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Berlusconi, compravendita senatori: Idv di Di Pietro non sarà parte civile

Al processo in corso a Napoli che vede imputato Silvio Berlusconi i giudici hanno ammesso il Senato come parte civile mentre hanno respinto le medesime richieste avanzate da Codacons Campania, da Italia dei Valori e da alcune decine di cittadini.
A cura di Vincenzo Iurillo
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Era entrato con gran clamore, inseguito da taccuini e telecamere. Ne è uscito all’improvviso e senza fare troppo rumore. Antonio Di Pietro è costretto a lasciare alla chetichella, e non per colpa sua, il ruolo di fustigatore nel processo in corso a Napoli per la presunta compravendita dei senatori. Processo che vede tra gli imputati per corruzione l’acerrimo nemico Silvio Berlusconi, accusato di aver acquistato il passaggio nel centrodestra dell’ex senatore dipietrista Sergio De Gregorio con tre milioni di euro, di cui due in nero, in contanti, elargiti poco alla volta, durante la travagliatissima legislatura del governo Prodi. Il nuovo presidente del collegio giudicante della I sezione del Tribunale, Serena Corleto, ha escluso Italia dei Valori dalle parti civili. E di conseguenza l’avvocato Di Pietro, per la prima volta dall’altra parte della barricata dopo le dimissioni dalla magistratura, e il collega Alfonso Trapuzzano, i due legali di parte civile di Idv, non potranno partecipare al dibattimento e chiedere l’escussione dei loro testi. Il processo perde così uno dei protagonisti più attesi, l’ex pm di Mani Pulite dal dente avvelenato verso il Cavaliere. Sono stati esclusi come parti civili anche il Codacons e un gruppo di cittadini marchigiani, mentre il Tribunale ha ammesso con riserva la costituzione di Forza Italia. In qualità di avvocato Di Pietro era intervenuto nel corso della scorsa udienza, difendendo con calore le ragioni della validità della notifica del decreto di rinvio a giudizio ad Arcore. Messa in dubbio da un’eccezione degli avvocati di Berlusconi, Michele Cerabona e Niccolò Ghedini. Eccezione poi respinta dal collegio dei giudici allora presieduto da Nicola Russo. Il fondatore di Idv oggi non era in aula. Forse aveva avuto qualche avvisaglia del provvedimento. Motivato dai giudici anche con la circostanza che De Gregorio aveva già lasciato Idv e il gruppo misto molti mesi prima di farsi corrompere da Berlusconi attraverso l’intermediazione dell’ex direttore de ‘L’Avanti’ Valter Lavitola. L’accusa, retta anche in aula dai pm Henry John Woodcock e Fabrizio Vanorio, si fonda sulle confessioni dell’ex senatore napoletano, che è uscito dal processo patteggiando un atto e otto mesi di reclusione.

Di Pietro ha replicato attraverso il blog: "Per quanto riguarda l'Italia dei Valori, preso atto dell'odierna decisione del Tribunale e poiché, a prescindere dalla nostra estromissione dal processo penale, non vi è dubbio che il partito ha subito un grave danno d'immagine, e non solo, perseguiremo in sede civile gli autori dei reati, affinché venga fatta giustizia anche nei nostri confronti". "Tutto bene, quindi – aggiunge – salvo l'amarezza di dover assistere ora alla baldanza con cui il pregiudicato Silvio Berlusconi si presenta agli italiani come il nuovo salvatore della patria, anzi il nuovo Padre costituente, che addirittura vuole riscrive la Costituzione italiana". "Affidarsi ad un personaggio come lui per fare le riforme, anche e soprattutto della nostra Carta, è come affidarsi ad un boia per un taglio di capelli. Mi auguro – conclude Di Pietro – che il giovane Renzi lo capisca in tempo, anche se ci credo poco, montato com’è!".

Il processo riprenderà il 12 marzo con la decisione del Tribunale sulle questioni preliminari avanzate dalla difesa di Berlusconi, che ha chiesto il trasferimento degli atti a Roma per competenza territoriale (il reato, a loro dire, sarebbe avvenuto nella Capitale) e ha sollevato di nuovo il tema dell’insindacabilità del voto dei parlamentari, già affrontato durante l’udienza preliminare. Quest’ultima eccezione, se accolta, comporterebbe l’annullamento del rinvio a giudizio e l’invio delle carte giudiziarie al Parlamento.

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Vincenzo Iurillo è giornalista professionista dal 2002. Nel 2009 con Bruno De Stefano ha scritto ‘La Casta della Monnezza’ (Newton Compton). Scrive sul Fatto Quotidiano sin dalla nascita della testata fondata da Antonio Padellaro, Peter Gomez e Marco Travaglio. A gennaio una sua incalzante inchiesta in più puntate da Benevento ha provocato le dimissioni del ministro Nunzia De Girolamo.
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