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Il boss Vincenzo Di Lauro a Secondigliano insegnava a usare computer, Skype e Telegram agli affiliati

Sotto la guida del secondo figlio di Ciruzzo il Milionario il clan aveva cambiato passo, tentando di riprendere l’infiltrazione nell’economia legale.
A cura di Nico Falco
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"Ha la stessa testa del padre": poche parole, dette a mezza bocca da investigatori d'esperienza, quando si parla di Vincenzo Di Lauro, boss del clan di via Cupa dell'Arco finito in manette il 17 ottobre. Secondo dei dieci figli maschi di Paolo Di Lauro, 48 anni, scarcerato nel 2015, "Enzuccio" è quello che ha ereditato di più la strategia che aveva portato "Ciruzzo il Milionario" a conquistare Scampia e Secondigliano negli anni '90: violenza solo quando necessario, basso profilo, fortissima dote imprenditoriale per riciclare i soldi della droga. Quello che gli mancava, però, era l'enorme flusso di denaro delle piazze di spaccio, che nell'epoca d'oro del clan di Secondigliano era di una quindicina di milioni di euro al mese.

La figura di Vincenzo Di Lauro, "F2", secondo figlio, emerge dall'ordinanza da 27 misure cautelari firmata dal gip Luca Della Ragione ed eseguita dai carabinieri del Ros e del Comando Provinciale di Napoli. E viene sottolineata quella che il giudice chiama "spiccata vocazione imprenditoriale", sia nel lecito, con l'avvio di diversi progetti (tra cui il brand di abbigliamento "Corleone", che avrebbe ideato insieme al cantante neomelodico Tony Colombo), sia nell'illecito, con l'apertura della fabbrica di sigarette clandestina, le truffe assicurative e le aste giudiziarie.

"Era bravo coi computer, insegnava anche a noi"

Salvatore Tamburrino, parlando di "Enzuccio", dice che "era bravo coi computer, con i telefoni; usa Skype, Telegram, insegnava anche a noi". La predilezione per questo tipo di comunicazione non è un caso: le chat, criptate, non possono essere intercettate coi sistemi tradizionali e lo stesso vale per le chiamate voip, in cui il flusso voce viene trasformato in dati, anche questi codificati.

Il collaboratore di giustizia viene ritenuto altamente attendibile dagli inquirenti: è stato il tramite di Marco Di Lauro durante la latitanza. Ed è stato quello che ha permesso il suo arresto: ha rivelato il suo nascondiglio agli investigatori dopo aver ucciso la moglie, Norina Mattuozzo; un tradimento che è stato un estremo tentativo, dirà poi, di ottenere la concessione di vedere per l'ultima volta i figli.

L'arresto di Marco Di Lauro, il 2 marzo 2019, rappresenta un cambio di passo anche per lo stesso clan: fino ad allora le decisioni vengono prese dai due fratelli, ma con l'uscita di scena di F4 il comando passa nelle mani di Vincenzo Di Lauro. Che ha una visione totalmente diversa, più simile a quella del padre e sicuramente opposta rispetto all'altro fratello, Cosimo (morto in carcere nel giugno 2022), che 15 anni prima, dopo l'arresto del padre, si era ritrovato tra le mani le redini della cosca e l'aveva trascinata nella prima faida di Scampia. La figura di Vincenzo Di Lauro, però, non emerge soltanto nel 2019: la svolta era cominciata nel 2015, quando il futuro boss era stato scarcerato. Scrive il gip:

La vera vocazione ‘imprenditoriale' di Di Lauro Vincenzo si coglie nel momento in cui si svela il reticolo delle società che sono riferibili a lui e che vengono gestite da prestanome e che egli richiama a sé praticamente nello stesso momento in cui viene scarcerato.

La prima fabbrica di sigarette false in Campania

Il 2018 è l'anno della fabbrica clandestina di sigarette, la prima in Campania. Le materie prime arrivano grazie a contatti bulgari, dell'affare si occupa il suo uomo di fiducia, Raffaele Rispoli. E nell'affare, ricostruiscono ancora gli inquirenti, entrano anche la sorella di lui, Tina Rispoli, e il marito, Tony Colombo: il neomelodico avrebbe cercato anche un capannone a Roma per lo stoccaggio delle sigarette e avrebbe finanziato l'allestimento della fabbrica.

Per racimolare i soldi necessari Vincenzo Di Lauro rompe un vecchio tabù, infrange la regola che aveva garantito al padre il consenso popolare: per lo più tramite il gruppo della Vanella Grassi, si inizia a chiedere il pizzo anche a commercianti e imprenditori di Secondigliano. Vengono raccolti, tra racket e altre attività illegali, circa 500mila euro. L'operazione, però, naufraga: il 22 novembre Rispoli informa Colombo che è tutto pronto, il 7 dicembre la Guardia di Finanza fa irruzione nel capannone di Acerra.

Il marchio "Corleone" sponsorizzato dai vip

Altra avventura imprenditoriale, quella del brand "Corleone", depositato da Tony Colombo. Il cantante dirà in alcune interviste di essersi ispirato alla cittadina siciliana per il nome ma di non avere pensato a collegamenti con la mafia e soprattutto con Riina, che proprio a Corleone era nato. Il battage pubblicitario è imponente, con cartelloni per strada e pubblicità sui quotidiani, e vengono coinvolti anche diversi vip e personaggi televisivi che si fanno ritrarre con addosso gli abiti del brand. L'operazione, ritengono gli inquirenti, sarebbe stata ideata con Vincenzo Di Lauro.

La bevanda 9mm a forma di proiettile

Riconducibile al boss sarebbe poi la distribuzione in Italia della bevanda 9mm. Ne parla una donna, intercettata in ambientale, mentre è in auto con un'amica. Dice che Enzo Di Lauro è un "uomo con le palle", è "diventato signore" e ha fatto buoni investimenti, come quello della lattina a forma di proiettile. Il boss, dice ancora, sarebbe stato contattato da due persone per un diverbio ma non si sarebbe voluto intromettere, considerandosi ormai solo un imprenditore.
E la donna parla anche di Tina Rispoli: la descrive come "donna che comanda gli uomini", che "comanda i fratelli" e che ha raddoppiato i suoi investimenti, anche creando un marchio di abbigliamento, a differenza di Raffaele ed Enzo Rispoli che, spiega, si limitano a prestare i soldi ad usura.

L'affare delle aste giudiziarie

Il vero settore emergente, secondo il gip, è quello delle aste giudiziarie, dove il clan riesce a reinvestire e ripulire denaro sporco grazie a lacune normative. Il boss viene introdotto dai nuovi soci, frangia del gruppo della Vanella Grassi che aveva deciso di abbandonare il più rischioso settore degli stupefacenti, e gli affari vengono divisi in tre, con il clan Licciardi dell'Alleanza di Secondigliano.

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