposta chiara.

Dall'incontro del 1° luglio tra autorità giudiziarie italiane ed egiziane non ci possiamo quindi aspettare cambiamenti significativi da parte de Il Cairo?

Tutti quanti speriamo che ci siano questi cambiamenti. Però veniamo da anni in cui è stata negata la cooperazione giudiziaria. Non c'è stata nessuna risposta alla rogatoria che è stata avanzata dalla magistratura italiana. Non c'è stata nessuna risposta al rinvio a giudizio dei cinque agenti e ufficiali dei servizi di sicurezza egiziani. Ancora prima, per oltre un anno la magistratura egiziana non aveva risposto all'informativa della magistratura della procura di Roma, frutto dell'importantissima indagine degli investigatori italiani: ricordiamolo, per tutto un anno non abbiamo ricevuto risposta. Non è stato consentito ai magistrati italiani di interrogare i cinque indagati e poi rinviati a giudizio, e neanche di assistere all'interrogatorio che avrebbero fatto i giudici egiziani, nel quale loro avrebbero smentito tutto. Questi sono i precedenti da cui noi arriviamo. Allora se ci aspettiamo dei segnali di discontinuità rispetto a questo, ci devono essere delle azioni reali. Non è sufficiente che ci sia una disponibilità generale, che tra l'altro al momento noi non registriamo.

Intanto va avanti l'operazione di vendita delle due fregate della Marina militare all'Egitto…

C'è l'idea che questa strategia di tenere i piani separati possa pagare, ma finora non è andata così. I dati sulle esportazioni di armi dal nostro Paese mostrano che queste erano già iniziate in modo cospicuo l'anno scorso, nel 2019, ben prima di questa commessa che viene ora attivata con le due fregate e successivamente con gli altri armamenti che si prevede vengano venduti all'Egitto. Già c'era stata la decisione di ricominciare ad esportare armi, individuando nell'Egitto un partner, oltre che un acquirente. Eppure questo fatto non aveva portato una collaborazione maggiora da parte di quel Paese. Quindi, anche per quanto riguarda l'incontro previsto a luglio, abbiamo comunque in mano degli elementi per essere scettici. Sono più i fattori che dimostrano che questa strategia non paghi, più di quelli a favore della teoria del doppio binario e del tenere separati i piani.

A livello di commissione, se il prossimo 1° luglio le cose non dovessero cambiare né a parole né a fatti, quale sarà il prossimo passo?

Intanto dovremo fare sicuramente una riunione dell'ufficio di presidenza dopo l'audizione del presidente Conte terminata questa notte per valutare e decidere come precedere con successive audizioni, eventualmente anche di altri rappresentati istituzionali. Sarà una valutazione che poi faremo tutti insieme, anche sulla base di quanto emerso dall'audizione di ieri.

Durante l'audizione lei ha anche parlato della necessità di rendere il caso Regeni un caso europeo: questo potrebbe mutare la posizione delle autorità egiziane?

La storia ci insegna che l'unica fase in cui è stata attuata con successo una sospensione delle esportazioni di armi nei confronti dell'Egitto è stato quando questa decisione è stata portata in seno a un consiglio del ministro degli Esteri dell'Unione europea. Con una decisione consensuale dei vari partner europei si sono attuate queste misure: erano gli anni tra il 2013 e il 2014, quando Emma Bonino era ministra degli Esteri. Altrimenti è difficile per un solo Paese, bilateralmente, decidere di utilizzare questa leva commerciale: perché se gli altri partner europei non lo fanno poi ci si trova quasi a subire una sorta di concorrenza sleale a livello commerciale. Quindi anche da questo punto di vista possiamo dire che negli anni passati è stato un errore non provare con più forza a costruire alleanze diplomatiche a livello europeo, affinché fosse riconosciuto il valore di una questione europea e affinché tutta l'Ue e i suoi partner imponessero all'Egitto la cooperazione giudiziaria.

È troppo tardi?

Ora è molto difficile, perché in qualche modo è passata l'idea che questa sia una questione che riguarda l'Italia e l'Egitto. In più ora è come se fossimo in una nuova fase.

Conte ha detto che la ricerca della verità è la priorità da cui prescindono i rapporti tra i due Paesi. Ma su questi pesano, oltre al caso Regeni, anche l'implicazione dell'Egitto il Libia, le documentate violazioni di diritti umani e l'incarcerazione di Patrick Zaky. Sono elementi che sono stati menzionati durante l'audizione?

La questione è come rendere quella che viene definita una priorità come una politica efficace. Definire una priorità la ricerca della verità sulla morte di Giulio Regeni non deve essere un proposito che rimane solo a parole. Ne abbiamo parlato con il presidente e lui ha ribadito la sua convinzione che da parte dell'Egitto ci siano disponibilità e impegno. Ma da più di un anno noi abbiamo ricominciato ad esportare una quantità significativa di armi, che vengono utilizzate anche nella repressione del dissenso interno, e finora questo non ha portato a passi avanti sul piano della cooperazione giudiziaria. Questo è il motivo dello scetticismo. Se si definisce priorità una cosa vuol dire che nell'interlocuzione politica si ottengono dei risultati che dimostrano proprio quella priorità. E questo al momento non avviene.

Sulla questione della vendita di armi all'Egitto, i genitori di Giulio Regeni hanno detto che si sentono traditi dallo Stato. Hanno ragione?

Hanno ragione esattamente nei termini che provavo a spiegare: hanno ragione a vedere uno Stato che indica una priorità, ma che non la ritrova nei risultati ottenuti. Quindi sì, assolutamente hanno ragione. Spero di sbagliarmi in questo giudizio, ma devo dire che al momento hanno ragione

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