Bossi fra nostalgie berlusconiane, Lega 2.0 e ceffoni al Trota

Nella Lega «sono ancora io il capo», inizia con queste parole l' intervista di Umberto Bossi al Fatto Quotidiano. Quello del Senatùr con Davide Vecchi è un lungo colloquio che si snoda intorno a tre assi: il rapporto d'amore/odio col nuovo segretario Roberto Maroni, il possibile ritorno di fiamma col Cavaliere e lo scandalo dei rimborsi elettorali. Il tutto, in particolare quest'ultimo punto, contraddistinto da tante «fesserie e cazzate di voi giornalisti». Ma a ben vedere, forse, solo sul primo punto Bossi ha dato una risposta chiara, rinnovando poi quella che è l'eterna lotta tra cerchio magico (bossiani) e barbari sognanti (maroniani). Il vecchio leader del Carroccio vorrebbe mantenere intatto, o quasi, il suo ruolo all'interno del partito che ha guidato per decenni. Lo aveva già fatto capire qualche giorno fa, parlando delle espulsioni: «Il potere di espellere o far rientrare chi è stato ingiustamente espulso adesso è mio». Ma Maroni lo ha subito zittito, sottolineando che «dal primo luglio c'è un nuovo statuto, quindi, per i provvedimenti disciplinari presi dopo quella data, si applicano nuove regole compresa quella che consente al presidente federale Umberto Bossi di essere giudice d’appello».
Bossi, però, rivendica il ruolo di guida all’interno della Lega, pur non essendone più il leader. Non a caso, nella parte finale dell'intervista, afferma come il suo più grande rimpianto sia quello di «non essermi candidato, non essere più segretario». Ce ne è uno nuovo, comunque, che però, fa notare indirettamente il Senatùr, potrà trovarsi in difficoltà in questi primi tempi da segretario e per questo potrà aver bisogno del suo «aiuto». O forse anche qualcosa di più. Sulla sua funzione nelle espulsioni afferma che «devo ancora capire bene per vedere caso per caso quelli che sono stati cacciati, se era giusto o se sono stati vittime di qualche errore». Riferimento velato alla sua pupilla Rosy Mauro, allontanata dal partita dopo la bufera che ha travolto Bossi e family. Ma il suo caso della è da annoverare tra le epurazioni precedenti al 1° luglio. E quindi la "badante" del Senatùr dovrà "accontentarsi" del suo incarico da vicepresidente del Senato.
Quindi si parla di Belsito e della gestione "opaca" dei finanziamenti pubblici:
Tutto il casino l’avete montato voi giornalisti e la magistratura, ma poi quello lì non è stato arrestato. Lusi è finito in carcere e il nostro amministratore no. Significa che è stata una montatura, a Roma noi non appoggiamo questo governo e qualcun altro ha voluto colpirci così, perché armi oneste non ne avevano, continuiamo a far paura. Potevano informarci, eravamo al governo, questo qui (Belsito, ndr) ci rubava i soldi e nessuno ci ha detto niente. A Roma ti si avvicinano per sussurrarti “oh succede questo”, “guarda che coso lì tra poco lo beccano” e a noi nessuno ci ha detto niente? Puzza. Ma ormai è andata così, ora dobbiamo pensare a lavorare e recuperare la nostra gente. Io non appoggio nessuno di quelli che litigano … che vogliono litigare.
Poi il capitolo «cazzate». Come quella di cancellare Pontida: «è impossibile. Come il Va’ pensiero, sono cose sacre, intoccabili per ogni leghista; o la frecciata dell'intervistatore sui «soldi per la sede e per il simbolo» ricevuti da Berlusconi. L'ex premier però «ci ha dato molto» afferma Bossi. Gli è stato vicino nel periodo dello «scandalo lì, quando sono stato massacrato dai tribunali». Dunque, è lecito aspettarsi il ritorno dell'asse Gemonio-Arcore:
Eh eh… sarebbe un buon segnale, ma è ancora troppo presto e dipende se cambiano la legge elettorale o no. A noi il Porcellum andrebbe ancora bene, parlare di alleanze è prematuro. Ho visto che qualcuno pensa al Pd, altri parlano con Alfano. Dobbiamo metterci d’accordo.
Finale di intervista dedicata al Trota, al quale «ho dato quattro ceffoni, si metterà a posto perché alla fine non ci sarà nulla. Ma è stato difficile».