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Approvato il decreto sugli acconti Irpef 2025: niente versamenti per dipendenti e pensionati

Il Parlamento ha convertito in legge il decreto che corregge il calcolo degli acconti Irpef per il 2025, evitando aggravi per i contribuenti. L’intervento risolve un vuoto normativo generato dalla riforma Irpef 2023 e dalla legge di bilancio 2025.
A cura di Francesca Moriero
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La Camera ha approvato in via definitiva il decreto sugli acconti Irpef per il 2025, dopo il via libera già ottenuto dal Senato. Il provvedimento, ora diventato legge, risolverebbe un problema tecnico che aveva generato incertezze e proteste nei mesi scorsi. A causa di un disallineamento tra la riforma fiscale del 2023 e la legge di bilancio 2025, gli acconti Irpef da versare nel 2025 rischiavano infatti di essere calcolati con regole ormai superate, portando a versamenti più alti del necessario.

Con questa correzione, i lavoratori dipendenti e i pensionati non dovranno versare alcun acconto, mentre per gli altri contribuenti gli importi saranno ridotti e adeguati alle nuove aliquote. Una misura attesa da Caf, sindacati e cittadini, che restituirebbe più coerenza al sistema e alleggerirebbe il peso fiscale su circa 2,2 milioni di persone.

Un vuoto normativo che rischiava di pesare sui contribuenti

Il problema nasceva da un'incongruenza tra due norme. Dal 1° gennaio 2025 sono entrate in vigore in modo stabile le nuove aliquote Irpef a tre scaglioni, introdotte in forma sperimentale nel 2023. Per il calcolo degli acconti da versare nel 2025, relativi all’anno d’imposta 2024, la legge continuava però a fare riferimento al vecchio sistema a quattro aliquote (23%, 25%, 35%, 43%) e alle detrazioni precedenti; un'anomalia che avrebbe comportato versamenti più alti del dovuto, basati su regole ormai superate. A segnalare per prima questa distorsione era stata la Cgil, già lo scorso marzo, parlando di "una clamorosa ingiustizia" ai danni di milioni di contribuenti. Un errore che avrebbe colpito soprattutto lavoratori dipendenti e pensionati, ovvero coloro che le tasse le pagano sempre e fino all’ultimo centesimo.

Cosa cambia: aliquote aggiornate e acconti ridotti

Con la nuova legge, dal 2025 gli acconti Irpef saranno calcolati usando le aliquote e le detrazioni oggi in vigore:

  • 23% fino a 28mila euro
  • 35% tra 28mila e 50mila euro
  • 43% oltre i 50mila euro

Viene inoltre confermata la detrazione di 1.955 euro per i redditi da lavoro dipendente fino a 15.000 euro, a esclusione dei pensionati. È ufficiale anche il nuovo livello della no tax area, portato a 8.500 euro per i lavoratori dipendenti.
In questo modo si evita che 2,2 milioni di contribuenti debbano versare anticipi più alti rispetto a quanto realmente dovuto. La platea interessata è costituita principalmente da lavoratori autonomi e soggetti con redditi non da lavoro dipendente o pensione. Per dipendenti e pensionati, infatti, nulla cambia: le ritenute Irpef già applicate avevano incorporato le nuove aliquote.

Un costo per lo Stato, un sollievo per i contribuenti

L’intervento correttivo approvato dal Parlamento avrà un impatto sui conti pubblici pari a 245,5 milioni di euro nel 2025. Per coprire questa spesa, il governo utilizzerà risorse già disponibili, prelevandole da un fondo del Ministero dell’Economia destinato alla sistemazione contabile delle cosiddette "partite sospese". Il costo non ricadrà in modo permanente sul bilancio dello Stato: è previsto infatti che nel 2026 l’importo venga reintegrato attraverso un fondo apposito, creato per compensare eventuali scostamenti nei conti pubblici. Si tratterebbe, come dichiarato, di una spesa non irrilevante, ma necessaria per evitare che milioni di contribuenti si trovino a pagare acconti più alti del dovuto a causa di un errore normativo. Oltre al valore tecnico e fiscale, la misura avrebbe poi anche un significato sociale: in un periodo in cui molte famiglie fanno fatica ad arrivare a fine mese, alleggerire il peso delle tasse rappresenta un segnale di attenzione, anche se parziale, verso i cittadini.

Un contesto economico che resta preoccupante

La correzione normativa arriva in un quadro economico generale segnato  infatti da forti diseguaglianze. Secondo l’ultimo rapporto Caritas 2025, in Italia vivono in povertà assoluta quasi 5,7 milioni di persone, pari al 9,7% della popolazione. Oltre 2,2 milioni di famiglie non riescono a condurre una vita dignitosa e cresce anche la povertà lavorativa, che colpisce chi ha un’occupazione ma non arriva a fine mese. Il dato stride con i toni ottimistici spesso adottati dal governo sulla situazione economica nazionale. L’Italia risulta infatti oggi il settimo Paese in Europa per incidenza di persone a rischio povertà o esclusione sociale (23,1%), dietro a Paesi come Bulgaria, Romania, Grecia e Spagna.

In questo contesto, ogni misura che aiuta a evitare aggravi fiscali non dovuti potrebbe rappresentare un piccolo passo nella giusta direzione. Ma da sola, certo, non basta.

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